Linea d'ombra - anno IV - n. 14 - maggio 1986

contemplava di sotto in su con uno sguardo sbiancato. Io comandai: -Guardi là. Ubbidì. Anch'io fissai là. Con grande attenzione cominciavo l'esperimento. Non guardavo la mia mano, ne guardavo la immagine, entro lo specchio del vetro; si abbassava, la effigie fievole della mia mano, sul cespo dei gerani reali, e li raggiunse. Ma i gerani rimasero immobili. Abbassai ancora: l'immagine della mano s'intrecciò ai gerani. Ancora vivevano insieme, le due forme, quella mobile e quella immota, senza mescolarsi, senza offendersi, senza conoscersi. - Stia zitta. Fissi bene. Ritentavo. Tesi la volontà. D'un tratto scossi e roteai la mano. E l'effigie roteò rapidamente. Allora i gerani si mossero. Avevano dato un crollo leggero, come al passare di un vento leggero. Ginevra gridò: -Ah! Ma sùbito lo scettico spirito femminile la affen:ò per una spalla. Ella la scosse, dicendo: - È un caso. È passato proprio in quel momento un po' di vento. Io la guardo dall'alto severamente: - Fissi ancora. Mi dirà lei quando debbo muoverli. L'immagine della mano era posata sul geranio fermo. Ginevra taceva: sentii che anelava. lo le feci coraggio: - Dica, dica lei quando. Esitò ancora, poi d'improvviso: -Muova! Io scossi la mano. E i gerani come prima si chinarono e tremarono. Allora sedetti e fissai gli occhi nel volto di lei che era pallido. Ma la commozione le durò poco. Già la riprendeva l'umore del giuoco. Il sangue tornò alle sue guance; e rise. Il riso era un po' rauco, ma ella aggiunse: -Voglio provare anch'io. Le lanciai uno sguardo di compassione: - No, lei non può. Mi credette sùbito, docile, umile. Per un poco rimanemmo in silenzio, e io meditavo; perché quando sono in villeggiatura amo meditare su queste cose profonde. Il fiore della mia meditazione sbocciò nelle seguenti parole: - Il geranio s'è mosso. Dunque, se avesse la facoltà di sentire, avrebbe sentito. Ecco una bella esperienza. Lei va di là. -Dove? - Di là, fuori, vicino al geranio. E appoggia una mano così, in un posto qualunque; ma ferma. Io sto di qua, e cerco di toccare la sua mano vera con la immagine della mia. Ha capito? BibliotecaGino Bianco STORIE/BONTEMPELLI -Sì, sì. - E lei la sentirà, deve sentirla. Ginevra s'era alzata per uscire. La trattenni: - Un momento. Lei deve sentirla, ma non può essere una sua idea. Lei quand'è fuori volti le spalle alla finestra; non mi guardi, guardi di là, nella valle: solo tenga alzata e bene in vista la mano. -Va bene. Se n'andò. Osservai il suo corpo vestito di rosa che s'allontanava: il collo scoperto e molto sottile e bianco, che improvvisamente scompariva in mezzo alle prime radici dei capelli neri. Poi mi girai a guardare oltre i vetri. Quasi sùbito la vidi apparire nel giardinetto. Mi volse le spalle come le avevo ordinato. Il vestito rosa s'era imbrunito nella tenebra, ma il collo pareva fatto più bianco. Eretta tagliava la tenebra; pareva intagliata nel cielo; pareva che le stelle si fossero scostate per farle posto. Con un piccolo sforzo degli occhi evocai, là entro, il mondo delle immagini riflesse. M'ero alzato di nuovo, e vidi me stesso là, in effigie, in piedi accanto a lei vera. Ginevra sollevò una mano e la tese, come le avevo insegnato; e così ferma la teneva aspettando. Ma io non mossi la mia mano per toccare con l'effigie la sua. Non so quale dèmone mi suggerisse. Io smossi con cautela tutto il mio corpo, sorvegliandone l'immagine. E questa ora stava accanto al corpo di lei, lungo il corpo di lei, poco più alta. Piegai il collo, e anche quel mio capo effigiato si piegò. Mossi le labbra. E la mia immagine posò la bocca sul collo vivo di lei, lo baciò, vi rimase appoggiata e stretta; e d'un tratto vidi lei scuotersi tutta, e abbassare il capo scostandolo; senza voltarsi fuggì. Fuggì, come se sentisse che l'avevo baciata sul collo. Non credei che lo avesse sentito. Sedetti come tranquillo, aspettando il suo ritorno. Tornò sùbito. Era pallidissima. E non sedette. Avrei dovuto domandarle: - perché se n'è andata? - E lei doveva, anche senza domanda, dirmi qualche cosa. Non una parola. Non disse più nulla dell'esperienza. E io non le domandai nulla. Non sedeva. In piedi davanti al tavolino, fissava una bottiglia d'acqua minerale. Poi, senza rendersene conto, lentamente, alzò una mano, se la passò sul collo, intorno intorno, ve la tenne premuta, dietro, presso la radice dei capelli, con una specie di spasimo. Fu un momento. Allora si sciolse tutta, sorrise, mi guardò finalmente negli occhi. E mi porse-la mano:- - Buona notte. ·· Se n'andò. Non si voltò più. Scomparve. Quella notte non ho dormito. La mattina dopo venne suo padre a prenderla, come ho già detto, e partirono, e non l'ho più riveduta. da La donna dei miei sogni, 1935 Copyright Paola Masino, 1986 39

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