48 I RAGAZZEILADITTATURA Santiago Kovadloff L'ordine era di tacere. Un ordine perentorio. Tacere perché neppure l'eco di quanto si diceva fuori oltrepassasse la soglia di casa. Perché neppure una goccia di tanto lerciume insudiciasse il candore dei bambini. E che cosa si diceva? Si diceva che di notte forzavano le porte con la pistola puntata e strappavano la gente dal proprio letto. Che fosse vero o no, i bambini non dovevano saperlo. Si diceva che fermavano le macchine per strada e che a calci e a spintoni le vuotavano degli occupanti; mettevano i sospettati nelle proprie automobili e con essi sparivano per sempre. Che fosse vero o no, i bambini non dovevano saperlo. Si diceva che torturavano fino alla morte i loro prigionieri e che c'erano luoghi in città dove a certe ore si potevano sentire grida e spari. Che fosse vero o no, naturalmente, i bambini non dovevano saperlo. Si diceva che nel paese abbondavano i campi di prigionia e di sterminio; luoghi dove un uomo valeva meno di un topo. I bambini, naturalmente, non dovevano saperlo. E meno ancora dovevano sapere ciò che a mezza voce circolava: che anche i figli di molti sequestrati sparivano e che quelli che avevano più di dieci anni erano soppressi, perché si riteneva che avessero già assorbito l'ideologia del proprio focolare. No, i ragazzi non avevano nulla da sapere. Inoltre che cosa avevamo noi a che fare con quanto accadeva? Non ave:vamo fatto niente. Non ci si sarebbero messi contro. Qualcosa dovevano aver fatto, in fin dei conti, quelli che sparivano, se era vero che sparivano. Sl, la cosa migliore era lasciare in pace i ragazzi. Se qualcuno chiedeva, se qualcuno sospettava, era meglio essere decisi: - Queste sono cose che si dicono. Nessuno le sa. Noi non abbiamo niente a che vedere: non succede nulla a chi non ha a che vedere... Ed era tutto. Per un istante i ragazzi fissavano i visi tesi dei loro genitori; tastavano nei loro cuori la severità del tono con cui si era loro parlato e poi - lentamente - tornavano al cucchiaio fumante sospeso davanti alle labbra. L'ordine era chiaro: nessuna domanda. Potevano giocare e studiare. Non dovevano preoccuparsi di quanto accadeva, se accadeva. A chi non c'entrava, non succedeva niente. Mamma e papà non continuavano forse a lavorare? Non arrivava forse l'estate, e la gioia delle vacanze non tornava puntualmente un anno dopo l'altro? E non tornava il lunedl? E la scuola e i compiti e l'ora implacabile della doccia? Un ordine essenziale obbligatoriamente persisteva. E non solo nella sensibilità dei bambini, persisteva ostinatamente anche nella mente degli adulti. Uomini e donne feriti, gettati in ma-. re di notte? Corpi mitragliati e ammonticchiati come spazzatura da far saltare in aria con la dinamite? Tombe anonime che custodivano i resti dei torturati con il pungolo? Chi poteva dimostrarlo? Forse quelle madri che, come animali feriti, si aggiravano intorno alla Plaza de Mayo chiedendo il silenzio per i loro figli portati via? Chi sa in che cosa erano immischiati quei figli! Chi sa chi erano quelle madri! Complici a volte ingenui, ma sempre indubbi del ferreo mutismo ufficiale che ha intossicato con la repressione, la censura e il piombo l'opinione pubblica, molti sono stati i genitori che in questi anni di dittatura hanno creduto prudente sfuggire la realtà e soprattutto accettare i suggerimenti della paura. Era preferibile l'evasione. Se esistevano i sospetti infantili di un inferno in Argentina, non dovevano essere confermati. Pochi, molto pochi, sono stati i genitori di figli piccoli che hanno scelto di non volgere le spalle al paese reale nel dialogo con i loro figli. Pochi, molto pochi, hanno previsto che, se non avessero fatto cosl, avrebbero finito con l'inculcare ai loro figli una lezione di servilismo civico i cui effetti si sarebbero sentiti nella repubblica costituzionale di domani, se questa fosse mai tornata ad esistere. La maggior parte ha sostenuto con enfasi che, ,per quanto possibile, non si sarebbe dovuta perturbare la presunta innocenza dei ragazzi. E ancor meno con fatti del mondo politico. È curioso come, in altri ordini, il realismo non solo fosse tollerato, ma anUniversità di Buenos Aires, 1983 (foto Jean Guichard!Sygma!Agenzia G. Neri).
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