Linea d'ombra - anno IV - n. 14 - maggio 1986

falliti, gente che ha perduto la sfida delle proprie ambizioni. Tra il mondo che hanno contestato, dal '68 in poi, e il mondo che gli è stato impossibile avere, si protendono nel vuoto. La sola consolazione che resta loro è una specie di cinismo, che gli fa dire: ma noi siamo comunque diversi, tutti gli altri sono stronzi, corrotti, mediocri. Ma restano sospesi nel niente, sconfitti, anche quando, come Scarpa, si fanno un po' di largo nel mondo. Capire Scarpa, assolverlo, era per me il modo di non assomigliargli: uno cosl non l'avrebbe fatto, avrebbe esasperatamente insistito sui lati sgradevoli, avrebbe fatto prevalere il cinismo e l'odio. Luca e Nina, i due ragazzi aJtorrw ai quali ruota parte del romanzo, sorw molto diversi e distanti sia dagli inlellettuali ex-sessantottini presenJi in Le pietre e il sale, sia dai ragazzi del 77 di Boccalone. Hanno soprattutto speranze "private", guardarw ai comportamenti concreti delle persone più che alle loro idee politiche - e poi, cercarw di restare sinceri e spontanei, di rwn aggredirsi e "usarsi" a vicenda (come capita invece ai vari Scarpa, Marina ecc.). Hai volulo rappresenJare, nelle loro figure, una sensibilità che vedi diffon<krsi, magari fra i più giovani, oppure essi rappresenJarw, per così dire, una tua opzione, urw "stile" che vorresti vedere diffon<krsi? Vorrei dire che non mi piace l'atwalità. Non mi piace cioè inseguire l'ultimo fenomeno in fatto di mentalità o di comportamenti, dei giovani come degli adulti. Non lo so se i giovani, tanti o pochi che siano, si comportano come Luca e Nina. Certo Luca e Nina interpretano una parte che io ho loro affidato, in cui riconosco modi e valori che apprezzo più di altri. Ma anche in un personaggio diverso, la nonna di Nina per esempio, vi sono di questi aspetti. :Pa.11eo o.ì rese.i. Q_.. eee,· c.~e vivotto n.e':le,· o.c1u.a.'t~ c.o.~isc.ono e.oso. vo~t;o d.,u.. BibliotecaGino Bianco IL COLOREDELLAPELLE. REPERTIDALSUDAFRICA Marisa Caramella Ferdinando Bruni e Elio De Capitani in L"isola (foto di Maurizio Buscarino). Nell'introduzione a Three Port Elizabeth Plays (Oxford University Press, 1974), la cui traduzione viene proposta insieme ad altri testi introduttivi dai curatori del volume L'isola. Reperti dal Sudafrica (CLUED, pagg. 139, L. 15.000), Athol Fugard scrive: "Come per chiunque altro in questo paese, negro o bianco, i miei orizzonti si sono ristretti e si restringeranno sempre di più. Oggi la parola futuro significa a malapena domani. Certe volte ho la sensazione che Lutto deteriori al punto che anche l'idea di avere un domani diventerà un lusso." Un'analoga sensazione invade fin dalle prime pagine il lettore de L'isola, quella, assai angosciosa, che sarà capitato a Lulli di provare almeno una volta in sogno. È l'atmosfera del più comune tra gli incubi: si è inseguiti e non si può scappare, si muovono le gambe e non si riesce a correre, si è costretti dall'inutilità dei propri sforzi a restare impotenti davanti a un'oscura minaccia. La minaccia che incombe sui due protagonisti de L'isola è tutt'altro che oscura, anzi, è chiarissima, assolutamente concreta. John e Winson sono rinchiusi, per motivi politici, in un penitenziario (quello dell'isola di Reuben, in Sudafrica), in balia di Hodoshe, un carceriere che si diverte a infligger loro, tra le tante, una tortura che consiste per l'uno nello scavare una buca, e per l'altro nel riempirla senza sosta di sabbia, nell'esercitare, cioè, una fatica tanto disumana quanto inutile. Alla fine di questa esercitazione i due saranno costretti a correre insieme, legati per le caviglie. Gli sforzi imposti a due png1omen sono una metafora della situazione politica che ispira l'autore de L'isola, uno dei pochi drammaturghi sudafricani di fama internazionale. Inutile, oltre che disumana, è la legge dell'apartheid; inutili, oltre che disumani, sono i tentativi dello stato di controllare fin nei risvolti più intimi la vita dei suoi cittadini; inutili, oltre che disumani, continuano a dismostrarsi gli sforzi della minoranza bianca per protrarre nel paese una situazione sostanzialmente simile a quella che vivono i due carcerali de L'isola. La tensione, l'atmosfera claustrofobica e ossessiva della prima scena non si allentano certo con il procedere dell'azione: per alleviare la propria sofferenza e quella del compagno di cella, John inscena una finta telefonala a un amico, e Winston sta al gioco, in una piccola recita dentro la recita i cui toni passano dall'esaltazione euforica alla cupa consapevolezza della propria impotenza. Anche l'annuncio della prossima scarcerazione di John diventa, in questo contesto, semplicemente l'ennesima palata di sabbia che il carcerato è costretto suo malgrado a gettare pazientemente nella buca scavata dall'amico. li fatto che a uno dei due sia permesso di tornare a sperare non fa che aprire nel loro rapporto un'altra disumana contraddizione: Winston non può godere della felicità dell'amico perché cosl facendo esaspererebbe il dolore di Winston. C'è un bellissimo, esaltalo monologo in cui Winston "vive" i vari momenti della futura scarcerazionr 55

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