Mi accorgo di aver usato già in queste poche righe e nel titolo di questa recensione immagini fisiologiche (ventre, pasto, esangue, digestione...) dettate certo al mio inconscio da quello che è il motivo dominante del libro: la guerra come voracità, espulsione, ricambio; e trovo, sfogliandolo, una frase che mi ha colpito, una delle molte che in qualche modo potrebbe sintetizzarlo: "Il cibo nutriva la morte: l'avida morte, sempre in attesa dei corpi che la nutrivano." Riso, patate, pus, muco, merda, liquami di corpi che si putrefanno ed esplodono riempiono queste pagine incessantemente, sono la guerra, il gioco della sopravvivenza o della fine, dello scambio incessante dalla vita alla morte. Altrove, verso una conclusione che non è, come vedremo, una conclusione, Ballard dice del suo protagonista, di se stesso ragazzo: "aveva mancato di afferrare la verità che milioni di cinesi conoscevano dalla nascita: che gli uomini erano in pratica solo dei morti che si illudevano di essere vivi". Questo scenario da pesti dello Zumbo, iperrealista e pertanto allucinato, è quello delle verità che è buon uso rimuovere. È anche uno scenario concreto, storico. Ballard lo conosce bene, perché questo libro racconta né più né meno che una parte della sua vita. Lui ragazzo, dagli 11 ai 14 anni, tra il '41 e il '45, a Shanghai e nei dintorni di Shanghai. Figlio di notabili inglesi mercanti nella ricca colonia cinese, egli ha vissuto le esperienze del suo Jim e solo ora si sente di poterle raccontare. Il suo itinerario di scrittore è per qualche verso affine a quello di Vonnegut, che a Dresda aveva assistito, da prigioniero americano dei tedeschi, al bombardamento americano della città (più morti che Hiroshima). L'esperienza dell'orrore li ha segnati, e la loro letteratura ha cercato di darne conto, di "essere all'altezza". La fantascienza è sembrata a entrambi l'unico modo per restituirne la indicibilità; ma mentre Vonnegut, americano, ha preso la strada del comico e del grottesco e del dichiarare e dichiararsi, Ballard, più giovane, e inglese, ha rimosso parlando bensl di un "altro" incombente e terribile, di catastrofi naturali e sociali (da VenJo dal nulla a Condominium) incontrollabili, minacciosamente presenti e ricorrenti, e solo ora (1984) si dichiara e ci spiega donde quelle ossessioni sono nate. L'impero del sole non è un romanzo catartico, non lo libera e non libera il lettore, semplicemente dice che il vento non viene dal nulla, che la storia vi ha il suo posto, e che è questa e solo questa la vera storia. Anche la fantascienza, quella grande, non nasce dal nulla, e tantomeno dalle private e inconsistenti fantasticherie che la rimandano alle distinzioni di cui all'inizio: avventure in cui immedesimarsi e sognare, variazioni cerebrali, o anche, da ultimo e con le tristi new waves, dilatazioni psichiche consonanti col narcisismo dei molti riflussi. Da subito, Ballard dichiara in questo romanzo la sua sfiducia nei presunti realismi, ma anche nelle immagini (l'immaginario) che li propongono. Alla vigilia di Pearl Harbour il suo Jim si nutre di immagini che condizionano il suo modo di vedere e vivere poi la realtà: "La notte, sulla parete della sua camera sembravano snodarsi gli stessi film che trasformavano la sua mente addormentata in una sala vuota di proiezione. Durante l'inverno del 1941, tutti, a Shanghai, proiettavano film di guerra. Frammenti di sogni seguivano' Jim in giro per la città: negli atri degli empori ·e degli alberghi, le immagini di Dunkerque e di Tobruk, dell'operazione Barbarossa e del sacco di Nanchino, gli esplodevano nella mente sovraccarica". Ma la "realtà" è ancora un'altra: "La cosa più inquietante era che le immagini frammischiate di carri armati e di bombardieri da picchiata erano completamente silenziose, come se la sua mente addormentata si sforzasse di separare la guerra vera dai conflitti finti inventati dalla Pathé o dalla British Movietone. Jim non aveva 5iubbi su quale fosse la guerra vera. La guerra vera era tutto ciò che aveva visto di persona dall'inizio dell'invasione giapponese della Cina, nel '37: i vecchi campi da battaglia di Hungjao e Lunghua, dove le ossa dei morti insepolti affioravano alla superficie delle risaie ogni primavera; le migliaia di profughi cinesi che morivano di colera nei recinti chiusi di Pootung; le teste sanguinolente dei soldati BibliotecaGino Bianco SCHEDE/FOFI cinesi impalate su picche lungo il Bund. Nella guerra vera, nessuno sapeva da quale parte stesse, né esistevano bandiere, commentatori o vincitori. Nella guerra vera, non esistevano nemici." È a questa iniziale distinzione che la narrazione risponde, con gli occhi di Jirn, ma di un Jim oggettivato dall'adulto James che con quello sguardo ha imparato a guardare, mantenendosi sul filo difficile e rischioso del documentario bensl interiorizzato. Essa si snoda per brevi capitoli in tre lunghe parti, di cui impressionano maggiormente la prima e la terza semplicemente perché la seconda (la vita nel campo giapponese di Lunghua) è la più "monotona" ed è quella per Jim, della maggiore sicurezza, quella in cui la prigionia serve a dar comunque una regola e, in essa, lo sfogo alla fantasticheria, ai "giochi proibiti" favoriti dalla denutrizione. È forse la conoscenza acquisita (per es. attraverso certi libri di Primo Levi, ma anche di tanti altri) della "prodigiosa capacità di adattamento degli esseri umani alla guerra" e alla vita concentrazionaria che ci fa parere queste pagine in parte già note, nonostante nulla della tensione crudele del libro vi si perda. Mentre nelle altre parti - quella della Shanghai occupata in cui Jim, perduta la famiglia, si aggira imparando a sopravvivere tra cadaveri e divise, e a cercarsi alleati più forti (la straordinaria figura del cuoco americano Basie un omosessuale viscido e capace di tutto, maestro della sopravvivenza, senza alcun freno morale; cui nel romanzo si contrappone, a Lunghua, quella del dottor Ransome, che cerca ad onta di tutto di conservare una morale); o quella del girovagare tra umani d'ogni razza comunque avviliti dalla guerra nell'esaltazione del proprio peggio, tra Lunghua di cui Jim sa che è il solo rifugio dalle guerre a venire e da cui non vuole staccarsi o a cui vuole tornare, e non, come crede Ransome, "per continuare a giocare i suoi giochi di guerra e di morte", e una Shanghai difficilissima da raggiungere. Orride e pìcare, queste parti hanno pagine indimenticabili, ma sono piuttosto indimenticabili nel loro insieme, come lo è il libro, perché i mille avvenimenti che lo riempiono sono un unicum, 107
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