Linea d'ombra - anno IV - n. 14 - maggio 1986

58 DISCUSSIONE/CLERICI-FALCETTO gioco di citazioni più o meno velate e colte, estratte dal grande magazzino di un patrimonio letterario passato e contemporaneo in grado di fornire a basso prezzo contrassegni di letterarietà. Concepire - di conseguenza - l'intertestualità alla stregua di un valore sembra essere una caratteristica di quello che viene definito "postmodernismo", e spiega il successo (anche in campo cinematografico) della pratica del remake. In tale situazione complessiva emergono nuove immagini di tradizione letteraria, nuovi tipi di rapporto del singolo autore con l'insieme dei testi che costituiscono il corpus della letteratura passata ma, soprattutto, presente: ci si trova di fronte, infatti, a frequentazioni orientate verso la contemporaneità e generalmente poco sistematiche, inclini ad annettersi anche ambiti di esperienze espressive e artistiche di altro genere. "Che lo voglia o no, sono intrappolato in questo rock'n'roll. Ma sono un autore e sono un musicista, per molti diversi un entertainer". Cosl Joe Jackson, in un'intervista, nel brano apposto a mo' di epigrafe nell'ultimo romanzo di P.V. Tondelli, Rimini (1985); non molto diversamente Macno (1984) di A. De Carlo si apre con la citazione di una battuta tratta dal testo di una canzone di Steve Forbert: due spie piuttosto significative della generale trasformazione in atto della figura del giovane scrittore contemporaneo, confermata dal profilarsi di nuove e non più univoche fisionomie professionali. De Carlo, prima che scrittore, è pittore e fotografo, tenta poi la via della regia cinematografica; G. Manfredi esordisce, non diversamente da C. Lolli, come cantautore, per poi dedicarsi alla sceneggiatura e alla critica musicale, mentre S. Benni approda al romanzo dopo trascorsi di corsivista satirico e di umorista. Quella dello scrittore è dunque solo una delle qualifiche di una sorta di "operatore culturale" che sembrerebbe possedere una competenza di tipo multimediale. La personale tradizione letteraria che molti autori dei nostri giorni si sono ritagliata, in tale contesto, sembra in generale caratterizzata da una forte disomogeneità: la letteratura italiana appare subordinata e comunque non più prioritaria nelle personali scelte di lettura, di contro all'evidente ingresso massiccio di opere straniere perlopiù tradotte; notevole presenza vengono anche ad avere alcune tipiche arti proprie dell'odierna civiltà dell'immagine, come cinema, fumetto e - per l'appunto - musica leggera. Eterogeneità alla quale non di rado si aggiunge una tendenza verso la disomogeneità dovuta principalmente all'autocostruzione individuale e personale del proprio "patrimonio tradizionale", insieme alla sempre più cospicua incidenza delle varie mode culturali che si susseguono - e si consumano - con crescente rapidità. Aspetto comune ai diversi giovani intellettuali ai quali abbiamo alluso è allora una certa caratteristica e asistematica fisionomia di tradizione letteraria "aperta e allargata" alla quale ognuno fa riferimento, e che tutti sembrano costruirsi senza precisi criteri. Vero è che a fronte di questa famiglia di autori se ne può affiancare un'altra che si qualifica per una maggiore continuità con il passato sia sul piano del profilo professionale dei singoli scrittori, sia su quello del tipo di tradizione messa in opera da ognuno di essi. L'autore è uno studioso di letteratura o esercita tuttalpiù un'attività editoriale: l'immagine di tradizione riBibliotecaGino Bianco suita ora essere saldamente letterariocentrica anche se aperta e differenziata, non più univoca e omogenea. G. Celati e A. Tabucchi (entrambi docenti, e perciò professionisti della letteratura) richiamano alcuni capisaldi della propria esperienza di attenti lettori evocando, nelle loro opere, una letterarietà di sfondo a livello tematico e macrostrutturale; mentre G. Manganelli e V. Consolo, tra gli altri, rendono immediatamente palpabile già sul piano stilistico una letterarietà colta esibita con sapienza, frutto di un saldo possesso degli strumenti tradizionali del letterato. Curiosamente la fisionomia dei tre gruppi-campione di scrittori che abbiamo identificato a partire dalle diverse immagini di relazione particolare tra singolo autore e patrimonio letterario tradizionale - rispettivamente costituiti da De Carlo, Manfredi, Lolli, Benni il primo, da Tabucchi e Celati il secondo, e l'ultimò da Manganelli e Consolo - risulterebbe confermata anche se questa fisionomia venisse ricostruita a partire dal discrimine generazionale e anagrafico che allontana e insieme avvicina tra loro gli autori. Si tratta infatti di tre differenti immagini che sembrano indicare le tappe successive di un identico processo di emancipazione - ma anche di perdita - di un modello "classico" di rapporto con la tradizione letteraria. Un'autorità debole Molti dei romanzi pubblicati negli ultimi anni sono corredati da precise mappe topografiche, e forse il primo significativo esempio è fornito dalla copertina rossa de Il nome della rosa (1980), rappresentazione in pianta dell'abbazia medioevale che fa da sfondo alle avventure del protodetective Guglielmo da Baskerville. Un rapido e non esauriente inventario potrebbe comprendere la pianta del Campo di Siena de Il palio delle contrade morte (1983), la riviera adriatica di Rimini, la via Emilia dei Narratori delle pianure (1985), la Valtellina - da Piuro a Bormio - di Cromantica (1985), fino all'indice dei "luoghi notevoli" posto da Tabucchi in apertura al suo Notturno indiano (1984). L'impressione è che per tutti possa valere un po' quel che afferma quest'ultimo nel presentare il suo elenco di edifici orientali: "non so bene se a ciò ha contribuito l'illusione che un repertorio topografico, con la forza che il reale possiede, potesse dare luce a questo Nottum~)'' (p. 9). Per gli autori contemporanei sembra dunque porsi con una certa urgenza il problema preliminare di legittimare di fronte al lettore la propria autorità - il proprio diritto - a raccontare: lo scrittore avverte cioè l'esigenza di rivelare a chi legge la fonte dalla quale la scrittura assume la ragione del suo dispiegarsi. Il riferimento topografico svolge allora una funzione di "illusione referenziale" necessaria per chi avverta il bisogno di ancorare ad una precisa realtà lo svolgimento della vicenda; una vicenda ambientata perciò sullo sf9ndo di luoghi dichiaratamente "veri", che avanza così un'implicito suggerimento di realisticità e fattualità. In altri casi, invece, con uno scopo non diverso, l'autore giustifica lo spunto del suo racconto con un pretesto pratico, "oggettivo" e reale. G. Celati dice di limitarsi a trascrivere i contenuti delle interviste precedentemente raccolte dalla viva voce di diretti testimoni padani; lo spunto è in qualche modo "autobiografico" anche nel caso di Consolo che sente la neces-

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