Linea d'ombra - anno IV - n. 14 - maggio 1986

SCHEDE/CARTOSIO CINEMA L'ESILIODI GARDEL Bruno Cartosio L'occhio spia da lontano una coppia che balla un tango su un ponte, a Parigi. Il tango è il ponte tra due emisferi, l'esperienza che sopravvive a cavallo tra due culture. Il crepuscolo e la distanza dell'occhio sono quelli della memoria. L'inizio è una dichiarazione d'intenti. Tangos, di Fernando Solanas, sarà infatti un film sull'identità e la memoria. È la storia della vita e della messa in scena della "tanguedia" El exilio de Gardel da parte di un gruppo di esuli argentini a Parigi nell'inverno a cavallo tra 1979 e '80. La tanguedia è come la vita: tango più tragedia più commedia. Ricordiamo il Solanas di La hora de los honws, visto tanti anni fa, nel '68. Ricordiamo chi ci raccontava: "Solanas è un geniaccio, intelligente e egocentrico; che ti frega anche, se ne hai bisogno. Sente l'aria che tira come pochi: butta giù la musichetta di una pubblicità e dopo due settimane tutta Buenos Aires la canticchia". La stessa facilità d'invenzione, quella stessa comunicativa la ritroviamo ora nelle ·sue musiche del film. Un po' meno nel suo linguaggio cinematografico. La · facondia populista di vent'anni fa si è fa11.am· c.no irruente; non si può fare un film sulla memoria ed essere tribunizi. Si può invece rimanere dei rapsodi. E Solanas lo è di sicuro, anche se con alcune cadute di stile che disturbano -,- per lo meno fino a quando la tanguedia non prende la mano a lui e a noi. L'amico di allora: "Può l'argentino non essere surreale? Può non essere populista e malinconico? Può non essere diviso? E incocludente? Pensa a tutto quello che non è stato!" E aggiungeva, parlando di sé: "In Europa, poi, un intellettuale argentino è fottuto". Non so bene. Questi discorsi - e altri, ma questi sono quelli pertinenti - mi sono tornati alla memoria guardando Tangos. Il surreale attraversa tutto il film. In modo felice quando è il surreale del quotidiano, quando è immaginazione che prende corpo, paradosso della realtà: i registi della tanguedia che si "rompono", Juan 2 che si affloscia, i fiumi di lettere ("tango di carta") che attraversano l'oceano. Ma anche con cadute sorprendenti: Juan 2 BibliotecaGino Bianco che vede la madre morta e la rincorre in mezzo alla neve ("Voglio dirti cose che non ti ho mai detto ..."). Lo sdoppiamento e l'inconclusività sono uno dei cardini del film: dai manichini onnipresenti al "siamo una persona sola" di J uan 1 e Juan 2 (lo scrittore a Buenos Aires, il compositore a Parigi), dal non-testo della tanguedia alla sua perenne mancanza di finale. "L'unico finale sarebbe il ritorno a casa". Lo sdoppiamento dell'esperienza individuale e collettiva, oltre che dallo scarto tra la musica e la vita, è riproposto continuamente dalle telefonate e dai viaggi tra Parigi e Buenos Aires. Solo in pochi casi i toni sono · quelli del dramma, Solanas la mette più volentieri in commedia o anche in farsa. Le identità divise trovano invece le loro temporanee ricomposizioni nella musica. Tra l'altro qui Solanas è molto chiaro; le sue canzoni sono colonna sonora, mentre i brani di Astor Piazzolla - le musiche della ·tanguedia - sono distillato dell'anima. E quelli della tanguedia sono i momenti alti del film e del discorso di Solanas. È la musica che fornisce l'azimut ai dispersi. È il tango, in quanto musica del popolo. (Certo, prima è venuto il flamenco nella Carmen di Saura). L'astrazione della musica e la concretezza dei corpi che la interpretano sono l'espressione più alta della cultura in cui si compone il dramma di chi rimane in Argentina e di chi rimane a Parigi. Tutti ugualmente in esilio, però. Tangos, di Fernando Solanas. "Carlos Gardel - scriveva Osvaldo Soriano sul "Manifesto" mesi fa - è la nostra voce e la nostra parola: lamentosa, stretta dall'angoscia, intirizzita dal dolore ... Per questo Gardel cresce nell'esilio degli altri. Per gli argentini che vivono all'estero la sua voce restituisce il colore, il sapore di Buenos Aires". Dev'essere così. E deve essere per questo che la tanguedia si intitola L'esilio di Gardel: la voce del popolo è ( era) esiliata dall'Argentina. "Il paese che abbiamo lasciato non esiste più", dice Gerardo a Mariana, mentre in treno vanno verso Boulogne-surMer, alla casa dell'esilio francese di José de San Martin. "Lo so" risponde Mariana, "Non posso dimenticare... È la nostalgia... Non posso accettare l'idea che abbiamo perduto tutto". Lontananza e ricordo, nostalgia: temi facili e sospetti. Qui esprimono in modo credibile il desiderio di appartenere alla totalità della cultura che è propria. Sono denuncia della parzialità di quanto viene fatto, vissuto fuori e lontano del proprio paese. Sono anche, senza dubbio, la condizione che permette di drammatizzare l'esperienza dell'esilio nella recita della tanguedia. Ma la drammatizzazione, a sua volta, acutizza poi la coscienza della parzialità, della lontananza, e quindi acuisce nella vita il senso di privazione. La faccia senza sorriso di Marie Laforèt, Mariana, funziona benissimo in questo senso. Mariana sente di più la nostalgia, soffre di più la

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