DISCUSSIONE immobilità della cultura nazionale sull'insofferenza di chi di cultura (nazionale e internazionale) è stucco e saturo, perché da troppo tempo non sa più per quali vie la cultura possa trarre alimento dalla dinamica storica, e tradursi cosi in un progetto per il futuro, in una rinnovata tensione politica e ideale. Trovare queste vie, certo, è compito tutt'altro che facile. Ma è anche l'unico modo per capire che cosa non funziona nella realtà odierna. Altrimenti tanto vale rassegnarsi alla stagnazione. E annoverare fra chi recita un vecchio copione anche quello che, oh Cielo, che ovatta, che felpa, che soft. LETTORNI,ONLETTORQI, UASLI ETTORI Filippo La Porta, Marino Sinibaldi "I francesi non leggono, a quanto pare", si lamenta Tzvetan Todorov all'inizio del suo recente Critica della critica. In Germania, storica terra di libri (e di lettori), recriminazioni del genere sono all'ordine del giorno, e non solo tra i critici più apocalittici. Negli Stati Uniti - se non altro sotto forma di un'allarmata discussione sul "cosa" si legge - interrogativi sul futuro della letteratura provocano risposte preoccupate e pessimistiche profezie. In Italia invece la pubblicazione di un'indagine Istat effettuata nel 1983 (Sulla lettura e gli altri aspetti dell'impiego del tempo libero, che si occupa della lettura di libri, quotidiani e periodici, oltre che delle trasmissioni tv), assieme ad avvenimenti più contingenti (gli aumenti delle vendite librarie natalizie, la crescita del fatturato di quasi tutte le principali case editrici) pare aver scatenato una piccola ventata di speranza e di ottimismo che ha subito trovato bendisposti cantori. Prontamente alcuni giornali hanno sfornato titoli ad hoc: Sorpresa: l'italiano legge, eccome ("Il Giorno"), Ora si legge di più ("L'Avvenire"), e perfino L'Italia che legge s'è desta ("Il Tempo"). Strano. Proprio una lettura più accurata dei dati Istat dovrebbe consigliare una certa prudenza. Ma nemmeno su questi problemi per molti versi marginali è ormai lecito aspettarsi una certa obiettività: c'è sempre l'apologeta pronto a spiegare che anche qui la situazione cambia in meglio, e che se non viviamo nel migliore dei mondi possibili, poco ci manca, ormai. Proviamo dunque a partire da quei dati che, benché parziali e insufficienti come quelli di tutti i sondaggi, hanno almeno il vantaggio di aver riguardato un campione assai vasto (71.804 persone dai 6 anni in su, distribuite in 982 comuni italiani). Secondo l'Istat la categoria dei lettori di libri è passata dal 24,4% del 1973 al 46,6% degli italiani. Questo il dato che più ha colpito l'immaginazione di critici e cronisti, generando reazioni al limite dell'entusiasmo. Ma va subito sottolineato che questo dato (46,6% di lettori) si riferisce a chi legge almeno un libro all'anno; da questo punto di vista - viene subito da rilevare - il dato significativo sarebbe piuttosto che il 53,4% degli italiani non legge nemmeno un libro (anzi confessa di non leggere nemmeno un libro, cosa che è con ogni probabilità diversa). Ma poi, la distinzione in realtà fondamentale è quella, usata già da Gian Carlo Ferretti in Il mercato delle lettere (Einaudi, 1979), tra "il pubblico che legge e quello che non legge affatto, o quasi". Diventa allora decisivo stabilire quanti libri leggono in realtà quel 46?6% di (sedicenti) lettori. SeconBibliotecaGino Bianco do l'Istat la grande maggioranza di loro (60,2%) legge da uno a cinque libri; il 21,8% legge da sei a dieci libri; il 18% oltre dieci libri. Solo questi ultimi ci sembra possano essere legittimamente definiti lettori (e cioè, per esempio, pubblico della letteratura, consumatori dell'industria editoriale): il 18% di quel 46,6%, ossia, in termini assoluti, poco più dell'8% degli italiani. A giustificare ancora meno il trionfalismo, ci sarebbe il raffronto con i dati di altri paesi (tenendo sempre presente che confronti di questo tipo hanno valore relativo, e puramente indicativo, per la differenza dei campioni e dei metodi di rilevazione). Negli anni Settanta comunque, al dato italiano del 24,4% di lettori faceva riscontro, per esempio, il 69% svizzero, il 56% francese, il 40% spagnolo (sotto il franchismo!). Questo gap è rimasto sostanzialmente invariato. Prendendo come riferimento plausibile la Francia (che è certo paese di alfabetizzazione meno recente e scolarità più diffusa, ma non ha la tradizione editoriale tedesca né il mercato americano) il paragone è ancora, per noi, desolante: nel 1981 in Francia il 74% ha letto almeno un libro; il 44% ne ha letti oltre dieci (ossia, in termini assoluti, corea il 32% dei francesi contro quell'8% di italiani). Sono, ripetiamolo, dati sparsi, non troppo attendibili, senza alcuna pretesa di scientificità. Ma estremamente significativi e per niente entusiasmanti. Anni di carta Eppure l'aumento c'è stato: che in dieci anni i "lettori" - nell'accezione davvero estensiva di "chi legge almeno un libro l'anno" - siano circa due terzi di più è un dato che non può lasciare indifferenti, anche dopo aver fatto la tara su ingiustificati (e quasi sempre, in qualche modo, interessati) entusiasmi. E la dice lunga sui complessi processi che hanno attraversato l'Italia nel decennio che è alle nostre spalle. Questo dato pare confermare che sono stati, gli anni settanta, quelli di una rottura culturale forse senza precedenti; che tra le sue conseguenze ha avuto una diffusione del libro molto al di là dei tradizionali circuiti di lettura e circoli di lettori. Alla base, ovviamente, c'è anzitutto l'espansione della scolarizzazione, la scuola di massa; ma anche fenomeni più complessi, come per esempio l'enorme sviluppo della partecipazione politica, che ha indubbiamente determinato una tensione conoscitiva che nel libro e nella lettura pareva trovare le risposte più adeguate. Tutte cose risapute, ma che trovano in questi dati una conferma significativa, anche se parziale. Parziale perché il fenomeno ha comunque avuto dimensioni ridotte; in questi dieci anni infatti all'interno dell'area di "lettori" la percentuale di chi legge almeno cinque libri l'anno è passata dal 57,6% al 60,2%; quella di chi legge da sei a dieci libri è passata dal 23,0% al 21,8; quella di chi legge più di dieci libri dal 18,6 al 18,0. Rimanendo queste percentuali pressoché invariate, l'Istat ha dedotto che l'aumento ha riguardato uniformemente tutte le fasce di lettori. Ma, ragionando su un mercato strutturalmente ristretto, anche variazioni minime sono significative. E portano alla conclusione che ad essere aumentati di più sono i lettori di pochissimi libri (o un solo libro) l'anno. Nelle pieghe dell'indagine lstat non mancano altri dati interessanti. Per esempio quello sul genere di libri letti: la narrativa italiana è preferita dal 63,4% dei lettori, contro il 29,7% della narrativa straniera. Situazione che sembra contraddire le classifiche dei best-sellers, dove sono frequentemente in testa libri stranieri, e gli unici italiani in grado di contendere quelle posizioni sono di genere similsaggistico (Biagi, Alberoni, Ottone, etc.). In realtà la predilezione, in queste dimensioni, per la narrativa italiana sembra confermare il peso dei lettori di un unico libro o poco più, e dei motivi occasionali e discontinui di lettura (un concorso, un esame): motivi che non creano lettori.
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