meno quanto possono esserlo davanti ad un tribunale. Fatto importante, decisivo, interrogato se Guglielma fosse superiore alla Vergine, quando ormai si giocava la sua vita, il Saramita si cavò d'impaccio molto sottilmente dicendo che Guglielma era superiore perché di essenza divina, non lo era ancora perché il suo corpo attendeva di risorgere. Chiaramente per lui, come per altri credenti, Maria occupa nella dottrina cattolica un posto di secondo piano, e solo in quanto madre di Dio, non in quanto donna. Di Guglielma invece si riafferma che è divina senza mediazioni. Anche Maifreda, la sua vicaria in terra, dirà di lei che è superiore a Maria. Tutto ciò che Guglielma ha detto, insegnato è stato dunque inteso e trascritto (non sappiamo se fedelmente alle sue intenzioni, ma questo è ancora un altro problema) come una giusta ridefinizione della natura divina, della sua possibilità di incarnarsi. Il che vuol dire che se Dio non è capace di farsi donna allora non può essere Dio. Perché il maschile e il femminile si dissolvano finalmente in Dio facendo cadere la maschera della vergogna, come vuole un passo del vangelo apocrifo degli egiziani, devono prima ambedue da Dio essere ugualmente visitati. Ma questa eresia non ha un carattere isolato. Ha legami con altre correnti eretiche dell'epoca: quella dei gioachimiti, quella del Libero Spirito. In esse lo Spirito santo veniva considerato come elemento fusionale, unificatore, ilJ'uoco che scioglie le lingue e le fa parlare. La vita. Il suo alito vivificante. Non è dunque il Verbo che parla attraverso Guglielma, ma il fuoco dello Spirito santo che si è incarnato in lei. Ma quel che Cristo, il Figlio, è in un corpo di uomo, Guglielma, lo Spirito santo, lo è in un corpo di donna, ci ricorda il suo teorico, il Saramita, fondendo l'uno nell'altra. Poi è la fine. Riconosciuto colpevole l'eretico viene giustiziato, seguito a breve distanza da suora Maifreda, che pur appartenendo alla potentissima famiglia dei Visconti non viene neppure lei risparmiata. Ecco in sintesi, molto in sintesi, il contenuto di questa singolare eresia che Luisa Muraro ha avuto il merito di rendere cosl attuale, capace di farci meditare sul presente. Dicevo all'inizio che né la morte di Dio né la riaffermazione della sua presenza riescono ad eliminare la fondata impressione che, vivo o morto, Dio continui ad avere un sesso, e che questo sia di genere maschile. Almeno, i suoi messaggi sono inviati sotto sembianze inequivocabili, nonostante la dolce presenza della Madonna che simbolicamente accoglie ed assorbe i chiaroscuri del mondo. Ombra e luce. In modo commovente, quest'eresia ci ricorda, infatti, il tentativo di rendere visibile ciò che ancora non lo era, di dare espressione immediata al divino attraverso il femminile. E ciò che soprattutto commuove è che questo tentativo è rimasto un ingenuo indicibile, un sogno soffocato nel sangue, giacché la complessa e delicata simbologia cattolica, lungi dal sopprimere il femminile, lo ha ripreso e riconfermato nei secoli, in modo affascinante, nella figura della Madonna, sottomettendola, piegandola come natura che solo nella purezza della concezione senza peccato poteva trovare il suo riscatto. In qualche modo, il mondo precristiano, certo più rozzo, meno spirituale in vari suoi aspetti, pure aveva dato più spazio all'unione uomo-donna nella divinità, ne aveva fatto un ideale (l'Alta Coppia di cui parla Bloch in Ateismo nel Cristianesimo) che il Dio ebraico ha spazzato via, inviandoci il suo Figlio solitario, la cui madre, creatura umana, accede per averlo portato in grembo, al divino, intercedendo, da questa posizione acquisita, per tutti gli uomini. La figura della Vergine suscita tuttavia sempre grandi emozioni, ed è entrata cosl intimamente nella simbologia occidentale, non solo religiosa, ma artistica, quotidiana, che è difficile sottrarsi alle sue manifestazioni avvolgenti. Qualche anno fa a Siviglia fui sorpresa da un'immagine che sembrava quella di una giovane cantante o attrice dalla faccia pulita, lievemente BibliotecaGino Bianco DISCUSSIONE patetica. Chiesi chi fosse. Pensavo a qualche idolo del momento. Era invece un idolo eterno. "Es la Virgen" mi rispose l'uomo che stava dietro il banco. Questa abile mescolanza di umanità ed eccezione, di santità e carnalità (attraverso il materno) hanno nel mondo mediterraneo uno strano richiamo, che pure serve a conservare una figura sottomessa, tondeggiante e calda, popolare e raffinata allo stesso tempo. Una maternità incatenata (ed a suo modo incatenante). Punita ed esaltata, contempla sempre una donna tenuta a bada. L'Italia, la Spagna, l'America latina sono gli esempi più chiari di questo culto suggestivo, nel bene e nel male che ne derivano. Per questo, ad esempio, il saggio che Julia Kristeva ha dedicato all'argomento, Eretica dell'amore (La Rosa 1979; ispirandosi ad un altro bel libro sulla Vergine di Marina Warner, Sola tra le donne, Sellerio 1980), anche se molto critico e consapevole di quanto il mito della Vergine ha oggi di inattuale, appare in qualche punto ambiguo e riavvolto nella suggestione potentissima della simbologia virginale e materna del Cattolicesimo, con la quale solo può competere forse quella delle Sirene. Rischia qualche volta impercettibilmente quel saggio di confondere, infatti, quanto di bello e di grande ha ispirato artisticamente, umanamente la figura della Madonna con la concezione teologica che la sostiene, di avallarla inavvertitamente attraverso l'esaltazione incantata dell'amore materno, capace di vincere la morte, di farla, cioè, sopportare. Di tutto questo la Chiesa si è sottilmente e da tempo appropriata, affondando nelle pieghe dell'indicibile biologico e recuperandolo: esiste anche, fra le tante, una Madonna protettrice degli Annegati... Ma ecco che proprio qui, nel punto della rappresentazione più alta di questo mito della donna madre, il nostro pensiero ritorna ai poveri eretici del '300, a Guglielma, al Saramita, a suor Maifreda e ai loro devoti, e ancora una volta ci pare che essi avessero insistito nel senso giusto quando proponevano una figura divina portatrice di vita che si manifestasse in modo diverso attraverso il corpo di una donna. Per questo la distinguevano cosl chiaramente da quella della Vergine. Non è un caso che proprio dall'America latina, dalla teologia della liberazione, ci venga oggi, consapevole più che mai delle manchevolezze della dottrina cattolica nei confronti della donna, un libro che nei limiti dell'ortodossia ci ricorda la passione riparatrice che fu tanti secoli fa del Saramita. Il libro, che è di Leonardo Boff, ha un titolo significativo, Il volto materno di Dio (Queriniana 1981) e trae spunto, oltre che da qualche peregrina frase biblica, dalle parole che aveva pronunciato quella meteora che fu per questa terra papa Luciani. Anche in questo caso l'appassionato tentativo di riparazione è commovente, ma non muove in sostanza nulla del resistente materiale simbolico che invece quella lontana eresia, di cui si è occupata L. Muraro, aveva tentato di scardinare. Il teologo che scrive vive nella tormentata realtà dell'America latina e le sue pagine traboccano di sincero amore mariano. La Vergine torna ad avere in quella realtà un ruolo rivoluzionario: liberatrice degli oppressi, risolutrice delle più gravi difficoltà. Ma per quel che riguarda il problema della posizione subalterna di Maria e della nat~ra cristocentrica della vicenda religiosa cattolica non si nota alcun sostanziale cambiamento. Il teologo tenta di affrontare il problema del sess? in cui Dio ha scelto di incarnarsi avvalendosi soprattutto degli apporti di Jung e Neumann. Con un sottile distinguo, Boff separa il maschile dal femminile, l'uomo dalla donna. Uomo e donna sono i corpi sessuati, maschile e femminile sono le categorie ar-
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