88 SCHEDE/PIANTINI il programma di scrivere un'autobiografia non può essere mosso soltanto da quello che è il gioco del ricordo; egli è, ovviamente, uno che ha davanti ancora tutta la vita. Nello scavo autobiografico compiuto quasi foscolianamente in età cosi giovane, c'è l'impegno a voler "mettersi al muro" della sincerità, a compiere un'autoanalisi talmente nuda da corrispondere anche a una rivelazione dei contrasti, degli inghippi, del groviglio di forze storiche, costituenti l'alone e insieme la condizionante atmosfera di cui appunto vive il protagonista. Si potrebbe dire che Guarnieri è riuscito splendidamente in questo suo compito: fin da quei tempi egli appare connotato da un oltranzismo etico ben raro nella nostra letteratura, specie attuale. Egli ha riesumato questo libro praticamente dall'oblio perché era stato diffuso soltanto in 110 copie, in altri tempi, verso l'inizio della seconda guerra mondiale, nel 1941; e poi non si era più sentito parlarne. Anzi allora egli l'aveva presentato non come un'autobiografia sua, ma come una forma di autobiografia di giovane ignoto. E non era egli davvero un giovane ignoto, anche a se stesso, quando si accingeva all'immenso lavoro? "Poco noto ad altrui, poco a me stesso", diceva di sé Manzoni in un famoso sonetto giovanile: ma chi era quel Guamieri che allora scriveva? Quale congerie immensa di notizie su di sé e sugli altri, quasi un Proust poco più che adolescente, egli aveva da portare, da presentare? Qualche remora, appunto per la crudezza e il realismo di quanto scriveva, anche riferendosi a persone viventi, gli aveva imposto almeno un'allusione di maschera. Ma sostanzialmente egli era il biografo di un ignoto nello spettro più largo delle accezioni. Oggi, cadute queste remore, egli appare appunto nella sua realtà di accanito indagatore del brulichio sociale e del brulichio psicologico individuale. Uno degli episodi più straordinari, tra i molti che tramano il libro, è quello che riguarda la ritirata di Caporetto, quel periodo d'acme della prima guerra mondiale, seguito poi dal ritorno vittorioso degli italiani: come era stato visto dagli occhi di un bambino. E l'aspetto quasi mitico che viene ad assumere questa che fu davvero un'epopea nel bene e nel male trova nella prosa di Guamieri una descrizione rara, e da un' ottica che certamente non trova riscontro in alcun altro autore, se non forse in Parise quando si riferisce alla seconda guerra. Vi domina un realismo che paradossalmente coniuga il mitico con il brutale; il Guarnieri che scrive a 28 anni rifà il BibliotecaGino Bianco Guamieri che vede, capisce e pensa da bambino, con le stesse ingenuità ma anche con le stesse crudeltà che i bambini hanno nel vedere le cose. Cosi, saltano fuori tutti i disordini, le debolezze, le incoerenze, lo strazio che sta al di sotto di una società che pure vuole se stessa come fortemente, attivamente "intenzionata" (e che del resto ha anche dimostrato di saper superare i traumi della sconfitta, per arrivare in modo eroico e fervente a vincere la guerra). Anche gli aspetti "popolari" che potè assumere la prima guerra in qualche momento, come appunto nel dopo-Caporetto, durante l'occupazione tedesca nelle zone venete, sono introdotti come un elemento chiarificatore. È vero che, da qualsiasi punto la si guardi, quella guerra, che meglio sarebbe non ci fosse stata, ha tuttavia cementato· il senso dell'unità nazionale; mentre nel contempo aveva aperto la strada a degenerazioni di tipo dittatoriale. E il narrare di Guamieri si muove con estrema bravura in questo labirinto di mutazioni. Si sente in primo luogo che egli non teme di porsi davanti ogni più grande modello della narrativa dell'ottocento e del primo novecento, e che non teme di misurarsi con essi. Egli dà quasi per scontato quest'ottica persino nell'inevitabilità di una presunzione capace di assumersi la responsabilità di un eventuale fallimento. Ma tutto ciò finisce col restare alle spalle di Guamieri: "essi" ci sono, e in molti, "egli", senza tracotanza, qualunque debba essere l'esito, sa che non può andare per la stessa strada, va incontro alla propria "esemplarità" (se pur messa a servizio di tutti). E, compiuto quasi un mostruoso e inebriante pensum, lo seppellisce per decenni. Quanto al movimento stilistico di Guamieri, si rivela subito che egli fu un attento esploratore della prosa di Comisso; ha saputo quasi ricavarne una levità, una leggerezza, una soavità che fanno da pendant alla crudezza, alla precisione, alla violenza delle descrizioni. La sintassi di Guarnieri, pur prendendo certe volte una consistenza che sembra proustiana (ecc.), di immense volute, con pagine molto chiuse, molto fitte, per non dire plumbee, a una più attenta lettura si rivela ben diversa . Essa è infatti ricca di articolazioni anche paratattiche, come mossa da uno sguardo libero che, in fin dei conti, è attivato da una operazione tendente non a disseppellire qualche cosa di morto, ma a svelare qualche cosa che è perennemente vivo, che brucia e brucerà in un "ora" e in un "qui", come di fatto accade a tanta distanza di anni. DIARI IL SEGRETODI Em Leandro Piantini Etty Hillesum era una ragazza ebrea di Amsterdam, studiava letteratura russa, amava la poesia e la filosofia. li diario (Diario 1941-1943, Adelphi, pp. 260, L. 18.000) che è stato pubblicato in Olanda solo nel 1982, ci fa conoscere una persona straordinaria. Veramente, come dice J.G. Gaarlandt, che ha curato l'edizione e ha ricostruito la storia di Etty e le vicende del manoscritto, esso è "uno dei documenti più importanti del nostro tempo". Ci presenta fin dall'inizio una ragazza di 27 anni, di intelligenza vivacissima, colta e curiosa, sessualmente libera e anticonformista, ma soprattutto carica di una tensione umana e intellettuale che gli anni drammatici vissuti dal suo paese (la persecuzione degli Ebrei da parte degli occupanti nazisti) "costringono", si direbbe quasi, a maturare rapidamente e a manifestarsi in pieno. La molla della sua "fioritura" è sicuramente l'amore per Julius Speir (anch'egli ebreo, chiamato sempre S. nel diario), un uomo già anziano, che aveva fatto analisi con Jung e che ad Amsterdam esercitava la professione di chiropsicologo, analizzando i pazienti mediante la lettura della mano. Un uomo "impregnato d'eternità", come Etty dice, personalità magnetica e affascinante, che nella cerchia degli intellettuali ebrei della città svolgeva quasi il ruolo di guida spirituale, e che vive con la ragazza un'esemplare storia d'amore e dà a lei la spinta per approfondire la conoscenza di sé e per sviluppare al massimo la propria spiritualità. li diario racconta la storia di quest'amore, generoso e pieno di fantasia, che innesca in Etty un processo inarrestabile di trasformazione interiore che ella registra, con lucida passione, in tutto il suo svolgimento. Poi S. scomparirà dalla scena, inghiottito dalla furia degli avvenimenti. Ma la ragazza ha vissuto e vivrà ancora di illuminazioni e di scoperte, restando però ben attaccata alla vita e alla realtà, con una resistenza interiore, una forza d'animo e una gioia di vivere che, miracolosamente, crescono e si rafforzano proprio mentre la persecuzione nazista priva lei e la comunità ebraica, un colpo dopo !"altro, di ogni possibilità di vita normale.
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