STORIE UNGRANDEROMANZO Luca Rastello Rondò (FJO, pp. 278, lire 22.000; trad. dal polacco e postfazione di Giovanna Tomassucci) è la penultima fatica dello scrittore polacco in esilio Kazimierz Brandys, concepita e realizzata insieme al romanzo parallelo Irrealtà, in via di pubblicazione - si spera - in Italia, di cui condivide situazioni, personaggi e procedimenti narrativi. Peccare di semplificazione, di superficialità addirittura, non è difficile se si voglia scrivere a proposito di Rondò e mantenersi entro dimensioni inferiori a quelle del libro stesso: è un libro in cui temi madornali come la ragione, la storia, la libertà, l'illusione, la verità persino, si intrecciano nelle maglie di una trama avventurosa che emerge tra riflessioni e ricordi di una memoria impegnata nella ricostruzione di vicende che occupano quarant'anni, dal quarto all'ottavo decennio di questo secolo. Peccheremo: tra le pagine del romanzo si nasconde il segno di una sfida faustiana condotta su due fronti, impostata fin dall'inizio nell'ambigua risoluzione di travestire il lettore con i panni di uno dei personaggi e rivolgersi a lui con la seconda singolare, risoluzione che cela tra l'altro un'accorata invocazione alla Musa, in un tempo in cui la sola Musa a cui dedicarsi è il direttore di una rivista storica, probabilmente di regime. (A proposito, il romanzo è sospeso fra due poli contraddittori: incomincia nella forma di polemica lettera a un direttore di rivista, a confutazione di un articolo scritto da uno studioso che fu compagno nella guerra partigiana del protagonista-narratore, poi cambia volto trasformandosi in una lunga confessione romanzata, per concludersi con la preghiera di consegnare lo scritto all'estensore dell'articolo che si intendeva confutare perché ne faccia l'uso che riterrà più opportuno, dimenticata la polemica scientifica, raggiunta, forse, la consapevolezza che è la storia e non ciò che se ne scrive ad aver bisogno di una rettifica. Non è questa la sola contraddizione apparente con cui Brandys mette alla prova le capacità di attenzione del suo lettore.) Primo fronte: l'inafferrabile qualità del rapporto che corre fra la scrittura di Brandys e il modello culturale nazionale e tradizionale che le fa da sfondo: tutta intrisa di relativismo, tendenza al mascheramento, mutevolezza e sarcasmo la prima, segnato il secondo da un'endemica propensione al miracolo e all'impossibile che genera, insieme all'incredibile capacità polacca di resistere alle aggressioni della storia (anche quando questa si camuffi da Destino), anche una certa tendenza alla staticità, all'assolutezza, al costante riferirsi a valori eterni ed immutabili. Non è chiaro, e non importa che lo sia, se l'atteggiamento dello scrittore risulti omologo o contrario al modello tradizionale (in un altro suo libro Brandys scrive: "Il motivo barocco romantico del miracolo è codificato all'interno del pensiero polacco sulla vita e sulla letteratura. Oscura ed illumina, opprime e risplende. Ne avvertiamo lo stimolo sui talloni, la possibilità che toglie il fiato di un salto al di là di se stessi, della realtà, fin dentro ai sogni, agli eroi...", parole simili a quelle famose di Bruno Schulz a proposiBibliotecaGino Bianco SCHEDE/RASTELLO to dell"'epoca geniale"); certo è che la storia personale di Kazimierz Brandys - dalla resistenza antinazista all'adesione allo stalinismo (che produsse anche un pamphlet contro Milosz, colpevole di emigrazione), al marxismo critico, alla partecipazione alle vicende del sindacato indipendente, fino all'esilio in occidente nel 1981 - appare anche troppo consona alla "routine di sangue, insurrezioni e preghiere", e insieme di sorprese sconcertanti e contraddizioni, costituita dalla recente (e non solo) storia polacca, storia di un paese che ha visto, secondo C. Milosz, "il fondo degli inferni di questo secolo" e proprio per questo è in grado di mantenere in vita una cultura capace di fare i conti con il mutare dei tempi senza troppo impigliarsi nelle reti del concetto di necessità. Lo sviluppo del secondo fronte su cui si gioca la sfida di cui andiamo parlando è tutto interno alla trama del romanzo. Urge pertanto qualche accenno: il protagonista, di cui conosciamo soltanto il diminutivo, Tom, è un ragazzo, cresciuto in provincia, sulla cui esistenza grava un vecchio pettegolezzo che lo vuole figlio naturale del maresciallo Pilsudski, eroe nazionale e capo di stato prima dell'ultima guerra. Il romanzo è anche la storia della parabola e delle conseguenze di questo pettegolezzo che accompagnerà Tom per tutta la vita, ingigantendosi fino ad esercitare influssi persino sulla storia patria. Alla fine del liceo, per continuare gli studi, Tom si trasferisce nella capitale, quella Varsavia-rondò (crocevia), splendida e afflitta coprotagonista del libro. Con ciò è compiuto un vero salto nell'immaginario; per campare Tom s'impiega come comparsa in un teatro infilandosi cosl in un ambiente sullo sfondo del quale si svolge tutta la vicenda del romanzo, almeno per la parte riguardante gli anni di guerra, e che sarà per lui palestra di inganni e finzioni, scuola alla quale imparerà a riconoscere "le nascoste analogie tra fantasia, menzogna, forma, idea e verità", quelle analogie che saranno le guide d'orientamento della sua sfida· al tempo, la scrittura. Frequentando le scene Tom fa la conoscenza di una giovane attrice, Tola, la cui sensibilità per quanto 103
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