Linea d'ombra - anno IV - n. 14 - maggio 1986

42r------------------------------..---------------- IPADRODNEI LVAPORE Goffredo Fofi Alle pagine 279-280 delle sue memorie, La sera andavamo in via Veneto (Mondadori, _pp. 383, L. 22.000) Eugenio Scalfari, direttore del quotidiano "la Repubblica", dice giustamente che nel corso degli anni Settanta i media, e in particolare la stampa, "non si sono limitati a informare la pubblica opinione, ma sono intervenuti anch'essi [come i sindacalisti e i magistrati dei quali parlava alle pagine precedenti] 'in supplenza' e si sono posti come contropotere di fronte alle degenerazioni d'un potere declinante e malformato". Nel male o, lo dichiara apertamente, nel bene nel caso di "la Repubblica". Il libro di Scalfari è stato molto letto ma poco commentato criticamente e molto di più da esegeti e sodali membri di quel "partito importante, sia pure sui generis" (p. 275) che il giornale di Scalfari è diventato o di quel più vasto raggruppamento (una volta "gli amici del Mondo", oggi gli amici degli amici, i nuovi amici) cui Scalfari fa sovente riferimento e nel cui nome il libro si presenta. Il suo sottotitolo è infatti: Storia di un gruppo dal "Mondo" alla "Repubblica". Scalfari ha molto potere, nessuno ne dubita e men che mai egli stesso. Le sue memorie sono un continuo "io e lui", appena mascherato, per buona educazione, dal rovesciamento dell'ordine dei soggetti: Enrico (Pannunzio) e me, Ernesto (Rossi) e me, Sandro (Pertini) e me, Enrico (Berlinguer) e me, Carli e me, Agnelli e me, Lombardi e me, De Mita e me, su su fino a quel Carlo (De Benedetti) e me, che si merita di essere considerato dall'autore "ormai uno dei nostri" (p. 357) e che, ma ci si permetta di dubitarne, "sarebbe piaciuto ad Ernesto Rossi". Craxi è tra i pochi a figurare nel libro come una sorta di bestia nera, poiché la sua spregiudicatezza e il suo decisionismo non sembrano rispondere alla logica del gruppo di cui Scalfari è sostenitore e membro privilegiato, tutto dedito al progresso della nazione e non di una parte. Per rendere Festa per i dieci anni di "la Repubblica" (da "Panorama" del 16/3/1986). appetibile questa storia di una carriera e di un gruppo, l'autore titola i capitoli in modi che in realtà sono assai più frivoli dei titoli di "la Repubblica"; allettanti ovviamente per chi non vuole sentirsi escluso, chi ha la curiosità di sapere come sono in privato i ricchi e famosi, chi crede di dover aderire a un modello e a uno stile in cui il culto dell'efficienza non è disgiunto dalla spavalderia e da uno snobismo copiato su quello dei potenti. Queste memorie st aprono e chiudono con citazioni proustiane, ma leggendole si pensa piuttosto a Maupassant, e, a tratti, a certi romanzoni americani sui costruttori di imperi. Hanno però in sé, nella prima parte, qualcosa di involontariamente struggente, poiché davvero il senso del tempo che passa e del come certuni sono finiti vi è per un lettore non giovane molto immalinconente. (Ricordate il dialoghetto Totò-Castellani? Castellani: "È morto Diocleziano!" Totò: "Poveretto! E quando è stato?" Castellani: "Duemila anni fa." Totò: "Come passa il tempo!") Di tempo ne passa davvero molto, in questo libro, e, per me che scrivo, quello più "antico" (gli ultimi anni Cinquanta) rappresenta molto, alcuni dei personaggi che Scalfari dipinge con una certa efficacia li ho conosciuti, sia pure di straforo. Appartenevo a un'altra famiglia ma leggevo anche "Il Mondo" e i contatti erano frequenti tra famiglie minoritarie fuori dalle due grandi chiese cattolica e comunista. Scalfari parla di "terzaforzismo". E le minoranze erano allora ovviamente terzaforziste, anche quelle religiose (ce n'erano perfino dentro la chiesa) e quelle marxiste. Ma intanto non è vero che "tutta la cultura italiana non marxista" sia passata dal "Mondo" (p. 80), e i primi nomi che mi vengono in mente sono quelli di Calamandrei, di Bobbio, di Capitini, di Levi, e poi il terzaforzismo era una necessità avvertita non solo dagli intellettuali o da certi imprenditori "avanzati" - cioè da quella borghesia illuminata di cui "Il Mondo" era portavoce, minoritaria e riformista e a volte, come nel caso di Olivetti, in qualche modo "protestante". Non tutti i terzaforzisti erano, insomma, "di solito longilinei, di solito benestanti". Il gruppo del "Mondo", con tutti i suoi meriti (i convegni degli "Amici del Mondo" e i cicli di lezioni sull'antifascismo sono stati un'esperienza importante per molti, me compreso, e anche le battaglie civili del primo "Espresso"), rappresentava una parte, più liberal che radical nonostante le sue prime sortite politiche, che ebbero tra i capitani proprio Scalfari, prendessero il secondo nome. Snobismo a parte - che Scalfari giustamente analizza come componente fondamentale di quel "giro" - con gli "amici del Mondo" e col primo "Espresso" erano possibili alcune, anzi non poche solidarietà, comunanze, battaglie. Anche alcune speranze. Il problema sorge dopo, e soprattutto a partire - a mio parere - dagli anni Settanta. Non sono in grado di esprimere giudizi sulla storia "economica" di questo gruppo, ma dal momento in cui esso ha cominciato a trasformarsi da borghesia illuminata all'opposizione in borghesia di potere centrale, centrale in molti modi alla vita politica dell'ultimo ventennio, le alleanze non potevano essere che più difficili, e i distacchi farsi maggiori. Scalfari tiene a distinguere a p. 131 tra "gattopardismo nobile" (quello del gruppo che egli rappresenta) e "ignobile" (quello dei gruppi rivali), ma il confine ci appare assai delicato. Tanto più se pensiamo a come il laicismo sia diventato una componente di maggioranza, abbia convinto e assorbito, o stia assorbendo, rivali (per es. buona parte del PCI) e le battaglie siano sempre di più battaglie dentro uno stesso sistema di valori o di apparati. La "nomenclatura" (è lo stesso Scalfari a ricorrere al termine trattando in definitiva delle proprie alleanze) si è dilatata, i suoi confini si sono fatti meno definiti. Il PCI - sintomatiche le critiche a Berlinguer nel capitolo che lo riguarda, e alla sua illusione di "diversità" - è cambiato enormemente; la DC anche, nonostante tutto e nonostante Wojtila; e la borghesia imprenditoriale anche. È cambiata la società, è tutta la società che si è . fatta "laica", a livelli un tempo inimmaginabili. Di questa società che non si divide più in "chiese" ma in lobbies, corporazioni, mafie, camorre, Scalfari è influentissimo membro di una delle lobbies più potenti, in lotta contro quelle più "arretrate", ma non può più pretendere, io credo, alla superiorità morale della sua rispetto ad altre: poiché la legge che le guida, oc-

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