sità di esporre al lettore di Lunaria (1985) la genesi dell'idea del suo piccolo libro; Manfredi ricorda la passione per i colori trasmessagli dal padre pittore già enunciata dal titolo del suo ultimo romanzo, Croma.ntica, e le avventure di Bruno Bauer - giornalista estivo in missione a Rimini - potrebbero essere capitate (Tondelli ci tiene a chiarirlo) allo stesso autore quando non avesse rifiutato, "nella primavera del 1981" (Rimini, p. 293) la proposta fattagli dal direttore di un quotidiano non ben meglio precisato. L'inseguitore Peter H. (1984) di C. Lolli, d'altra parte, è una vicenda ricostruita su fittizzi documenti d'archivio che però, come tali, rappresentano la massima garanzia possibile di qualsiasi oggettivismo storico, ed è infine il caso di ricordare come gli ultimi "libretti" di L. Sciascia ci propongono una figura d'autore che ormai da tempo si presenta in qualità di glossatore di documenti più o meno antichi. È uno scrittore fornito di una debole autorevolezza narrativa quello che avverte l'esigenza di giustificare in qualche modo la propria operazione letteraria per mezzo di espedienti che rimandino alla dimensione pratica del quotidiano. Ciò che si intende affermare è che la fisionomia dell'autore che si evince dal corpus (certo non esauriente) dei testi ricordati, rivela un'autorità di portata limitata. L'autore implicito che presiede alla costruzione dell'universo romanzesco viene così a trovarsi in una condizione di debolezza che finisce quasi sempre per determinare anche la scelta di un insieme di tecniche letterarie di basso profilo e di minor respiro complessivo. La qualità del principio di legittimazione che l'autore pone alla base della sua operazione letteraria - la forma della sua autorità - è strettamente connessa, allora, alle concrete caratteristiche testuali che la fisionomia del suo lavoro rivela. Forse così si possono meglio spiegare alcuni aspetti comuni a gran parte della produzione narrativa italiana contemporanea: innanzi tutto il revival del racconto (genere poco coltivato nella nostra recente tradizione letteraria), testimoniato per esempio dai Piccoli equivoci senza importanza (1985) di A. Tabucchi, dai Narratori di Celati, da Una città come Bisanzio (1985) di L. Garzanti o dal recentissimo L'uomo invaso (1986) di G. Bufalino. Una medesima ragione spiegherebbe la scelta di una narrazione in prima persona - una prima persona a volte scopertamente autobiografica - negli esordi di C. Piersanti, A. De Carlo, D. Del Giudice e A. Busi, come anche il generale impoverimento degli elementi costitutivi delle fisionomie romanzesche: dalle pagine delle opere narrative contemporanee si affacciano quasi sempre personaggi dal profilo piuttosto anonimo, mai fortemente caratterizzati e in definitiva poco "memorabili". Progettualità di corto respiro dunque, legata a sua volta a una serie di visioni del mondo tendenzialmente passive, rassegnate e pessimiste, quasi disarmate di fronte a una realtà sulla quale risulta sempre più difficile riuscire a far presa. Alla base di tutti questi fenomeni sintomatici si intravede l'esistenza di un disagio oggettivo provato dall'autore, che è forse possibile tentare di spiegare con il ricorso a una serie di osservazioni relative a fattori di indole socio-culturale e storicoletteraria. Allo scadimento, nella considerazine sociale diffusa, dell'importanza del ruolo dello scrittore, fa riscontro una certa incapacità da parte degli autori di elaborare ed esprimere una BibliotecaGino Bianco DISCUSSIONE/CLERICI-FALCETTO qualche forma di intervento positivo nel mondo odierno. Dopo la crisi del concetto tradizionale di "impegno" e della corrispondente figura dell'intellettuale organico - sono ormai passati una trentina d'anni - si è assistito a un lento e inesorabile processo di rimozione del problema e, ciò che più conta, l'esigenza reale che era all'origine di quella soluzione è stata trascurata e quindi dimenticata. Del rapporto tra intellettuali e società non si sente più parlare da tempo, e non si è quindi affatto riflettuto sulla progressiva perdita di radicamento sociale e dignità professionale della figura del letterato, oggi ritenuto autore di prodotti "voluttuari" ma, a differenza di moltissimi altri, privi di qualsiasi "appetibilità". A livello più strettamente letterario, invece, per provare a descrivere l'attu~e panorama e per capire alcune dinamiche della situazione presente, occorre dare uno sguardo alle linee di tendenza della narrativa degli anni settanta, caratterizzata dalla concomitanza di almeno due insiemi di fenomeni diversi. Nel corso del passato decennio si è.assistito a una progressiva crisi dell'antiromanzo, dovuta fondamentalmente all'oggettiva debolezza verificatasi sul piano dei risultati estetici dimostrati (forse l'ultimo testo "avanguardistico" accolto da un qualche consenso "allargato" - Dalle memorie di un piccolo ipertrofico (1980) di T. Ottonieri - è apparso alle soglie del nostro decennio). Al contrario, le poetiche neoavanguardistiche hanno mantenuto una buona forza di penetrazione ideologica esercitando - vi si è accennato - una notevole egemonia sul senso comune critico, e hanno dimostrato una notevole vivacità e capacità persuasiva, favorita allora come ora dall'assenza di un dibattito culturale produttivo e rilanciata di recente dalla problematica della cosiddetta "condizione postmoderna". Diverso esito hanno avuto invece una serie di tentativi narrativi volti aristabilire un colloquio più disteso con un pubblico non specialistico e quindi più ampio, dai quali non è emersa però alcuna proposta in grado di rivelarsi decisamente vincente. Il romanzo di U. Eco e La Storia (1974) di E. Morante hanno rappresentato due interessanti casi di proposte neofigurative di successo, ma non si sono rivelati decisi punti di riferimento, tanto che oggi appaiono piuttosto fenomeni isolati che veri e propri "capostipiti" (anche se a Il nome della rosa ha fatto seguito un profluvio di romanzi "neostorici" nel complesso poco significativi: della lezione di Eco sono infatti stati assimilati gli elementi più estrinseci e più tradizionalmente romanzeschi, e non tanto l'originalità di un progetto narrativo fruibile a una molteplicità di livelli di lettura differenti). Si tratta infatti di due opere costruite su una serie di scelte tecnico-formali poco duttili e non facilmente ripetibili, comunque non costituitesi in modello canonico. Siamo dunque di fronte - per tornare ai giorni nostri - a un quadro letterario non ben chiaramente strutturato. Il pubblico contemporaneo, per la sua ampiezza ed eterogeneità, si può meglio indicare in un insieme di "pubblici" distinti, caratterizzati da svariati codici culturali, da molteplici orizzonti d'attesa e da precise esigenze particolari. Varietà del pubblico che costituisce il principio oggettivo della difficoltà da parte dell'autore ad identificare con precisione il suo destinatario elettivo: allo scrittore viene così a mancare il referente reale sul quale poter 59
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==