Linea d'ombra - anno IV - n. 14 - maggio 1986

34 No man's Land (1985). BibliotecaGino Bianco avere questa fortuna. Succede così dal momento in cui, molto tempo fa, mi sono prefissato che non avrei mai guadagnato molto denaro. Mi è capitato una volta sola, per caso, con La salamandre, ma non era negli obiettivi.Non avrei mai creduto che avrebbe potuto essere un film commerciale! E un po' questo il discorso. Quello di dire: mi guadagnoda vivere; non di dire: mi guadagno dei soldi. Dopo La salamandre hai avuto paura di diventare un po' troppo commerciale? Be', dopo La salamandre ho avuto molte offerte da I,Jroduttorfirancesi,grossi produttori che mi spedivano libri di cui avevano comprato 1 diritti e cose simili, ma non ho accettato.Ho girato invece Le retour d'Afrique che è un film per niente commerciale, in cui ho messo io stesso del denaro, mentre mi offrivano dei milioni per fare dei grossi film. Ma ho fatto bene. Non è eroismo, è semplicemente che in quel momento avevo voglia di pormi dei problemi di scrittura filmica che non avevo ancora affrontato appieno in La salamandre. Sentivo che mancava qualcosa e allo stesso tempo trovavo che La salamandre piacesse un po' troppo alla gente. C'erano cose che aiutavano un po' troppo il rapporto con il pubblico, e questo non era calcolato. Era un po' come del café théatre, e quando ho visto il film in sala ho notato che il pubblico rideva un po' troppo, per i miei gusti. È per questo che il film successivo è stato Le retour d'Afrique: per lavorare sulla scrittura, per scoprire cose nuove. C'era un po' di denaro in cassa e lo ho investito così: un altro 16mm, in bianco e nero, con un costo quasi inferiore a La salamandre. Le domande poste dal cinema E i tuoi autori preferiti? Diciamo che... quando esce un film di Bresson, per esempio, sono là il primo giorno, non il secondo. Non sono mai stato, però, un cinefilo di quelli isterici, di quelli che conoscono le inquadrature di Fritz Lang a memoria. Non sono mai stato così, ma andavo molto al cinema. Ho passato due anni alla cineteca inglese vedendo film tutti i giorni. Ricordo per esempio che nel 1956 ho visto una quarantina di film giapponesi, tutti in un colpo. I primi film di Ozu che arrivavano in Europa. All'epoca nessuno conosceva Ozu, in Francia sono usciti vent'anni dopo, e ricordo che per me fu molto impressionantescoprirlo.Ozu e Satyajit Ray, Bresson e Antoniani... Una volta hai detto che ogni tuo film parte da una riflessione sul cinema. È ancora vero? Sì. Perché è comunque un problema di scrittura filmica. Si può dire che prima essa partiva più dall'ideologia, forse adesso parte più dai sogni, intimi, sulla gente. Poi a poco a poco prende forma. Il primo problema che si pone è comunque un problema di scrittura, ed è vero che non avrei voglia di fare un film se non sentissi che il cinema mi suscita domande alle quali cerco di portare risposte. Non ho voglia di raccontare storie per raccontare storie. Sì, la storia e i personaggi mi interessano, ma se non ci sono domande da risolvere poste dal cinema, non mi interessa. La scrittura codificata, quella dei telefilm, la conosciamo tutti, ormai; qualsiasi cretino fa l'assistente per sei mesi e poi gira un film per la televisione, se non è del tutto stupido. Non è poi così complicato, il cinema. Non trovi che il tuo ultimo film No Man's Land sia un po' disperato? Un po' sì, ma non così tanto come è stato detto. Il pubblico mi sembra molto diviso e c'è gente che pensa che non lo sia affatto. In fondo è il tuo primo film in cui si vede qualcuno che viene ucciso. Sì, è vero, anche se non lo si vede molto bene. E poi comunque a morire è solo uno dei quattro personaggi. È anche vero che sono i tempi a volerlo. Io non faccio mai dei progetti a lungo termine. Inizio a lavorare su un progetto quando il film precedente è finito, completamente digerito, capito, ecc. E siccome non faccio film in costume o di fantascienza è chiaro che sono sempre influenzato dall'aria del mio tempo. E trovo che questo momento non sia tra i più divertenti. È per questo che mi sono detto, "farò qualcosa come Jonas, ma alla rovescia, su gente che ha desideri veri, e che non è più stupida di altri". Ma in Jonas c'era un gruppo, una piccola collettività, e se non funzionava si era almeno con altra gente; ora la gente nei suoi desideri è completamente solitaria, ognuno va per conto suo e se non funziona è una catastrofe. È questo che volevo mettere in scena. Comunque non credo che sia un film così disperato. In fondo il personaggio che vuol fare il contadino lo farà e la ragazza che vuol fare la cantante ce la farà anche lei. Sono abbastanza pessimista se si parla di geopolitica, dell'avvenire della civiltà industriale; ma non lo sono per niente riguardo ai personaggi, alla gente.

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