CLEMENDZEALMARE EALTRRIACCONTI Massimo Bontempelli CLEMENZA DEL MARE Amavo il mare, e il mare mi amava. Ma per alcuni anni lo tradii, colpa di una donna che abitava tra i monti. Per molto tempo lontano da lui l'ho trascurato: quattro anni passarono, che né l'inverno né l'estate né mai lo avevo più visto; se m'accadeva di pensarlo, tentavo cacciarne da me il conturbante ricordo. Poi la coscienza della mia colpa s'è fatta chiara. Il rimorso, che già lento da tempo s'accumulava in fondo al mio animo, crebbe e inasprl, si armò di punte che dentro a tratti improvvisamente mi laceravano. La mia inquietudine divenne intollerabile. Fu necessario che la calmassi abbandonando ogni altra cosa mia e correndo là, al mare, dov'era più vicino, a dirgli la mia pena e tutto il mio amore, e averne perdono. Salii sopra un treno che traversa cumuli di montagne: a sera tarda arrivai - era estate - a una piccola città marittima. Dove si scende dal treno, di là il mare non si vede, per le case di mezzo. Ma lo sentivo presente dappertutto nella vita morbida dell'aria. Non volli vederlo sùbito. Non volli andare così a lui nella notte, perché mi pareva cosa vile se io colpevole, dopo tanto abbandono, me gli ravvicinassi per la prima volta mentre velato di riposate ombre dormiva. Debbo presentarmi di giorno, che sùbito mi veda e mi guardi; al gran sole, perché il sole è l'aperto sguardo del mare. E nemmeno ho voluto distrarmi a conversare con l'immenso cielo pieno di stelle. Corsi a un albergo, a chiudermi, ad aspettare la luce. Passai la notte in dormiveglia e in febbre come un bambino la vigilia d'una gran festa. Anzi non mi bastò che arrivasse il mattino, volevo che l'ora fosse alta. Uscii. Il giorno scintillava. La luce dal cielo filtrava nell'aria e calava a posare sui tetti e sui profili degli uomini e delle cose terrene. Più là, dietro una linea di case e giardini, il cielo saliva più splendido contro il sole, perché erano sotto quel brano di cielo il mare e la spiaggia. Mi avviai. A ogni passo sentivo che lui era più vicino: udivo il suo respiro uguale toccare la terra e darle un fremito placido fin sotto i miei piedi. Raggiunta la linea delle case e dei giardini, più lentamente m'inoltrai traversandola: in questo modo, tra un istante, avrei veduto il mare, in tutta la grandezza, d'un tratto. Non sostenevo più la forza enorme del mio desiderio e della mia gioia. Il cuore mi batteva così forte, che dietro l'ultimo angolo ancora una volta mi fermai, un momento. Poi mi sono affacciato. Il mare mi apparve; che era infinito e tranquillo. Era azzurro infinito, e nel lontano grandi strisce d'argento lo imbiancavano lunghe fino agli estremi orizzonti. La luce saliva dal mare, scendeva dal cielo, brillava nell'aria. Il mare era quieto e sicuro, solo un tremante margine di spuma sul lido tradiva il suo piacere di vivere. Azzurro e luce volavano sopra la terra. Il mare e il cielo respiravano luce e calore e ne inondavano il mondo. I miei occhi si riempirono di lacrime tènere. BibliotecaGino Bianco M'appoggiai allo spigolo di un muro. Ero nell'ombra, l'ombra del muro, che si stendeva fino a due passi da me stampata nera e diritta nella rena brillante: e oltre quella linea la rena continuava nella luce per un vasto spazio fino a un orlo di ghiaia dove finisce la terra. Perché io sostavo così dentro quell'ombra del muro, per questo il mare non mi aveva ancora veduto. Allora mi staccai dal muro e uscii all'aperto in mezzo a tutta la luce in faccia al mare. Ed ecco di colpo s'oscurò rabbrividendo il sole e un tremito scosse il mondo, come un gran terremoto dell'aria; d'improvviso tutto fu grigio e tempesta intorno a me, ed era spaventevolmente sconvolta la faccia del mare. Una ruga enorme d'un tratto l'avea·tutta solcata dalla riva all'orizzonte come una voragine torbida, e poi altre cento o mille rughe lo frantumarono; caverne si scavarono e montagne si arrampicarono: tutto si riaccavallò il mare di acque immense che lo sconquassavano schiumando con una gran rabbia in tutte le direzioni. Le onde si mescolavano in alto con le nubi e riempivano l'aria di grida terribili correndo fragorosamente a rovesciarsi sempre più cavernose e colleriche contro la spiaggia: l'aria era piena di gelo e la sbattevano i venti. Anche il cielo era gonfio di nuvole e rabbioso e nero, perché il cielo non è che la fronte espressiva del mare. Io fui sùbito molto contento che il mare mi trattava a quel modo. S'egli mi avesse accolto con indifferenza, o con una fredda e signorile cortesia come fa con certa gente, oppure - e ora confesso che questo era, fin dall'ora della mia partenza sul treno, il mio segreto timore - avesse addirittura finto di non riconoscermi, credo sarei morto dal ~ispiacere e dall'umiliazione. Invece il mare appena mi ebbe visto si corrucciò e m'aggredì con urli e minacciosi improperi, perché mi voleva ancora bene, come lui sa volere quando trova qualcuno che gli va a genio. Perciò il mio cuore si gonfiò di gioia a quell'accoglienza iraconda. Non alzai verso lui le braccia, per un mio vecchio pudore dei gesti fatti; e nemmeno gli dissi nulla: neppure una parola. Credo che gli sorrisi. E può darsi che il mare abbia scorto sùbito in quel mio sorriso - nel quale doveva essere dell'accoramento - tutto il mio rimorso, e l'amore. Può darsi; non ne sono certo: il suo atteggiamento non mutò; anzi d'istante in istante egli cresceva i suoi gridi e più violente scagliava le onde a schiantarsi fischiando verso me; che poi si allungavano sulla rena come per attaccarmi e ormai per un bel tratto l'avevano tutta sconvolta. Ogni onda pareva guadagnasse un po' di terreno. Ma io ero ancora lontano dall'orlo del lido. Così di lontano continuai, credo, a sorridere con umiltà affettuosa e con gratitudine. Forse un altro, più timido, avrebbe creduto che il mare urlasse: - Vattene! - o: - Via da me! - o: - Non ti voglio vedere mai più! - E davvero gridava queste cose, e altre simili, ma per fortuna io non gli ho creduto. Il mio istinto, il mio
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