DISCUSSIONE ALTANESTAINO. LASATIRAPOLITICAE LASINISTRA Luigi Manconi Se la satira politica è politica. non è forse pretestuoso utilizzarla per leggere in essa e attraverso essa - oltre che le avventure, le felicità e le miserie del genere- anche alcune tendenze dei costumi politici e culturali di questo paese. O meglio, del senso comune politico-culturale di quella piccola borghesia intellettuale, alla quale a pieno titolo, direi trionfalmente, apparteniamo tutti: lettori e scrittori di questa rivista. per esempio (mi riferisco, tra l'altro, alle considerazioni svolte da Alfonso Berardinelli nel n. 11 di "Linea d'ombra"). Non deve stupire, dunque, se il discorso sulla satira assume una così forte intonazione "ideologica" e se parlando di Altane Sergio Staino, come mi accingo a fare, userò formule e schemi, chiavi di lettura e criteri intepretativi, propri del confronto interno alla cultura convenzionalmente definita "di sinistra"; di più: strettamente intrecciati ai termini del conflitto che attraversa e lacera attualmente il Pci. La fragilità della storia recente della satira in Italia e, per altro verso, la preponderanza che ha, nel dibattito politico-culturale di questo paese, la logica degli schieramenti e le opzioni di parte, possono dare a un discorso sul fumetto lo spessore di una contesa teorica e la pregnanza di un contrasto ideale. E d'altra parte, è inevitabile che - dopo un quindicennio di indisturbati sghignazzi antidemocristianiuna satira, solo di recente indirizzata anche contro la sinistra. debba fare i conti con se stessa e debba verificare la possibilità di un sarcasmo autoriflesso e autoriflessivo. (Cosa che Renato Calligaro aveva capito tanto tempo fa, e io no.) Ma è proprio a questo punto che il discorso, piuttosto che semplificarsi, si ingarbuglia; piuttosto che attingere occasioni, slancio e risorse dal moltiplicarsi dei possibili bersagli, anche "interni", rischia l'afasia per eccesso di petulanza. vanità e consapevolezza di sé. È quanto proverò a verificare prendendo in considerazione, contestualmente, il lavoro di Altan e quello di Staino. Accostarli è inevitabile: entrambi comunisti, entrambi presenti assiduamente sulla stampa comunista, entrambi variamente espressivi della crisi di identità del partito comunista italiano - e comunque, come tali vissuti e "rappresentati" dai diretti interessati (i comunisti, appunto). Ma altrettanto evidente è la distanza che separa le rispettive "concezioni del mondo". A rivelarla. quella distanza, è innanzitutto l'uso che ognuno di essi fa dello strumento letterario, della lingua delle strisce. In Altan, tale uso è duttile e sapiente, giungendo a configurare una ricchissima operazione numetica. Altan può farlo perché, nel suo lavoro, ricorre a mille "dialetti locali" - di gruppo, di professione, di ambienti, di enclave culturale, di status sociale - elaborando, per ciascuno, formule sintetiche e di rapido impatto, dove le frasi fatte, il linguaggio corrente, il luogo comune mai decadono a sciatteria e banalità. E dove, piuttosto, quella frase fatta ha la pertinenza. e l'attendibilità, di un profilo "sociologico". Nel caso delle strisce di Staino, si ha invece un linguaggio di gruppo (un gergo in senso stretto) che rimanda BibliotecaGino Bianco alla subcultura di un segmento di quella piccola borghesia intellettuale di cui si diceva e di cui, più avanti, tenterò di illustrare i tratti. È certo, comunque, che nel lavoro di Altan il testo scritto assume una importanza che non ha in Staino e nemmeno in altri autori, e che fa del suo linguaggio uno straordinario mezzo espressivo dell'identità collettiva. Nel caso di Cipputi e dei suoi compagni, dell'identità collettiva della classe operaia. Ed è qui che Altan rivela tutta la sua finezza "sociologica" e la sua capacità di leggere dentro le trasformazioni culturali e i mutamenti psicologici (si potrebbe dire: le mutazioni antropologiche) del lavoro salariato; e di narrare, dunque, le colossali trasformazioni che innovazione tecnologica e riduzione della base produttiva. sconfitte politiche e crisi delle ideologie, inducono nella classe operaia e nella sua cultura. Altan conduce quest'opera di analisi a partire, beninteso, da un segmento della classe operaia: quello costituito dall'operaio professionalizzato, di mezza età, militante del Pci e della Cgil, intensamente ideologizzato e ruvidamente settario. Privilegia. dunque, uno sguardo - un punto di vista - che è non solo minoritario ma anche indubitabilmente sconfitto, non solo strettamente "di categoria", ma anche fortemente "conservatore". • E tuttavia, quello sguardo cosl angusto ha la forza di una SI f'Oi~E,&~é DICHIARARE. c1 SH, ANNOlf\J1f.R/\.JA 2-t otJAl,t. D(l--l.-0 S1R0~2-O: SARA' lVTìO Urv rlOR.ifZE. DI 1~\-Z.IA11VE.
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