52 ANTOLOGIA L'ARTEDIMENTIRE Mario Vargas Llosa Per trasformare la vita [...] Cosa significa che un romanzo mente sempre? Non ciò che credettero gli ufficiali e i cadetti del Collegio Militare Leoncio Padro, dove - almeno in apparenza· - si svolge il mio primo romanzo, La città e i cani, che bruciarono il libro accusandolo di calunniare l'istituzione. Né ciò che pensò la mia prima IOOglie leggendo un altro mio romanzo, La zia Julia e lo scribacchirw, la quale, sentendosi ritratta in IOOdoscorretto nel libro, ne pubblicò poi un altro che si proponeva di restaurare la verità alterata dalla finzione. Naturalmente in entrambe le storie ci sono più invenzioni, tergiversazioni ed esagerazioni che ricordi e scrivendolo non ho mai preteso d'essere aneddoticamente fedele ad alcuni fatti e personaggi anteriori ed estranei al romanzo. In entrambi i casi, come· in tutto ciò che ho scritto, partii da delle esperienze ancora vive nella mia memoria e stimolanti per la mia immaginazione e creai con la fantasia qualcosa che riflette in modo assai infedele questi materiali di lavoro. Non si scrivono romanzi per raccontare la vita, ma per trasformarla, aggiungendole qualcosa. Nei romanzetti del francese Restif de la Bretonne, la realtà non potrebbe essere più fotografica: è un catalogo dei costumi del XVIII secolo francese. In questi quadretti di costume tanté, accurati nei quali tutto somiglia alla realtà, c'è tuttavia qualcosa di differente, minimo e rivoluzionario: che in questo mondo gli uomini non s'innamorano delle dame per la purezza nelle loro fattezze, la leggiadrla del loro corpo, le loro doti spirituali ecc., ma esclusivamente per la bellezza dei loro piedi (per questo è stato chiamato bretonismo il feticismo dello stivaletto). In un modo meno crudo ed esplicito, e anche meno cosciente, tutti i romanzi rifanno la realtà - abbellendola o peggiorandola - come fece, con deliziosa ingenuità, il copioso Restif. In queste sottili o rozze aggiunte alla vita - nelle quali il romanziere materializza le sue ossessioni - risiede l'originalità d'una finzione narrativa. Essa è tanto più profonda quanto più ampiamente esprima una necessità generale e quanto maggiore sia, nello spazio e nel tempo, il numero dei lettori che identificano, in queste infiltrazioni di contrabbando nella vita, gli oscuri demoni che li inquietano. Avrei potuto, nei romanzi citati, cercare una scrupolosa rispondenza ai ricordi? Certamente. Ma, se anche fossi riuscito nella noiasa impresa di narrare solo fatti certi e deserivere personaggi le cui biografie calzano come guanti a quelle dei loro modelli, non per questo i miei romanzi sarebbero stati meno bugiardi o più veritieri di quanto siano adesso. La scrittura e Il tempo Perché non è l'aneddoto quello ·che in sostanza decide la verità o la menzogna di una narrazione, bensl il suo non essere vissuta, ma scritta; che cioé sia fatta di parole e non di esperienze vive. Nel tradursi in parole, i fatti subiscono una modificazione profonda. Il fatto reale - la sanguinosa battaglia alla quale presi parte, il profilo gotico della ragazza che amai - è uno, mentre i segni che possono descriverlo sono innumerevoli. Scegliendone alcuni e scartandone altri, il narratore privilegia una possibilità e assassina altre mille versioni di ciò che descrive: questo, quindi, cambia la propria natura, ciò che descrive si trasforma nel descritto. Mi riferisco solo al caso dello scrittore realista, quella setta, scuola o tradizione alla quale appartengo e i cui romanzi riportano avvenimenti che i lettori possono riconoscere come possibili attraverso la propria esperienza della realtà. Sembrerebbe, difatti, che per il narratore di stirpe fantastica, che descrive mondi irriconoscibili e notoriamente inesistenti, non si proponga neppure il confronto tra la realtà e la finzione. Invece si propone ugualmente, ma in maniera differente. L'irrealtà della letteratura fantastica si muta, per il lettore, in simbolo o allegoria, cioè rappresentazione, di realtà ed esperienze che può sl identificare come possibili nella vita. Questo è l'importante: non è il carattere realista o fantastico di un aneddoto che traccia nella narrativa la linea di frontiera tra verità e menzogna. A questa prima modificazione - quella che imprimono le parole ai fatti - se ne mescola una seconda, non meno radicale: quella del tempo. La vita reale fluisce e non s'arresta, è incommensurabile, un caos nel quale ogni storia si fonde con tutte le altre e, per ciò stesso, non comincia né termina mai. La vita della finzione letteraria è un simulacro nel quale quel vertiginoso disordine si volge in ordine: organizzazione, causa ed effetto, inizio e fine. La sovranità e indipendenza d'un romanzo non sta soltanto nel linguaggio col quale è scritto, ma anche nel suo sistema temporale, nel modo in cui scorre al suo interno l'esistenza: quando indugia e quando accelera e qual è la prospettiva cronologica del narratore nel descrivere il tempo narrato. Se tra le parole e i fatti c'è una distanza, tra il tempo reale e quello della narrazione c'è sempre un abisso. Il tempo romanzesco è un artificio costruito per ottenere certi effetti psicologici. In esso il presente può essere anterioMario Vargas Uosa (foto NRF Jacques Robert).
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