Linea d'ombra - anno IV - n. 14 - maggio 1986

INCONTRI NAPOLDI OPONAPOLI IncontroconSilvioOrlando a cura di Stefano De Matteis Napoli, produce instancabilmente il meglio e il peggio in un intrico di contraddizioni, di proposte senza progettualità, per tutti i gusti e le esigenze. Napoli, patria dei più grandi comici del novecento, è stata in questi ultimi anni surclassata dal nord: al primo posto, i cabarettisti dei navigli, che si sono fatti le ossa al Derby e trovato in Canale 5 e soprattutto in Drive in lo strumento per una affermazione nazionale. Ma per fortuna la comicità non è solo quella delle barzellette e delle storielle veloci, non è solo quella becera e insulsa dei Beruschi, Gaspare, Zuzzurro, D'Angelo eccetera. Ultimamente uno spettacolo come Comedians ha presentato una varietà di comici che, del comico, seguono altre strade e altri percorsi: da Paolo Rossi a Claudio Bisio, da Antonio Catania a Gianni Palladino. Tra questi un napoletano, Silvio Orlando, l'unico ad essere figlio di una grande tradizione, disposto a fare i conti con essa e a cercare Il la possibilità di una comicità che aggiunga qualcosa alla storia del comico. Silvio Orlando, tu hai cominciato a far teatro una decina d'anni fa, nel periodo di grandi fermenti e scoperte del teatro sperimentale. La mia generazione è venuta fuori dopo il '75, momento di grandissima confusione in cui tutto era stato distrutto. Noi siamo nati dai fallimenti di repertori, modi di produzione, esperienze di gruppo e abbiamo fatto ricorso a un modo di cercare selvaggio e apparentemente senza mai scegliere. Dopo parecchi anni con il Teatro dei Mutamenti, impegnato in spettacoli sulle avanguardie storiche, abbiamo deciso, io e Tonino Taiuti, di fare compagnia. Abbiamo cominciato a lavorare a un teatro più vicino a noi, più riferito alle nostre radici e al mondo che sentivamo vicino, in modo istintivo. Abbiamo cominciato con una sorta d'indagine sul teatro minore - la sceneggiata, l'avanspettacolo, il varietà. Il primo lavoro è stato La stanza, uno spettacolo che ci ha fatto capire i modi del lavoro in coppia, BibliotecaGino Bianco su testi come Le pentite, una sceneggiata di Libero Bovio, sulle macchiette di Viviani e di Maldacea e, testo conclusivo dello spettacolo, Le vergini di Budda di Totò. A questo è seguito Due uomini in un armadio di cui abbiamo scritto il testo e fatto la regia. È qui che abbiamo individuato la strada che ci sembrava buona per rinnovare la tradizione riportandola a situazioni dell'oggi, mettendoci dentro le angosce della Napoli d'oggi, di una situazione in continuo sfascio. Credo che il problema sia questo: la grande tradizione del teatro napoletano si è fermata trenta o quaranta anni fa e da allora a Napoli è successo di tutto, la città ha subito un continuo degrado, lento e inesorabile, e a livello teatrale non c'è stato niente che abbia mostrato adeguatamente la situazione di questa città, nello sfaldamento generale e nella perdita dei rapporti umani. Un compito importante oggi è quello di cercare una linea "dentro" la tradizione, Silvio Orlandn in Comedians (foto di Mawizio Buscarino). perché essa non va buttata via, facendo in modo che sia un fattore propositivo e che non diventi un limite. Le ultime cose prodotte da Napoli o sono moda, o sono accademia (penso a De Simone, con tutto il valore che possono avere le sue operazioni), o sono ghetto (penso a un certo teatro omosessuale, come quello di Enzo Moscato e di Annibale Ruccello che sicuramente rappresentano il malessere di quella situazione ma che restano troppo inseriti in una dimensione solo napoletana, di sfogo individuale, che risulta non esportabile). Con i nostri spettacoli abbiamo tentato di superare questi limiti, e quelli della semplice sopravvivenza. Dall'avanguardia storica al comico: come è avvenuto questo passaggio? Ho un tipo di fisicità, dei tempi recitativi che mi portano immediatamente in una dimensione comica. Anche nelle situazioni più "seriose" ho sempre inserito dell'ironia, e da qui è nata la mia comicità: il comico deve fare sempre i conti con la situazione, deve rispondere alla realtà e deve, se ci riesce, far progredire la tradizione. Questo è il problema ... Nel nostro spettacolo Due uomini in un armadio, abbiamo preso due uomini "normali" e li abbiamo inseriti in una situazione farsesca che andava man mano divenendo sempre più amara e angosciosa. Alla fine dello spettacolo molti restano sconcertati, come è successo a una rassegna a Roma dove l'avevamo presentato: ci hanno chiamato solo perché eravamo "i napoletani" ma, visto lo spettacolo, si è stabilito un clima di angoscia e di violenza, tutti sono rimasti senza parole anche perché molti degli ospiti della rassegna erano i cosiddetti comici emergenti, quelli che hanno come riferimento la televisione e la pubblicità, loro unico mezzo di riflesso-riflessione sulla realtà. Rispetto alla tradizione di cui parli, quali sono stati i riferimenti? Vengo da Peppino De Filippo, letto come ultima grande maschera del teatro e importante esempio di maschera piccolo

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