Linea d'ombra - anno IV - n. 14 - maggio 1986

54 INCONTRI AVENEZIA, TRAINFELICITEÀMIRACOLI IncontroconEnricoPalandri a cura di Gianfranco Bettin Fra i giovani scrittori comparsi alla fine degli anni settanta in Italia, Enrico Palandri era certo uno dei più attesi a una prova successiva. Nel '79 il suo Boccalone aveva contribuito ad aprire una stagione nuova nell'ultima narrativa italiana. A sette anni dall'esordio, Palandri pubblica ora Le pietre e il sale (Garzanti, p. 180, L. 16.500), un romanzo che appare subito molto diverso, nella struttura e nella forma non meno che nel contenuto. Boccalone era un libro espliciJamente autobiografico, scriJto in prima persona. Le pietre e il sale ha invece un'altra struttura ed è scritto in terza persona. Com'è avvenuto questo passaggio? Corrisponde a un'esigenza specifica o a una maturazionepiù complessiva? Scrivere sempre in prima persona è come girare per una città in compagnia di uno che non smette mai di parlare. Rischi di non vedere il contesto, di perdere anche i dettagli, o di sentirteli raccontare da una voce troppo invadente. Avevo bisogno di uno sfondo corale, di più situazioni e personaggi, attraverso cui rappresentare il mio modo attuale di vedere le cose, maturato lungo alcuni anni passati via dall'Italia. Volevo, anche, separarmi dal mondo di Boccalone, sulla pagina come già mi è avvenuto nella vita. In Boccalone c'era una ricerca sperimentale, che investiva sia la struttura che la lingua. Questo romanzo pare invece più tradizionale nella forma e nel "montaggio". Sì, io penso che la stagione del romanzo non sia conclusa. Penso che possa ancora dare dei frutti, e a quel modello mi sono in certo modo rifatto, cercando una struttura che uscisse dal racconto breve e si misurasse con i tempi lunghi e le situazioni complesse del romanzo. Tuttavia, in questo libro c'è poco naturalismo: le descrizioni fisiche dei personaggi, o anche dei luoghi, per esempio, sono ridotte al minimo. C'è invece molta attenzione all'interiorità, allo sguardo e alla percezione dei diversi personaggi, e in queste fasi ritorna un po' il racconto in prima persona. Senza, però, perdere di vista il contesto, la trama più varia. I personaggi parlano e pensano, guardano, in prima persona, sono a volte ognuno un "io narrante" - ma l'autore, cioè io che uso la terza persona, vigila sui legami, li riannoda, o li confonde se occorre, ma sempre con riferimento al contesto, al roBibliotecaGino Bianco 5PHA"ZE: manzo. C'è poi un certo uso della metafora, ricorrente, con il quale cerco di rompere la forma tradizionale. Vorrei esporti adesso due perplessità. La prima riguarda Venezia, a cui il libro è dedicato e che fa da sfondo alla storia. Ho l'impressione che appaia "troppo bella" nel tuo romanzo, che rappresenti il luogo ideale per il verificarsi di quel "miracolo di esistere" che conclude il libro. Una Venezia difficile da vedere if! realtà, specialmente per chi ci vive. E sempre suggestiva e splendida, ma è pure orrida la sua parte: corrotta, inquinata, . consumata, spopolata, sempre più costosa e selettiva, nel senso dell'ingiustizia. Può darsi che, standone lontano, io tenda a ricordare soprattutto gli aspetti migliori di Venezia, anche se non me ne sfuggono le miserie, gli inganni. Infatti, io ne sono fuggito. Ma descrivere Venezia non è mai stata la mia intenzione. La città che emerge (attraverso i raffronti tra i diversi personaggi) non ha il carattere di una città particolare. La felicità e l'infelicità dei personaggi sono astratte dai luoghi particolari e costituiscono un luogo proprio, che è quello del libro. Però può darsi che alla fine qualcuno trattenga un'immagine di Venezia più sbilanciata verso i suoi lati più suggestivi (e magari, per quanto riguarda il mio libro, a ciò contribuisce anche la copertina, che non mi piace.) Ho· sottolineato questo aspetto perché mi pare che influisca, oltre che sul "tono" generale del romanzo e su ciò che poi ne rimane nella memoria, anche su alcuni aspetti particolari. Per esempio, un recupero importante che Le pietre e il sale opera è quello del dialetto veneziano, più spesso utilizzato in situazioni o con personaggi "popolari". Proprio quella certa immagine di Venezia, rischia però di attenuare la felicità dell'impatto, perché sia il dialetto - che è piuttosto simile alla lingua goldoniana che a quella realmente parlata a Venezia - sia le figure del popolo, anche nelle loro difficoltà, danno l'impressione di essere come senza tempo, quindi un po' forzate, "letterarie". Be', l'opera letteraria forza sempre in una certa misura i confini del reale, restringendoli o dilatandoli. In questo caso, i personaggi parlano un veneziano certo "classico", recuperando un aspetto importante della storia e della cultura della città, che proprio la "modernità" sta devastando: il turismo, un apolidismo piuttosto che un cosmopolitismo, la scomparsa del popolo, appunto. In questo senso, poi, le figure popolari del romanzo - Pietro Contin, la moglie, la nonna, la stessa Nina - non incarnano strettamente dei tipi veneziani, ma dei personaggi più generalmente segnati da un destino di subalternità con il quale si devono misurare. È quello che avviene anche a Nina, che al liceo si trova a frequentare un ambiente che non è quello della sua classe sociale. Un certo suo disagio viene anche da questo, ed è il disagio di tanti altri che sentono di vivere in un mondo che non gli appartiene, che non amano. Lo stesso Marco lvancich, uno che non ha radici veneziane, che compare quasi dal nulla, avverte questo disagio profondo. Ed è questo, infine, che lo avvicina a Nina. La mia seconda perplessiJà riguarda invece l'atteggiamento verso alcuni protagonisti negativi del romanzo, in particolare l'insegnante ex sessantottino Scarpa, frustrato e aggressivo, e la sua compagna Marina: Molti momenti felici del libro sono proprio legati al tuo puntuale aspettarli al varco della meschinità, della viltà, delle ambizioni sbagliate. E tuttavia si ha infine l'impressione che li recuperi, che tu dica: in fondo vanno compresi, poveracci! • Sì, alla fine ho sentito l'esigenza, come dire?, di "perdonare" Scarpa, di riaffermare la necessità di amare anche in lui la persona, l'umanità. Scarpa e i suoi amici del caffé Serafin - un luogo di ritrovo intellettuale - sono certamente antipatici per molti aspetti. Ma sono anche dei

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