ogni prospettiva di trasformazione e contestazione del reale dato: a risultarne enfatizzati - tanto sul piano dei progetti di scrittura, quanto su quelle delle fisionomie e dei comportamenti dei personaggi - saranno gli atteggiamenti che privilegiano l'osservazione e la descrizione, l'approccio parziale e micrologico, all'azione e all'interpretazione d'ampia portata (dai lavori di De Carlo e di Del Giudice al Calvino di Palomar, 1983, provvisto di ben altra lucidità riflessiva, di una sicurezza stilistica e di una tensione etica non comune). Un pessimismo quindi passivo, connesso a un disincanto nel quale la consapevoleza pare sposarsi alla rassegnazione. Si tratta tuttavia di una modalità della percezione, di una forma di Weltanschauung, che può venire interpretata secondo coloriture emotive differenti, che sembrano insieme essere sintomi di altrettanti atteggiamenti morali diversi. La condizione descritta viene infatti vissuta con una partecipazione emotiva percepibile - per quanto, come si è detto, mai platealmente esternata - oppure no. Il disincanto pessimistico è, di volta in volta, sofferto o distaccato. Il primo caso è con evidenza, per esempio, quello dell'ultimo lavoro di G. Celati. Il libro è esplicitamente dedicato in epigrafe "a quelli che mi hanno raccontato storie, molte delle quali sono qui trascritte", e tutta l'operazione letteraria nel suo complesso vive nel tentativo dell'autore di scomparire dietro le sagome e le voci dei propri personaggi-narratori, ai quali è interamente delegato il punto di vista da cui viene effettuata la raffigurazione di una condizione umana contemporanea rappresentata dalla stessa collettività dei personaggi messi in scena. È proprio in questo porsi dell'autore - significativo, per quanto fittizio - al medesimo livello dell'umanità raccontata, che si svela la ragione prima di quell'implicita solidarietà umana che si avverte nelle pagine dei racconti. La forte compattezza e coerenza del progetto narrativo - omologia tra i punti di vista dell'autore, dei narratori e dei personaggi; affinità dei casi e delle condizioni esistenziali raffigurate, sul piano della descrizione di una "padanità" a valenza universale; costante ricorso a procedimenti stilistici in bianco e nero e a tecniche di costruzione dei personaggi e conduzione del racconto riduttive e abbassate - consente infatti di conferire alle vicende raccontate nonostante (ma meglio sarebbe dire attraverso) il suo carattere minimalista, il suo tono sommesso, una "piccola emblematicità" che sembra rivolgere a chi legge l'invito a una comprensione che sia anche una forma di partecipazione emotiva per quanto - in analogia con quel progetto - dimessa e trattenuta. D'indole assai diversa è invece l'atteggiamento disincantato e pessimistico che si può cogliere - come campione di una tendenza opposta - nelle opere di A. De Carlo. Qui, alla partecipazione sentimentale, al senso di una sofferenza - per quanto indiretta - si sostituisce un distacco che comporta un azzeramento quasi programmatico della dimensione emotiva. Il rapporto con il reale pare ridursi alla mediazione di una visività onnivora e fredda. Per costruire una relazione efficace tra sé e le cose, si deve porle a distanza, studiarle da lontano, come si può fare guardandole attraverso un vetro, un filtro o su una fotografia: "vedevo la situazione attraverso un filtro: attraverso un vetro zigrinato, Marsha Mellows mi ha porto la mano; BibliotecaGino Bianco DISCUSSIONE/CLERICI-F ALCETTO gliel'ho stretta ma senza sentire molto della sua consistenza (...) guardavo Marsha Mellows a trenta centimetri da me, e mi sembrava solo di vedere delle sue fotografie, disposte in successione così da creare un'idea in movimento" (Treno di panna, pp. 130-131). Su questa base nella scrittura di De Carlo non può che delinearsi una visione del mondo improntata alla forma di un pronunciato agnosticismo scettico. Il legame dell'individuo con il mondo risulta così caratterizzato da un eccesso di difensivismo; è infatti questo il senso profondo della strategia dell'allontanamento e dell'osservazione, mantenersi cioè distanti per evitare pericoli: "il commesso che mi aveva venduto il 1000 mm in Italia diceva che gli sembrava assurdo per fotografare la gente; che andava bene per riprendere leoni nella savana, o i crateri della luna. Gli avevo detto che bastava appena; che anche così dovevo avvicinarmi troppo" (Treno di panna, p. 120). L'atteggiamento di difesa certo non dispone il soggetto al rischio di contatti che minaccino l'equilibrio della sua interiorità personale, ma il prezzo di questa esorcizzazione delle contraddizioni è la rinuncia a ogni possibilità di maturazione reale. Una dialettica di estroversione e introversione In conclusione, se dall'insieme di spunti e osservazioni sin qui raccolti intorno alla fisionomia non certo facilmente definibile dell'attuale produzione narrativa, si volesse isolare una formula in grado di cogliere se non altro una linea di tendenza, un complesso di tratti caratterizzanti, si dovrebbe forse parlare di una dialettica di estroversione e introversione: dove a un'apparente estroversione fa riscontro un'introversione effettiva. Una tendenza all'esplorazione del reale sembra infatti prevalere in diversi tra i romanzi e i racconti considerati, e più in generale pare tipica della scrittura narrativa di questi anni. Si tratta di una propensione alla ricognizione del mondo esterno che traspare immediatamente già dagli aspetti macroscopici dell'operazione letteraria: il frequente impiego del classico archetipo narrativo del viaggio - dal Tabucchi del Notturno indiano, al Del Giudice de Lo stadio di Wimbledon (1983), al Celati di Naffatori delle pianure, al Benni di Terra! (1983)- o l'adozione del modello delle narrazioni picaresche, per tutti il Busi del Seminario sulla gioventù (1984). Oppure ancora la messa in scena al centro dei racconti di personaggi che cercano, figure narrative che - pur nelle loro diverse particolarità - articolano i caratteri della propria fisionomia psicologica attorno al motivo di una ricerca, di un'indagine condotta sull'oggettività delle cose. Sia quest'indagine un progetto di decifrazione micrologica della realtà, come in Palomar di Calvino; o abbia invece concretamente la forma di un tentativo di raggiungere un individuo sfuggente, come accade all'inseguitore professionista Peter H. di Lolli o, in maniera diversa, al pensionato investigatore Lucio Lucertola nei Comici spaventati ·guerrieri (1986) di Benni, dove l'inchiesta è un espediente per dare ragione a un universo che ha smarrito il suo principio d'origine. Ma a questa apparente forte apertura verso ii mondo corrisponde in effetti una sostanziale incapacità a mantenere esterno - ancorato all'oggettività, dunque ben distinto da una dimensione soggettiva e privata - il termine di tale percorso di ricerca. Quella che 63
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==