Linea d'ombra - anno IV - n. 14 - maggio 1986

32 Olimpia Carlisi e Philippe Uotard in Le milieu du monde (1974). BibliotecaGino Bianco l'interno delle scene; faccio al massimo due o tre inquadrature per scena. Se seguissi un découpage classico, con campi e controcampi, totali e piani medi, è chiaro che ci vorrebbe una sceneggiatura più dettagliata e uno story-board. Ma se usi dei piani sequenza tutto questo non ha alcuna importanza. Trovo che in questo modo la fase di montaggio diventi più interessante; una fase successiva. Una volta dicevi che la fase di nwntaggio era una fase di critica alle riprese. Sì, questo era all'epoca in cui si tendeva a teorizzare. Un po' è ancora vero, ma adesso il montaggio è soprattutto il tentativo di dare al film la sua musicalità. Nei miei film non ho mai superato le 230 inquadrature, quindi il montaggio è mettere a confronto delle inquadrature e scegliere il punto in cui si tagliano. Più i piani sono lunghi e più il montaggio diventa interessante. Se giri seguendo un decoupage classico, dai le tue inquadrature a un montatore e lui costruisce la scena; è il suo mestiere. Così invece è molto più intrigante, perché il montaggio non è più la ricomposizione della scena ma il rapporto formale e forse anche dialettico tra le inquadrature, la musicalità dell'insieme di una sequenza. Non sono mai ben "coperto" in montaggio, non giro mai delle inquadrature in più. Succede che, in montaggio, se una scena non funziona la si tagli, ma non ho mai delle inquadrature di riserva di cui mi posso servire. Non saprei neanche da dove potrebbero venire queste inquadrature. La regia è uno sguardo sulle cose: ce n'è uno solo, è unico. Certo è più rischioso, perché se non funziona non puoi farci niente. Il rischio è al centro di questa concezione. Con i piani lunghi e con la presa diretta per gli attori e per i tecnici c'è un'assunzione di rischio che rende la cosa ben più interessante. Ho fatto anch'io l'assistente in film girati in modo molto classico: tutti si annoiavano, non sapevano più cosa si stava facendo, gli attori dormivano in un angolo, poi dicevano tre parole e si tagliava - una specie di sartoria assurda. I piani-sequenza invece obbligano gli attori a investire se stessi in modo completo, a svilupparsi all'interno della scena, e i tecnici sono molto più concentrati. Se fai dei piani-sequenza di cinque minuti c'è una tensione straordinaria su un set; e non certo una tensione negativa, anzi una tensione formidabile. Con inquadrature di dieci secondi invece tutto svanisce. Lavori nwlto sull'improvvisazione con gli attori? Magari alla ricerca di dialoghi possibili in una situazione data? No. Mai. Anche se penso i dialoghi all'ultimo momento sono comunque scritti sulla carta. Se poi gli attori li cambiano un po' non è grave. Un tempo non accettavo che li cambiassero, perché c'era un testo ben preciso. In Jonas e nella Salamandre il testo era già tutto pronto, alla virgola, bisognava solo impararlo a memoria; era più letterario. Adesso i dialoghi sono più semplici e se si usa una parola invece di un'altra spesso mi è indifferente. Tornando all'improvvisazione, credo che sia una cosa molto difficile. In No Man's Land ho provato a improvvisare delle scene sapendo che erano solo delle prove e sono venute molto male. Funzionavano in astratto, ma gli attori si trasformavano completamente, improvvisamente erano degli altri personaggi. È un lavoro molto diverso, quello sull'improvvisazione. Se in più hai dei movimenti di macchina precisi, diventa molto complicato. Le retour d'Afrique segna chiaramente un passaggio a una scrittura filmica più elaborata. Ci sono cambiamenti sul piano della tecnica? Sì, e anche molti. Nella Salamandre non ci sono carrelli, per esempio, e rivedendolo è un po' frustrante. Non perché un carrello sia più bello, ma semplicemente perché nella messa in scena delle cose vi sono dei momenti in cui si sente l'esigenza di muoversi verso qualche cosa. Allora non si poteva, dopo mi sono sfogato... Ci sono film in cui i ca"elli hanno a che fare con i personaggi e le loro enwzioni, i tuoi invece sono un po' diversi... Sì, è diverso. Non hanno molto a che fare con i personaggi. È qualcosa che viene dalla scrittura, uno slittamento dell'immagine ... è qualcosa che fai intuitivamente, in fondo. È una cosa che bisogna sentire. Improvvisamente ci si dice: qui ci vuole un carrello, e invece lì assolutamente no, dev'essere un'inquadratura fissa, non bisogna muoversi, altrimenti sarebbe falso. Sono cose che si sentono un po' così, sulla punta delle dita, sono difficili da descrivere. Non c'è niente di veramente calcolato; un po' è questione di esperienza ... In Le retour d'Afrique in effetti tutto era molto calcolato, adesso invece è l'esperienza a giocare un ruolo molto più importante. In Le retour d'Afrique i ca"elli avevano anche un ruolo di distanziazione, non tanto enwzionale. Sì, è vero anche questo, salvo uno o due che erano molto emozionali. Ma ce ne sono molti che funzionano come distanziazione, e funzionano anche molto bene, a volte. In uno di essi ci sono le quattro donne che lavorano alla posta, per esempio, che

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