Vado su per le scale, come sempre un scalin a la volta, pian; pian più, più che son vizin. El cuor me sta per bàter. Chi sa ogi che cossa che trovarò? El sòlito, sì, forsi. O qualchecossa che no' so ancora. El sol de le finestre, e, come sempre, quieta 'na vose che me ciama par nome. O invezi, xe là el viso pàlido de la morte che me 'speta. Ogi, forsi, xe 'sto qua che la sorte me ga prontà. 'Sto qua xe quel che trovarò drio quela porta scura che adesso averzirò. Vado 'vanti, no' pian e no' sguelto, una scala drio l'altra, co' la testa un poco su 'na spala, in pase con mi stesso, e coi altri, e co' tuto. (La porta serada, pag.173) È lui, con la testa un poco inclinata su una spalla, ormai rassegnato, in pace con se stesso e col mondo. La rassegnazione crea in Giotti buona parte dell'atmosfera della sua poesia, anche quando è appena avvertibile, segreta. Ma la rassegnazione di Giotti è d'una specie particolare, tutta sua. La rassegnazione in lui, più che uno stato d'animo, è un "modo di vita" che lo fa solidale con la più diffusa umanità degli umili, proprio con quell'umanità essenziale delle creature che vivono la vita nuda con le gioie e i dolori che il destino prodigo - avaro dispensa, nel giro delle stagioni, fra la nascita e la morte. È sempre, la rassegnazione, il filtro della sua provata coscienza d'uomo, della sua saggezza, di quella saggezza che lo portava a semplificare tutta la trama della propria vita e lo stesso concetto della vita. Per questo Giotti può, senza danno sentimentale, nell'intimo dell'animo suo, caricarsi di pietà per se stesso e per tutti gli indifesi. Pietà di tono limpido, asciutto, elevato. Go davanti sentà un omo, oni giorno. Un qualùnque; no 'l xe gnente par mi; se fossi un altro me saria l'istesso. Ma un fioleto eh' el ga sega malado, malado de morir; e su su' viso sbassà, cori zo làgrime slusenti. E mi ghe parlo e zerco in mi parole par congolarlo che no' isisti. Fazo con lui quel che anca lui farla con mi, che no' son par lui gnente de un qualùnque. (Un qualùnque, pag. 180) Rassegnazione e pietà che gli risparmiano le delusioni, perché gli impediscono d'abbandonarsi alle illusioni, e gli inseBibliotecaGino Bianco DISCUSSIONE/STUPARICH 99 gnano che è da saggio gustare il poco bene genuino che offre la vita: il resto è troppo, anche l'effusione del sentimento è un di più. Non che qualche volta egli non vorrebbe abbandonarsi allo sfogo. Da giovine, egli si duole del ritegno della propria natura. Te me pozavi pian in quei momenti (te se ricordi?) una man su la testa; e mi, mi non sapevo dirte gnente; ma gavaria voludo poder piànzer; piànzer, chè me pareva che 'lora solo, sì, me se saria roto, no' so, de dentro quel qualcossa che me tigniva fermo, strento el cuor. (Le tristezze, pag. 18) Da vecchio, egli sentirà che il pianto per le sofferenze e i mali che toccano agli uomini, inonderebbe il mondo: perciò è meglio asciugarsi gli occhi. Lo dirà alle ombre dei suoi due figli non più ritornati dalla Russia: Se gavè pianto, piànzer no' ste più. Ormai sughèmose i oci tuti. Andeghe far 'na careza a vostra marna. Piànzer no servi. Xe morti tanti tanti; e papà e marne e fioi, tanti, ga pianto e pianzi. 'Sto qua nassi nel mondo: nassi e xe sempre nato. (Ai mi.eifioi rrwrti, pag. 176) Rassegnarsi, ancora. Ma non darsi per vinti. Accogliere quello che, nonostante i mali, nonostante la crudeltà particolare del destino offre la vita: l'essenziale, godere di quelle cose, né piccole né grandi, che sono alla portata di tutti, ma che pochi hanno la saggezza d'accogliere serenamente nel cuore, di sentirle in sé per quello che sono. Ed anche questo, col senso sempre vivo che il godimento finirà, che tutto finisce per l'uomo, per la sua vita personale. Che anche ogni vita personale ha la sua parabola. Come el vin xe la vita, che in prinzipio el xe mosto turbidizzo, che l'osto porta in tola ridendo. Dopo la se fa bona come el bon vin maduro, che nel goto el xe scuro, ma el brila contro luse. La ne diventa in ùltimo asedo che svampissi. Ben par chi che finissi senza vèder quei giorni. Altro no' ocori dir. (Vecio rrwtivo, pag. 115)
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