Linea d'ombra - anno IV - n. 14 - maggio 1986

Un dato curioso proviene dalla tabella intitolata Elemento che ha determinato la scelta dell'ultimo libro letto, dove si rivela la manifesta inutilità delle recensioni: solo il 6,7% legge un libro perché qualcuno lo ha recensito, contro il 13,5% che segue il consiglio di un insegnante e il 13,0% che genericamen- . te si affida al "consiglio di un'altra persona". La fedeltà all'autore motiva il 9,5% delle scelte, la coincidenza con un film il 5,0%, la pubblicità il 4,6%. La grande maggioranza, il 40,3% sceglie in base all' "argomento del libro": i lettori sembrano degli incorreggibili contenutisti. (Un inciso per difendere, non disinteressatamente, i recensori: da cosa apprendono i lettori l'argomento del libro - e a volte la sua stessa esistenza - se non dal recensore? Certo, tanto varrebbe sostituirlo con una buona pubblicità. Ma in fondo agli editori costa meno spedire qualche copia e fare qualche telefonata in giro... ). Mancanza di abitudine Il dato però più interessante dell'intera indagine è un altro: e non riguarda l'universo della lettura, ma le motivazioni della non lettura. Non è per pessimismo ad oltranza che abbiamo voluto sottolineare, al posto di quel 46,6% di trionfalmente accolti "lettori", il suo negletto contrario: il 53,4% di non lettori. C'è in questo dato una grande ricchezza di indicazioni; e l'Istat ha provato a indagare le motivazioni di questa tetragona indisponibilità a leggere. Ad un primo sguardo però le risposte sembrano assai poco significative: il 35,2% afferma di non leggere per mancanza di abitudine, il 29,4% per il poco tempo a disposizione, l' 11,1 % per difficoltà della vista o della concentrazione. Motivi inafferrabili, talmente sfuggenti e imprecisi che sembrerebbero rimandare ad altro. Cos'è l'abitudine? Non c'è cosa che si acquisti con più difficoltà o che sia, invece, più difficile da perdere. E la difficoltà di concentrazione non deriva forse dall'abitudine? Quella del poco tempo libero sembra poi più una scusa imbarazzata (una excusatio non petita) che una motivazione: nei paesi industriali è ormai generale la tendenza all'espansione del tempo libero. Da questo punto di vista, la massa dei non lettori si presenta dunque come sostanzialmente impenetrabile; tra l'altro più di un terzo di loro (il 33,9%) ha dichiarato di non avere alcuna aspirazione alla lettura di libri. Su questa rocciosa resistenza si infrangono le speranze di chi pensa che la situazione muterebbe migliorando prodotti e strutture: solo il 3,4% attribuisce la propria non lettura al costo elevato dei libri, solo il 3,0% alla complessità del linguaggio, solo lo 0,2% alla mancanza di librerie e edicole, solo un altro 0,2% alla mancanza di biblioteche. Tanti bene intenzionati discorsi sulla necessità di migliorare ("adeguare") i prodotti e la rete distributiva mostrano qui di contare, almeno all'immediato, pochissimo. Il problema sembra radicalmente un altro: quello di una pregiudiziale indifferenza per la lettura, di un mancato riconoscimento del suo valore (formativo, conoscitivo, evasivo). Cosl, dietro la loro apparente inafferrabilità, proprio i dati relativi a chi non legge nemmeno un libro l'anno lasciano intravedere i reali problemi della lettura in Italia. Si prenda il 29,4% che dice di non avere tempo. Non è la quantità del tempo libero in Italia ad essere in diminuzione (nonostante lavori neri, doppio lavoro, straordinari, premi di produzione); è la qualità ad esere profondamente mutata. Dai dati Istat risulterebbe che chi vede di più la tv, legge di più. E anche che legge di più chi vive nelle grandi città. Ci sarebbe insomma una dimensione del consumo culturale entro cui si collocherebbe la lettura, e non un'alternativa tra lettura e altri consumi. Ma qui il dato puramente quantitativo andrebbe integrato; e anzi, poiché questa situazione di espansione dei consumi culturali (cioè quasi esclusivamente della tv) è in Italia assai recente, si dovrebbe provare ad immaginare il futuro di questa conBibliotecaGino Bianco DISCUSSIONE vivenza. Più che i dati che registrano una situazione, diventano decisive le tendenze; come per esempio quella della caduta complessiva di importanza e di prestigio sociale della produzione libraria, fenomeno dagli aspetti molteplici e inequivocabili (i più evidenti sono forse quelli che riguardano l'eclissi culturale delle figure professionalmente legate all'esistenza del libro: dallo scrittore al recensore, dal bibliotecario al libraio, dal critico all'editore). Ci sembra più interessante ragionare su questo fenomeno che non fermarsi puramente ai dati. Tornando a quel nodo anche simbolicamente decisivo del rapporto tra lettura e tv, si può rilevare che l'importante non è stabilire se la tv sottragga o no tempo alla lettura, ma riconoscere che comunque modifica la qualità del nostro tempo libero, scandendolo secondo ritmi suoi propri (quanto, e in modo perlopiù nefasto, parte della produzione libraria abbia tentato di adeguarsi a questi ritmi, sarebbe un altro discorso interessante da affrontare). Come ha osservato Giuseppe Vacca, quella che cambia è "la disposizione psicologica verso la lettura del libro (che richiede un tempo disteso, concentrato, 'lineare', protetto)" (Il destino del libro, Editori Riuniti 1984). Priva di qualsiasi "protezione" la lettura rischia di soccombere: come potrebbe conciliarsi la sua irrimediabile "passività" con l'iperattivismo che caratterizza la vita contemporanea? Non è cosl vero infatti che la ricezione della tv sia passiva. Anzi il telecomando dà una sorta di onnipotenza, un'ebbrezza di dominio (uno può "montarsi" liberamente da sé il suo programma). Mentre la lettura, benché possa interrompersi quando si vuole, appare come qualcosa di meno manipolabile, constringe ad una certa "passività", anche solo immediata. Una passività che certo può divenire molto "creativa", ma solo su tempi lunghi, inverificabili. Ci sembra poi contestabile il luogo comune per cui con la tv "si evade". Più che il desiderio di evadere dopo una lunga giornata lavorativa oggi ci sembra diffusa, come ci mostra molta sociologia americana, la paura di evadere davvero da un io sempre più insicuro e precario. ~obabilmente la fruizione televisiva è "distratta" perché non s1vuole (o non si può) distogliere l'attenzione da sé più di tanto. Sull'insieme di questi terni occorrerebbe però un'analisi più approfondita e il meno condizionata possibile dalle categorie tradizionali. Tornando al commento sui dati, ci sembra plausibile ipotizzare che se chi non legge mai non vede neppure molto la tv, chi è abituato a vedere molta tv legge poco e male; soprattutto è destinato a leggere sempre meno e sempre peggio. Oltre ad un'area di emarginazione quasi totale dai consumi culturali e spettacolari, ci sarebbe insomma un territorio (di urbanizzati, scolarizzati) che tv e lettura sembrano destinati a contendersi. Un altro aspetto che emerge dai dati relativi ai motivi della non lettura rivela i tratti di un'autentica sciagura culturale: la percentuale di chi adduce a motivo di non lettura la mancanza di abitudine tocca la punta del 42,5% nella fascia tra i 14 e i 24 anni. È un dato che mette inequivocabilmente sotto accusa le istituzioni scolastiche; ma è anche il segnale più eclatante della assoluta assenza di qualsiasi politica di promozione della lettura. Qui l'inefficienza delle strutture, che in assoluto come abbiamo visto ha un'incidenza assai relativa, conta probabilmente di più. Ma il problema rimane di fondo: non c'è nessun tentativo di rovesciare una situazione che gli storici attribuiscono in particolare a tutta l'Europa cattolica, per cui "la lettura non poteva essere un'abitudine; certamente non era collegata

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