46 borghese. Il problema fondamentale è stato quello delle tecniche, perché quando si parla di riferimenti si parla di tecniche. Si tratta di impararle, di mangiarle, per poi dimenticarle, e lasciarle stratificare senza mostrarle, onde non cadere nella meccanicità o nell'imitazione, che è fastidiosa e non genera immediatamente comicità. Il riferimento ad altri attori va fatto rivivendoli fino in fondo in tutte le loro espressioni, gesti e azioni, tempi, spiazzamenti e controtempi, immagazzinando un repertorio di situazioni per poi ributtarle fuori in maniera personalizzata. In Comedians come nei tuoi precedenti spettacoli hai costruito il personaggio indipendentemente dal testo? All'inizio ero un po' terrorizzato perché mi stava per capitare quello contro cui ho sempre lavorato: avevano chiamato un napoletano per fare il napoletano in una situazione non napoletana. Questo significava lottare contro una quantità di stereotipi e di luoghi comuni. All'inizio, vista la situazione, ho fatto di tutto per metterci quegli elementi che tutti si aspet- .tano, fino ad arrivare al kitsch. Poi pian piano si è modificato, anche se si lavorava in una struttura dove tutto era contraddistinto da segni forti: l'ebreo era "ebreoso", lo scaricatore era energico e volgare. Ho cercato di dare un minimo di verità al personaggio lavorando su cose piccole, minime. Ritorniamo al comico... Sl, il comico è un meccanismo... è mettersi in sintonia con il pubblico facendo finta di non avere opinioni e poi, quando ti hanno preso in simpatia, far passare quello che vuoi tu. Il comico non aggredisce il pubblico, si fa adottare da lui, e attraverso questo gli dice tutto quello che vuole. Odio la comicità legata alle barzellette, la comicità dipendente dalla pubblicità: odio molta della comicità che si fa oggi. La comicità scava negli umori e nelle passioni, e deve lasciare un segno, ci si deve riconoscere qualcosa e alla fine restare con un po' di amaro. È per questo che dico di eisere un attore e non un comico, è dall'attore che si può passare al comico. I più grandi attori sono comici e sono delle maschere, e la maschera deve avere i piedi in terra, da qualche parte. E tu, dove ti senti? I piedi dove ce li hai? A Napoli e in alcune cose personali della mia vita. Napoli come grande mamma che ti dà tante cose ma che devi sapere quando è il momento di abbandonarle. Infatti tra me e Tonino Taiuti il lavoro funziona benissimo e i rapporti, i meccanismi del comico sono perfetti, perché lui è un sottoproletario come non ne esistono più in Italia, un reperto di ere geologiche scomparse, e io sono un piccolo borghese con molti punti di contatto con il sottoproletariato. Tra noi ci sono le stesse dinamiche che c'erano tra Totò e Peppino. BibliotecaGino Bianco INCONTRI ILFUTURO È AZZURRO IncontroconPaoloRosa a cura di Goffredo Fofi Paolo Rosa è il regista di uno dei più stimolanti e originali film della scorsa stagione, L'osservatorio nucleare del signor Nano/, visto solo nelle rassegne del cosidetto "cinema giovane". Ma Paolo Rosa è anche uno degli animatori dello Studio Azzurro, una piccola struttura produttiva cui si devono alcuni dei più esemplari esperimenti di uso del video. L'osservatorio nucleare del signor Nanof è uno dei film più elaborati tra quelli dei film-maker, e non solo. Dimostra una sapienza tecnica straordinaria in un esordio, e perfettamente consona a un soggetto che parte da una dimensione realistica per trascinare lo spettatore nel fantastico - su temi come la follia, il doppio, ecc. Come è stata possibile questo tipo di fusione? Stavamo impostando un soggetto per il premio film - maker, e ci siamo resi conto per caso che aveva un corrispettivo nella realtà, una coincidenza che ci ha spinto a precipitarci a Volterra a vedere i graffiti di Nannetti nel vecchio manicomio. Ci siamo trovato di fronte a una realtà cosl dirompente da superare qualsiasi nostro sforzo immaginativo. L'avvio realistico che spingeva naturalmente verso un discorso di pura immaginazione è venuto da questo, con una mescolanza tra le due cose di cui l'aspetto più interessante resta, anche per altri progetti, la ricerca della chiave per il passaggio dall'una all'altra dimensione, senza distinzioni tra le due, e in ciascuna delle quali sia presente qualcosa dell'altra. Ma Nanof nasce anche da un bagaglio di ricerche fatte in vari settori, da quello fotografico a quello video, che come Studio Azzurro portiamo avanti da un po' di anni, e da quello di piccoli film precedenti la cui costante era l'interesse per un linguaggio di marginalità (non di emarginazione) comunicativa, nei quali erano presenti segmenti di un ff modo di comunicare diverso da quelli stereotipati e correnti. Il graffito di Nannetti suscita emozioni di racconto, di un racconto svolto in maniera inconsueta e penetrante, come anche gli autoritratti del "ragazzo D." del film precedente, dove erano presenti aspetti di comunicazione "arrabbiati", ma mai urlanti, gridati. Anche in Facce di festa, il tentativo era di mettere in difficoltà l'interlocutore, e portarlo a comunicare con l'espressione, il gesto, invece che con la parola... Che cos'è Studio Azzurro? Chi siete, cosa avete fatto finora? Studio Azzurro è nato come uno studio fotografico che ha riunito nel '78 cinque-sei persone che partivano anche dalla loro voglia di lavorare insieme. Questo è servito molto: per lavorare è spesso meglio avere vicino un amico che non uno specialista. Erano tutti molto giovani, ovviamente. Nell'82 siamo entrati io e Leo Sangiorgi, che già collaboravamo e che avevamo esperienza di arti visive, anche se un po' trasversale. Avevamo fatto con un altro gruppo, alla Besana, mostre sulle strategie dell'informazione, con un'ottica in qualche modo militante: la comunicazione assumeva una direzione di elaborazione di cui chi operava nell'ambito della comunicazione non poteva a nostro parere non tener conto. Il nostro rapporto con lo Studio Azzurro era nato dall'idea di Facce di festa, per la cui realizzazione avevamo chiesto il loro aiuto. Eravamo interessati al cinema, non eravamo fotografi. La difficoltà di far cinema ci spinse poi verso il video, in modo un po' occasionale, perché fino ad allora lo avevamo disdegnato secondo l'abituale ottica un po' romantica dei cinéphiles. Lavorando col video ci rendemmo conto che si potevano, con quel mezzo, realizzare cose che forse con la pellicola non erano possibili: il video permette un lavoro spaziale che va oltre il discorso cinematografico, si può fruire il video in un ambiente, e questo cambia molte cose, cambia la ricezione. L'inizio fu un po' giocoso ma siamo rapidamente passati a cercare di razionalizzare le nostre acquisizioni e ricerche, indirizzandoci più sulle video-installazioni che sui programmi video, secondo l'esigenza di far uscire lÒ schermo dal contenitore e buttarlo dentro uno spazio, che è peraltro il modo normale di usufruire della televisione. Il cinema aveva bisogno di tenere staccati pubblico e schermo: oscuramento della realtà, proiezione
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