indagine ad ampio raggio, di un giro d'orizzonte rivelatore, di una "ottica complessiva". Cosa che non ha. a mio avviso, l'opera di Sergio Staino. Il suo personaggio, Bobo, costituisce la contrapposizione speculare di Cipputi: anche Bobo "interpreta" un segmento di sinistra italiana, quella del 30-40enne, già extraparlamentare e ora comunista, già estremista e ora moderato, già moralista e ora, ahimé, edonista. Ma qui - nel caso di Bobo, voglio dire - lo sguardo "di categoria" resta irreparabilmente tale, l'angustia della prospettiva tende a restringersi sempre più, la parzialità dell'ottica si riduce spesso e volentieri a piccineria. Insomma. nel caso di Bobo, l'alternativa tra tradizione e innovazione, tra continuità e rottura. tra giacobinismo e riformismo - alternativa presente in tutta la sinistra e così esemplarmente disegnata dalla figura di Cipputi - si traduce nell'incertezza del militante tra le vacanze a Mosca e le vacanze nelle Maldive. E ciò che sconforta è che davvero quella, proprio quella. sembra essere l'alternativa. Il motivo di tale sensazione credo sia il seguente: Staino propone un'idea di novità tutta ed esclusivamente affidata alla dimensione del gesto e del costume, dello stile e del look: e tutta incondizionatamente focalizzata sui consumi culturali e sulle "oscillazioni" nei gusti, nelle mode, nei tic,. negli hobbies. Il "rinnovamento della cultura comunista" che attraverso le sue strisce viene comunicato non è, dunque, riferito alla lettura della società italiana e dei suoi mutamenti sociali ed economici, dei suoi interessi e delle sue attese (cosa che c'è, eccome!, in Altan): ma è un "rinnovamento" riferito esclusivamente all'ambito delle preferenze culturali e degli stili di comportamento. Un "rinnovamento" che sembra avere come scenario un conflitto tra. poniamo, Bufalini (Molotov, il filosovietico, la burocrazia di partito) che sta dalla parte degli Inti Illimani, e Staino (Bobo, l'iscritto recente, il ragazzo della Fgci, il militante della Lega Ambiente) che sta dalla parte di Paolo Conte e di Francesco Guccini; "Bufalini" che vuole vedere La Corazzata Potemkin e "Staino" che preferisce Apocalypse Now; "Bufalini" che legge solo "Critica Marxista" e "Staino" che fa collezione di "Lancio Story"; "Bufalini" che coltiva come modelli femminili Irma Bandiera e Nilde Jotti e "Bobo" che fantastica su Stefania Sandrelli e Natassia Kinski. E così, a un "Bufalini" irrigidito nell'immagine del Ferrini di Quelli della notte, si contrappone l'immagine, altrettanto esorcistica. di un militante emancipato in quanto "spregiudicato". E quest'ultima sembra davvero diventare una parola. e un concetto, chiave: la "spregiudicatezza" quale misura dell'autonomia di giudizio e, in ultima istanza, della libertà di pensiero. Cosa che, palesemente, non è. Mi si potrebbe replicare: perché caricare di tanta responsabilità un disegnatore satirico? perché sovra-dimensionarlo? Per due ragioni essenzialmente: perché Staino è il più rappresentativo opinion maker di una tendenza (una "corrente"), fortemente visibile nella sinistra e nel Pci; una tendenza che ha, della novità, una concezione solo stilistico-gestuale e che concentra sull'enfasi del dettaglio un conflitto che invece coinvolge la sostanza - la natura profonda - delle cose. Seconda ragione: perché è il Pci stesso ad attribuirgli tanta "rappresentatività". Il Pci, i suoi organi di stampa, i suoi intellettuali così interpre- "'t>l(i~/ Ai 1CJO AMICO FfZEUC>ffé I MIEI l FICiLI NONCONOSCO/IO ~ C€1Z1E PORCHERIE /~I ( ~ BibliotecaGino Bianco DISCUSSIONE tano Bobo: come la dimostrazione di una acquisita "spregiudicatezza", di una conquistata libertà d'opinione, di una raggiunta maturità pluralista. E così, scopertamente - un po' ingenuamente e fanciullescamente - ne gongolano. Come le suorine che ridono, con gaia ritrosìa. della madre superiora, compiaciute di non mostrarsi "musone". E la frase: "siamo capaci anche di ridere di noi stessi" torna insistentemente, di questi tempi, sulla stampa comunista (riferita nella stragrande maggioranza dei casi proprio a Bobo). Ma quel ridere, oltre ad essere esorcistico e autoassolutorio, sembra davvero privo di consapevolezza: la con~volezza della complessità e della tragicità delle cose che troviamo, invece, in Altan. E motivatamente. La crisi che Bobo registra è, al più, la crisi generazionale di un gruppo sociale in riflusso, che ha scoperto davvero molto tardi (sembrerebbe proprio l'altro ieri) che il flusso (la trasformazione, la rottura. la "rivoluzione") non era. non poteva essere, una concezione della vita tutta affidata al materialismo dialettico e al realismo socialista; un gruppo sociale che, dopo essersi sentito colpevole per il fatto di amare - clandestinamente - Marilyn Monroe e Tex Willer, rischia di credere che in questo consista "lo strappo": nell'amarli apertamente, ora. Marilyn Monroe e Tex Willer. (Mi diceva un ex dirigente di un gruppuscolo marxista-leninista: oggi vado con più soddisfazione e sollievo allo stadio perché, ogni volta, mi ricordo di quando, dieci-quindici anni fa. quei bigotti dei miei compagni mi colpevolizzavano solo perché seguivo Tutto il calcio minuto per minuto. Vorrei rispondergli: ma topolino mio, ti sei mai chiesto se fossero più bigotti loro, o più pirla tu? ieri nella mortificazione, oggi nel sollievo...) Non credo di esagerare: è una classica "sindrome del reduce", questa; e palesemente è, innanzitutto, ai "reduci" - ridondanti grandi nostalgie e piccole memorie, devastanti narcisismi e sub-culture tribali, affollate di miti (Luigi Tenco, Gino Paoli, Paolo Conte; Valentina. Corto Maltese, Alack Sinner; Gigi Meroni, Livio Berruti, Cassius Clay; Tomas Milian, Lou Castel, Clint Eastwood ... li conosco tutti perfettamente: appartengono anche a me) - è innanzitutto ai "reduci", dicevo, che Staino si rivolge. Ora. va ricordato che - come dimostrano tutte le analisi condotte sulla macchina organizzativa del Pci (da quella di Chiara Sebastiani a quella di Sidney Tarrow e Peter Lange) - il quadro intermedio del partito comunista, la fascia dell'apparato, del funzionariato, delle leadership locali, hanno attinto ampiamente proprio in quei gruppi sociali e generazionali: gruppi connotati dalla giovane età, dalla brevissima anzianità di iscrizione al partito, dalla carenza di precedenti lavorativi e professionali, dall'esiguità di esperienze sociali (di "movimento", di "lotta", di "mobilitazione"). Presso quei gruppi e ceti, Bobo giustamente va forte. Giustamente ne rappresenta le crisi e le crisette esistenziali: quelle della pubertà politico-culturale. La crisi che Altan registra è, invece, una crisi generale. Attraverso i suoi disegni e la sua lingua, è della rivoluzione tecnologica e della ristrutturazione produttiva che si parla: della crisi d'identità dei salariati come crisi del sistema di bisogni e di attese, di valori e di interessi di una intera società. Qui sta il fondo tragico del suo umorismo. Evidentemente, Altan parla di quella tragedia con forte unilateralità, ma con altrettanto forte capacità di coinvolgimento collettivo: e in tal modo, attraverso quegli operai ("così metalmeccanici" e "così per il sì" al referendum), de nobis fabula narratur. E così facendo, si sottrae e ci sottrae alla tentazione conventicolare di "parlare tanto male di noi" per poterci tanto velocemente assolve-
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