re al passato - l'effetto che precede la causa -, come nel racconto di Alejo Carpentier, Viaggio verso il seme, che comincia con la morte di un uomo anziano e prosegue fino alla sua gestazione nel grembo materno; oppure ci può essere soltanto un passato remoto che non arriva mai a dissolversi nel passato prossimo dal quale racconta il narratore, come nella maggioranza dei romanzi classici; o un eterno presente, senza passato né futuro, come nelle opere di Samuel Beckett; o ancora un labirinto in cui passato, presente e futuro coesistono, annullandosi, come in L'urlo e il furore di Faulkner.[...] Le menzogne che slamo Quando leggiamo romanzi non siamo soltanto noi stessi, ma anche gli esseri incantati tra i quali il romanziere ci trasporta. Il trasferimento è una metamorfosi: la ridotta asfissiante che è la nostra vita reale si apre e usciamo a diventare altri, a vivere vicariamente esperienze che la finzione rende nostre. Lucido sogno, fantasia incarnata, la finzione completa noi esseri mutilati ai quali è stata imposta l'atroce dicotomia di avere una sola vita e la facoltà di desiderarne mille. La narrativa occupa questo spazio tra la vita reale e i desideri e le fantasie che esigono sia diversa e più ricca. Nel cuore di tutte le finzioni fiammeggia una protesta. Chi le inventò lo fece perché non poté viverle, e chi le legge (e le crede) trova nei loro fantasmi i volti e le avventure di cui aveva bisogno per allargare la propria vita. Questa è la verità che esprimono le menzogne della narrativa: le menzogne che siamo, quelle che ci consolano e ci risarciscono delle nostre nostalgie e frustrazioni. Che fede possiamo prestare, di conseguenza, alla testimonianza dei romanzi sulla società che li produsse? Erano davvero cosi quegli uomini? Lo erano, nel senso che cosi volevano essere, cosi si vedevano amare, soffrire e gioire. Queste menzogne non documentano la loro vita, bensi i demoni che la scossero, i sogni di cui si inebriarono perché la vita che vivevano fosse più sopportabile. Un'epoca non è popolata solo di esseri in carne ed ossa ma anche dei fantasmi nei quali costoro si trasformano per .infrangere le barriere che li limitano. Le menzogne dei romanzi non sono gratuite: colmano le insufficienze della vita. Perciò, quando la vita sembra piena e assoluta e, grazie ad una fede che tutto giustifica e assorbe, gli uomini si adeguano al loro destino, i romanzi non svolgono alcun compito. Le culture religiose producono poesia e teatro, non romanzi. La narrativa è un'arte di società dove la fede sperimenta una crisi, dove c'è bisogno di credere in qualcosa, dove la visione unitaria, fiduciosa e assoluta è stata sostituita da una visione sgretolata e una incertezza sul mondo in cui si vive e sull'aldilà. Oltre che amoralità, nelle viscere dei romanzi s'annida un certo scetticismo. Quando la cultura religiosa entra in crisi, BibliotecaGino Bianco la vita pare scivolar via dagli schemi, dogmi e precetti cui era prima sottomessa e si muta in caos: questo è il momento privilegiato per la finzione narrativa. I suoi ordini artificiali forniscono rifugio e sicurezza e in essi si dispiegano liberamente quegli appetiti e paure che la vita reale incita ma non riesce a saziare o esorcizzare. La narrativa è un succedaneo transitorio della vita. Il ritorno alla realtà è sempre un impoverimento brutale: la conferma del fatto che siamo meno di quello che sognamo. Quindi se da un lato le finzioni placano transitoriamente l'insoddisfazione umana, dall'altro contribuiscono ad aizzarla, spronando l'immaginazione. ANTOLOGIA KRAUSDALVIVO(1929) Corrado Alvaro Karl Kraus è venuto a Berlino per 'intrattenersi coi suoi discepoli, in una sala per concerti e conferenze. È un ricco ebreo viennese che ha ereditato dalla sua razza lo ~pirito di profezia e di redenzione del mondo. La sua redenzione comincia dai giornali: odia i giornali e i giornalisti, ha speso tutta la sua vita a combatterli con la predicazione e naturalmente con un giornale periodico che si chiama Die Fakkel, scritto tutto da lui. Conta a Vienna e in tutta la Germania numerosi adepti che giurano sulla sua parola, credono grandi poeti quelli che egli ama, miserabili quelli che egli odia. Kraus si batte da trent'anni e i giornali sono peggiori di prima. Ma neanche lui si stanca, ed è uomo capace di tappezzare Vienna di manifesti che contengono accuse specifiche contro un direttore di giornale o contro il capo della polizia. Un giorno i suoi strali si appuntarono contro il critico teatrale del Berliner Tageblatt, che è Alfred Kerr. Stampò un fascicolo contro di lui, e volle che il Berliner medesimo lo annunziasse in un'inserzione a pagamento. Il giornale naturalmente rifiutò l'inserzione; Kraus gli fece causa davanti ai tribunali e la perse. Fu appunto pochi giorni doGli indiquisitori spagnoli compresero il pericolò. Vivere le vite che uno non vive è fonte di ansietà, un disaccordo con l'esistenza che può trasformarsi in ribellione, attitudine indocile nei confronti dell'ordine stabilito. È comprensibile che i regimi che aspirano a controllare totalmente la vita diffidino della narrativa e la sottomettano a censura. Uscir da se stesso, essere altro, sia pur illusoriamente, è un modo d'essere meno schiavo e di sperimentare i rischi della libertà. (da "El pafs" del 25/VIl/1984; la trad. it è apparsa in "Astragalo", Cuneo 1984, a opera di Danilo Manera.) po questo fatto che Kraus venne a Berlino. E un uomo sui cinquantacinque anni, grigio, di pelle bruna, gli occhi accesi e ironici, la bocca grande tra infantile e beffarda. Una giacchetta nera gliela stringono addosso due bottoni da pastrano. S'inchina agli applausi che lo accolgono quando appare sul piccolo palcoscenico della sala, ma i suoi occhi sembrano canzonare. Alle undici e mezzo del mattino, la sala è quasi piena dei suoi amici viennesi e berlinesi, fra cui Bert Brecht, e alcune buone attrici. Kraus siede al tavolo, e annunzia che leggerà / briganti, opera buffa di Offenbach. Prende un grosso manoscritto mentre nella sala accanto, dietro la porta, si sentono i primi accordi di pianoforte. Legge le didascalie, fa tutte le parti, e con una voce, un tono, un brio, un'arte di sottolineare le parole, scoprendo in ogni strofetta un'intenzione ironica attuale. Nessuno dei miei conoscenti in Italia sarebbe, credo, capace di tanto, di un divertimento cosi semplice, di una fatica cosi grande per intrattenere gli amici. I suoi occhi accesi danno spesso il segnale per gli scoppiettii di risa; non tralascia una riga, legge rapidamente le didascalie, declama le battute, canta la romanza, si sbraccia e si moltiplica nei cori, fa la pantomima di tutti gli attori, fa la vocina sottile delle donne: sembra di quei suonatori vagabondi delle nostre fiere che mettono in moto pifferi, piatti, grancassa, tamburo. Il primo atto è durato un'ora. Piovono gli applausi. I suoi fedeli non si tengono dall'allegria; capiscono oltre le sue intenzioni, con una rispondenza perfetta e immediata. (da Quasi una vita, pp. 46-47, Bompiani 1950) Karl Kraus (foto di Lotte Jacobi, Berlino, circa 1930). 53
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