62 DISCUSSIONE/CLERICI-FALCETTO colloquiale predominante - nel quale la voce dell'autore, in modo ambiguo, non si ritaglia nessuno spazio di intervento preciso. La stessa conversione conclusiva del protagonista che, sconfitto, pare rinunciare ai suoi progetti di affermazione personale per un tranquillo impiego, non contribuisce certo a chiarire - nel suo carattere difensivo e piccolo-borghese - il senso complessivo della rappresentazione. Tuttavia la duplicità della visione del mondo, la medesima assenza di giudizio, finiscono per essere significativi e sintomatici di un certo - deteriore - spirito dei tempi: la crisi del quadro globale della realtà non viene vissuta con intensità drammatica; l'insensatezza del presente è assunta come fatto scontato, come un presupposto implicito che non fa che rendere più evidente la necessità di un'affermazione del singolo. L'apocalisse diventa così, per una nuova piccola borghesia in ascesa, il décor suggestivo di un individualismo esasperato: esibirne i segni sembra garantire l'acquisizione di un alibi ideologico a buon mercato. Tracce di un'atmosfera apocalittica, seppure di un'apocalissi ironica e cerebralistica, giocata nell'ambito di un'operazione "di qualità" dai connotati fortemente letterari, si percepiscono anche nelle pagine di Dall'inferno di G. Manganelli. Qui l'autore pare suggerire un'omologia implicita tra !'al di là e !'al di qua contemporaneo: l'inferno viene presentato al lettore come una sorta di metafora della vita e della condizione umana attuale. In una totale assenza dei riferimenti spazio-temporali consueti - tutto è ovunque, assieme e in ogni momento - il cardine di questa situazione esistenziale è un completo e costante disorientamento. Uno stato al quale non è possibile sottrarsi in quanto, conseguentemente, l'inferno manganelliano non è un luogo ma "una sorta di polverio, o liquido o vapore, ecco, forse è meglio un vapore, un vapore dico, sparso dovunque, discontinuo ma intricato a ciò che esiste irrevocabilmente; un umidore che si colloca tra dito e dito, tra pagina e pagina, tra casa e casa, tra fiore e fiore" (p. 112). Non a caso, in un quadro di tal genere, l'aspetto materale e oggettivo dell'essere umano - la sua corporeità - è sottoposto nel corso della narrazione a un continuo processo di manipolazione e metamorfosi che, costituendo il vero principio di sviluppo di una trama poverissima di eventi in senso tradizionale, richiama l'attenzione di chi legge sull'instabilità esistenziale costitutiva del soggetto. Un soggetto che, quindi, non ha nessuna fisionomia individuata al di fuori della sua razionalità. L'intelligenza tende a proporsi come unico luogo dell'identità, il racconto infatti procede quasi esclusivamente attraverso un'interrogazione tenace e costante. Ma è un'interrogazione "erratica" (p. 8) e, in sostanza, inefficace: lo strumento razionale è il solo a disposizione dell'uomo, ma l'insidiosa reversibilità e illusorietà dei risultati a cui giunge ne rendono evidente l'improduttività di fondo. In questa visione del mondo dunque, consapevolezza e iJnpotenza si fondono intimamente. La costante attività intellettuale non è in realtà che il sintomo di un'effettiva passività. La vita è una trama di "piccoli equivoci senza importanza" o, più tristemente, "senza rimedio"; la realtà è segnata da ineliminabili "vuoti tra le cose" (p. 29 e p. 46) che la rendono enigmatica e sfuggevole: nel libro di Tabucchi prende forma una Weltanschauung amara e passiva espressa, ad esempio, nella BibliotecaGino Bianco tendenziale predisposizione dei personaggi a muoversi come se il loro destino fosse già tracciato, ad accettarne l'ineluttabilità, convivendovi quietamente senza tentare di imporvisi in alcun modo. Emblematica, da questo punto di vista, la rassegnazione disincantata e quasi sorridente del protagonista di Cambio di mano, che quando scopre la propria sorte di vittima designata, quando comprende cioè che la donna che aveva saputo affascinarlo è proprio quella che dovrà ucciderlo, "pensò che gli dispiaceva, non per la cosa in sé, ma per tutto il resto, perché era stato bello. Pensò anche che avrebbe voluto dirle che gli dispiaceva che Sparafucile fosse proprio lei, che peccato, era proprio buffo, quando tutto sembrava diverso. Ma sapeva che non ne avrebbe avuto il tempo" (p. 129). L'eccezionalità drammatica del momento - l'imminenza della morte - è come smussata; lo stupore viene contenuto, non prende quasi spazio: in questa visione delle cose dolente, ma non del tutto antitragica, ad assumere risalto, a essere proposte come provvisorio analgesico per le incertezze dell'esistenza sono la letteratura e l'attività di scrittura, o la fantasia e il sogno, pur in una lucida consapevolezza del carattere costitutivamente fittizio e illusorio di quelle operazioni. La scrittura "è falsa", con la sua capacità di imprigionare le cose e conservarne la parvenza così come il fossile conserva l'immagine di una libellula morta secoli prima: "così è la scrittura, che ha la capacità di allontanare di secoli il presente e il passato prossimo: fissandoli. Ma le cose sono diffuse,( ...) e per questo sono vive, perché sono diffuse e senza contorni e non si lasciano imprigionare dalle parole" (p. 64). L'esperienza della realtà appare in Tabucchi filtrata attraverso lo spazio letterario nella sua intima duplicità, nel suo potere di" allontanare" e "fissare": una capacità dunque di organizzare e comporre in forma organica le disarmonie della vita, che implica insieme l'impotenza a descriverla nella sua pienezza. Quello delineato in questa campionatura empirica è senz'altro un panorama eterogeneo, nel quale è comunque possibile riconoscere alcuni aspetti comuni che suggeriscono i contorni del modo di percezione della realtà più diffuso nei testi narrativi di questi anni. Minimo comun denominatore che avvicina opere anche molto distanti tra loro, è innanzitutto un punto di vista di impronta chiaramente pessimistica. Ma si tratta di un pessimismo di natura particolare vissuto in chiave non tragica, che raramente si presenta con intensità drammatica o con forte carica patetica, preferendo invece le vie di una strategia di attenuazione sentimentale o di comicità ironica. Piuttosto, la disposizione con la quale il disagio esistenziale e la riconosciuta precarietà e negatività del reale sono portati sulla pagina, comporta il prevalere di un atteggiamento di evidente passività. Di sovente la prospettiva in base al.laquale viene condotta la rappresentazione sembra infatti esprimere un rapporto con le cose all'insegna di uno statico disincanto. Prende così vita la raffigurazione di una condizione intellettuale, di una Stimmung, nella quale la consapevolezza - la capacità di comprendere aspetti ed elementi significativi dell'attuale quadro d'esistenza - si lega strettamente all'adozione di un'attitudine di comportamento all'insegna di una rassegnazione di fondo. Da qui, in una larga fascia di testi considerati, una propensione alla rinuncia ad
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