DISCUSSIONE re. D'altra parte, precisamente in quella tentazione sta il rischio di istituzionalizzazione della satira. Vaie a dire, di de-satirizzazione della satira stessa. L'istituzionalizzazione della satira, il suo trasformarsi in genere letterario e sotto-funzione politica (strettamente finalizzata, voglio dire, agli schieramenti interni al sistema politico: a ciò sembrano ridursi irrimediabilmente i disegni di Forattini) ha prodotto anche questo. Il fatto che tutti gli uomini politici si vantino di richiedere agli autori i disegni in cui vengono ritratti (e il fatto che tutti gli autori se ne compiacciano e lo segnalino come ratifica del proprio successo) è prova di raggiunta maturità del sistema di potere o, piuttosto, indice della sua maggiore capacità di assimilazione e, alla resa dei conti, di indifferenza e sordità? E allora, vale la pena domandarsi: quale satira politica è mai questa se non solo tollera, ma addirittura prevede, mette nel conto e, direi, programma l'inefficacia e l'inoffensività del proprio discorso? E dunque, preventivamente, lo disinnesca? Quale satira politica è mai questa se consente al bersaglio di trasformarsi in commi,ttente? Se concede al virtuale obiettivo la possibilità di spostarsi e di assumere il ruolo di mandante e tutore? E non è forse questo, a ben vedere, anche il rapporto che lega il Bobo di Staino all'oggetto della sua satira? In particolare, nelle circostanze e nei luoghi - quelli del partito - dove più sovente viene enfatizzato. Di conseguenza, quella che dovrebbe essere una funzione critica, corrosiva, incalzante non si trasforma forse - proprio in ragione della sede che la ospita e del clima che le viene creato intorno - in attività rassicurante, conciliativa e, direi, narcisis.tica? Diverso sarebbe, insomma, il senso del lavoro di Staino - sorvolando, per un attimo, sulle altre perplessità già dette - se venisse svolto, che so?, sulle colonne della "Stampa" o del "Corriere della Sera". Svolto sulle pagine de "LUnità" è come se appunto, tutti i giorni, i bersagli della sua satira, da Achille Occhetto ad Armando Cossutta a ciascun membro del Comitato Centrale, gli "chiedessero in omaggio i disegni originali". Nulla di disdicevole, beninteso, ma - d'altra parte - nulla o quasi che abbia a che vedere con la satira politica. Si tratta, bensl, di un genere assimilabile a quello frequentato dai cronisti parlamentari. Gente ironica, certo, ma di un humor asfittico e iniziatico, fatto di ammiccamenti e di strizzatine d'occhio, di sguardi d'intesa e di gomitate complici. Non è, questo, un rischio solo di Staino, evidentemente: si specchia nei suoi malvezzi - è palese - tanta parte della cultura nazionale. P.S. Dopo di che e dopo che questo testo già era stato completato, viene varato "Tango", inserto settimanale de "L'Unità", ideato curato e diretto dallo stesso Staino. I numeri finora usciti suggeriscono una impressione contradditoria: la satira nei confronti del partito e della cultura comunista perde un po' del suo carattere conventicolare e reducistico, tutto interno allo stesso "senso comune" oggetto della satira (merito, questo, anche dei numerosi disegnatori non comunisti che collaborano al supplemento): e, tuttavia, è proprio l'insieme del prodotto, il complessivo discorso satirico, che rivela una estrema debolezza. Per un verso, ne risulta desolatamente confermata l'assenza in Italia di scrittori satirici di valore (a parte le risapute eccezioni); per altro verso, "Tango" si mostra incapace di "tenere insieme" i diversi, talvolta bravissimi, disegnatori e di "organizzarli" intorno a una idea; a una traccia comune, a un bersaglio. BibliotecaGino Bianco Il rischio è di risultare, dunque, una copia - più ampia e diluita - del "Satyricon" (l'inserto di "Repubblica"). Che è tutto dire, davvero. Siamo, comunque, appena alle prime prove: una valutazione più accurata e attendibile si potrà dare solo in seguito. LABONACCIDAIQUESTIANNI SECONDAORBASINO Mario Barenghi In una serie di articoli apparsi su "Repubblica" (1, 6-7, 9 aprile) Alberto Arbasino ha tracciato un quadro della cultura italiana in sé non originalissimo, ma senz'altro significativo. Significativo non foss'altro perché, ad onta dei numerosi giudizi sommari buttati Il en passant un po' dovunque, gli sforzi di sintesi sull'attualità sono piuttosto rari, e in genere anche abbastanza sfocati. Già il tentativo è dunque un primo e non piccolo titolo di merito. Ma ve ne sono altri. La maggior parte delle considerazioni di Arbasino rispondono a verità. La "grande quiete" in cui versa complessivamente la cultura italiana. Il senso di immobilità, prodotto dall'annullarsi reciproco di tanti piccoli ineffettuali spostamenti interni: frenesie di corto respiro, gestucci, brulichii che non turbano il senso di generale stagnazione. La mancanza di un effettivo dibattito: di polemiche stimolanti, di controversie significative. La mancanza di personalità nuove e robuste, e il basso profilo dell'insieme, caratterizzato tutt'al più dall'emergere dell'attività culturale in una quantità di iniziative di poco o nullo momento, subito spente in sé, paghe e anzi orgogliose della nicchia istituzionale loro concessa. Il senso di una frattura con il passato, il delinearsi di una rinnovata domanda; ma la sostanziale povertà della produzione letteraria odierna rispetto a quella degli anni Cinquanta, che pure allora non destava particolari compiacimenti o entusiasmi. In tutto questo, e in altro ancora, Arbasino ha ragione. Ma se dalla registrazione dei sintomi vogliamo passare all'analisi delle cause, dai suoi articoli non ricaviamo nulla, o quasi. Un po', a dire il vero, ce lo aspettavamo. Arbasino, non da oggi, mette un'intelligenza non comune e una cultura invidiabile al servizio di una "deliziosa" superficialità. Cosl, il suo quadro d'insieme è efficace e ricco di humor: ma una volta arrivati in fondo all'elegante serie di piccoli tocchi rapidi, di allusioni graffianti e rattenute, di esemplificazioni icastiche e fugaci, di schizzi, di finte e di colpi di fioretto, abbiamo l'impressione di non aver imparato nulla che già non sapessimo. Il raffinato stilista è un diagnosta assai povero. Che sia anche un degno campione delle situazione che denuncia? Vogliamo credere di no, e per questo cerchiamo di capire che cosa nel suo discorso non quadra. .Quando si tratta di indicare le ragioni di tanto uggiosa bonaccia, Arbasino oscilla fra due diversi indirizzi esplicativi. Uno, squisitamente sociologico e di remota origine francofortese, prende di mira le condizioni generali in cui, nella moderna società capitalistico-industriale, è destinata a ridursi la cultura: sminuzzata, sterilizzata, avvilita ad inerte repertorio merceologico. A lungo andare, non c'è prpdotto intellettuale o artistico che non sappia del cellophan del supermercato o dell'inchiostro dei timbri delle autorità competenti. L'altro, di sapore più moralistico e personale, chiama in causa il diffuso involgarimento del gusto, il dilagare della presunzione e dell'ignoranza, lo scadimento generalizzato del materiale umano: laddove, fino a non molto tempo fa, la letteratura sapeva ancora procurare felicità e rabbia, circolavano ancora dei "mostri sacri", c'erano ancora dei "grandi reclusi" da scoprire, eccetera. Può darsi che in
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