I il 11 11 ~fr5~~-~. • So'Vt6 tùcthA~ <:).__• ~ .f-ii~ta', 10~e,6 ,e .ùNt.. 2-o_, ~~ che fomentato. Se la curiosità spingeva a indagare come nascono i fratellini, la risposta era frontale, sincera. Se i genitori decidevano di separarsi, la decisione era spiegata davanti ai figli senza remore né falsi palliativi. Se le oscillazioni della graduale socializzazione e i turbamenti della pubertà facevano traboccare i margini dell'equilibrio familiare, si ricorreva, senza molti indugi, all'aiuto terapeutico. C'erano problemi e i problemi, come si diceva, dovevano essere affrontati. Ma se l'uragano politico soffiava sui ragazzi e le sferzate comunitarie li raggiungevano, se volevano conoscere la nostra opinione sulla condotta della polizia o l'azione delle forze armate, capire che cosa significassero gli uomini che, in abiti civili e con i mitra in pugno, si riversavano come furie nelle strade e nei viali preceduti dall'urlo terrificante delle sirene della loro automobili, o le grida laceranti che fendevano il sonno e la notte, o i corpi in cui inaspettatamente quasi inciampavano andando a scuola e che giacevano sui marciapiedi sepolti da fogli insanguinati di giornali, allora no, non si doveva dire loro una sola parola. O se la si diceva, bisognava che fosse ferma e dissuasiva. Si doveva estirpare ogni inquietudine; far sentire il peso dei pensieri inopportuni. I ragazzi erano ragazzi. Che cosa erano tenuti a sapere? Cosi si sono comportati molti genitori in questi tempi bui e pieni di terrore. Si sono giustificati dicendosi l'un l'altro che era preferibile proteggere i bambini dal disastro, dall'angoscia, dall'incertezza e dalla vergogna. Cosi facendo dimenticavano o volevano dimenticare che i loro stessi figli davano fin troppe prove di non poter sopportare ancora bavagli e menzogne. In realtà questi genitori volevano negare che tali conflitti richiedessero un impegno morale che essi non erano disposti ad assumere. Non volevano più saperne di politica e di politici. Erano in preda allo scetticismo. Le prove del fallimento erano sotto gli occhi di tutti. Dalla democrazia in Argentina non ci si poteva aspettare più nulla. A niente sarebbe servito perciò protestare contro la dittatura. Se i capitani e i colonnelli amministravano la repubblica, doveva esser per qualcosa. E inoltre, anche sé si fosse voluto, chi poteva fare qualcosa? Quale protesta poteva opporsi all'urto dei fucili? No, era inutile protestare; e ancora più inutile ribellarsi. La miglior cosa, l'unica possibile era mettersi con la faccia al sole il fine settimana, dimenticare il paese dal lunedi al venerdì, cercando di guadagnare il difficile pane quotidiano. Un giorno, tuttavia, è scoppiata la guerra. Iniziava l'autunno e ci siamo svegliati sapendo che eravamo di nuovo padroni delle Malvine. Espulsi dal suolo che avevano usurpato un secolo e mezzo fa, gli inglesi hanno ceduto attoniti di fronte all'inatteso attacco argentino. Immediatamente nelle scuole si è diffuso lo strepito festoso delle marce militari. Non c'era balcone su cui non sventolasse una bandiera. Nel cuore dei bambini è nata l'emozione. Il soffio della riconquista ha pervaso il cuore della nazione intera. Nei cortili delle scuole, alla radio, sugli schermi della televisione i vecchi ordini patriottici assumevano una immediata vivacità e il brivido di saperci protagonisti di un'ora decisiva ha estasiato tutti allo stesso modo. Genitori e figli si sono abbracciati nello scenario rumoroso delle celebrazioni, così come avevano fatto nel 1978, quando la tirannia promosse i festeggiamenti del campionato mondiale di calcio, voltando le spalle all'orrore dei morti e degli scomparsi. Eravamo, d'un tratto, di nuovo una nazione. Era successo il miracolo. Il profilo della nostra identità si delineava un'altra volta con trasparenza. I ragazzi, travolti dall'ispirazione dell'ora, disegnavano battaglie nelle quali lo stendardo britannico era piegato, come una volta, dal coraggio e dall'astuzia creola. Volenterosi hanno raccolto abiti e alimenti e li hanno mandati ai nostri soldati. Di tanto in tanto scrivevano loro per esprimere il loro amore e il loro orgoglio. Hanno ascoltato e imparato la BibliotecaGino Bianco parola colonialismo. Molti hanno potuto, incoraggiati dai loro genitori, spalleggiare quanto diceva il governo della giunta militare. Nelle loro testoline non entrava altra immagine che quella scolpita dai promotori del trionfalismo. E i più grandi, quelli che frequentavano la scuola media o che si affacciavano inquieti alla scalinata degli studi superiori, hanno tremato di emozione nell'ascoltare il 10 aprile l'altero proclama del generale che ha intimato agli inglesi dalla Casa Rosada: "Se vogliono venire, vengano: diamo loro battaglia!" Era questo, dunque, il panorama. Ad eccezione che per la grottesca buffonata sportiva del 1978, si deve segnalare che ai ragazzi, tra il 75 e 1'81, era stato proibito di sapere che cosa succedeva. Dall'aprile alla metà di giugno del 1982, invece, si è insistito perché vedessero ciò che si voleva mostrare loro. I genitori, sia quelli che dapprima avevano accettato la censura ferrea, sia quelli che non l'avevano accettata, sono stati in seguito conquistati dal successo della guerra e dall'euforia iniettata all'anemica popolazione civile. Esposti alle fluttuazioni della prepotenza totalitaria hanno ballato l'umiliante danza di turno. Solo che cosi come è arrivato il 2 aprile, è arrivato anche il 14 giugno e con esso la capitolazione argentina: le Malvine ritornavano ad essere Falklands. E una volta ancora l'autoritarismo ha chiesto il silenzio. Ma questa volta, questa volta i ragazzi avevano gli occhi bene aperti e il cuore sufficientemente ferito: avevano scoperto la dittatura. Ora lo sapevano: despoti erano quelli che ingannavano. Quelli che, senza ombra di dubbio, avevano promesso loro la vittoria dicendo che stavamo vincendo la guerra che in realtà perdevamo. Quelli che hanno abbandonato alla loro sorte nei campi di battaglia una gioventù inerme. Quelli che continuavano a nascondere i terribili errori e le nefandezze che avevano commesso. Nel giugno del 1982 la maggior parte dei bambini argentini, che la realtà della dittatura sembrava non aver toccato, è stata schiaffeggiata dalla brutale scoperta della menzogna. Ora essi lo sapevano: una tirannia è il potere di quelli che imbrogliano; di quelli che non pensano che a se stessi; di quelli che abusano della buona fede dei propri simili e dispongono arbitrariamente dei loro beni, della loro generosità e della loro vita. E ora capivano che questo era ciò che avevano intuito prima della guerra, quando per le strade passavano con stridore le automobili dai cui finestrini si affacciavano con espressione inferocita quegli uomini in abito borghese, quando urla inspiegabili laceravano l'alba o quando di sera un silenzio grave calava sulla tavola. Ed è verosimile, molto verosimile, che un giorno non lontano questi bambini che hanno già capito che cos'è una dittatura, si arrischino a porre ai loro genitori la più innocente e dura delle domande: - Non sapevate che era tutto falso? E se lo sapevate, perché ci avete nascosto 1~verità? 49
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