Linea d'ombra - anno IV - n. 14 - maggio 1986

22 STORIE/TSUSHIMA avevo visto il padre del bambino, seduto davanti al televisore. Ritornavo dall'aver trascorso un momento sereno dopo tanto tempo e fui sopraffatta dal disappunto, fino a desiderare di piangere e gridare. Perché era venuto? Perché era dovuto apparire proprio quella sera? Avevo guardato la coppia di amici che apparivano imbarazzati e avevo intuito che si trattava di una visita inaspettata, non prevista da nessuno. Avevo cominciato a tremare per il freddo. Nessuno parlava e allora il padre del bambino aveva aperto bocca, a malincuore. "Il bambino è andato a dormire poco fa. Hai bevuto parecchio, vedo. Posso sentirlo dall'odore. Mi fa piacere che ti diverta". Invece di scoppiare a piangere come una bambina, gli avevo risposto spavaldamente con l'euforia dell'ubriachezza. "Certo, mi gira la testa. Sto benissimo. Proprio adesso si parlava della reincarnazione. Devo essere stata cattivissima nell'esistenza precedente. Sicuro. Non c'è dubbio che sia stata un disastro. Per questo, le prediche con me sono inutili. Non mi è possibile allevare il bambino vivendo solo del tuo ricordo. Ho moltissimi amanti e sto vivendo i giorni del vino e delle rose... Che male c'è? Evviva la mia precedente, malvagia esistenza!" Non ricordo quello che avvenne dopo. La mattina seguente, quando mi ero svegliata con un forte mal di testa, ero ancora nella casa dei nostri amici; ero scivolata nel letto del bambino e indossavo solo una sottoveste. Il padre se ne era andato, probabilmente la sera prima. Nessuno parlò di quello che era successo. Ero uscita in fretta tenendo il bimbo per mano, ero passata alla scuola materna e quindi ero corsa alla società di assicurazioni dove lavoravo da due anni. Non potevo assolutamente assentarmi dal posto di lavoro. Il padre del bambino non si era preoccupato neppure una volta di passare a me e al figlio una qualche somma di denaro. Era un ragazzo vanitoso, dai gusti stravaganti. Non aveva mai avuto un lavoro fisso, ma per via del suo bel viso dai lineamenti regolari, sembrava che, almeno con le donne, non avesse problemi. D rano passati alcuni giorni. Tutto era tranquillo ma una notte, proprio quando cominciavo a dimenticare di averlo incontrato, era cominciata la sua offensiva. Dapprima fu una telefonata, in piena notte. "Cosa intendevi dire con quelle parole? Dovresti vergognarti. Vai in giro in quel modo con i tuoi uomini? Pur di divertirti, sei disposta anche ad affidare il bambino a estranei? Hai avuto un bel coraggio a dire che sei fatta solo di sesso. C'è un uomo con te adesso?" Sconvolta dalla sua irruenza avevo tentato appena di intervenire, confusamente. "Non ricordo di aver detto così. Quella volta..." "Non cercare di prendermi in giro. Ricordo benissimo. Hai detto: sono una donna viziosa. A un uomo chiedo solo quello. È la mia unica felicità. Te ne ricordi adesso?" L'uomo sembrava ubriaco. Alla fine disperata ero riuscita a dire qualcosa, come in sogno. "Non è possibile ... Per quanBibIi OÌ8 C8 Gino Bianco to, se riuscissi a fare un discorso del genere, non sarebbe cosa da poco. Comunque, se vuoi pensarla così, fa pure..." Dopo aver parlato, avrei voluto ribadire con maggior forza quello che pensavo. Perché non avrei dovuto accettare semplicemente come un piacere, il desiderio che era dentro di me? Perché non potevo fare di questo piacere il mio sostegno? Era diverso dalla felicità che un bambino prova quando è fra le braccia della mamma? Dando libero corso al mio desiderio, avevo per la prima volta provato l'importanza di fare parte anche io dell'umanità e se questo non poteva essere espresso altrimenti che con la parola vizio, allora avrei senza esitazione applicato la definizione a me stessa. Tutto ciò avrei voluto dire all'uomo che dopo la nascita del bambino non mi aveva quasi più dato occasione di appagare il mio desiderio attraverso il suo corpo. Si era allontanato da me dicendo con orgoglio che non poteva sopportare quella vita perché era un uomo dotato di una vigorosa sessualità. Avevo ascoltato in silenzio la voce di mio marito che seguitava a parlare e alla fine avevo posato il ricevitore come se volessi scagliarlo lontano. Senza riuscire a controllarmi ero scoppiata a piangere. Non mi restava altro da fare che accettare così com'era l'immagine di me stessa, contenta di vivere alla giornata, ricavando piacere da un amante con il quale ogni incontro significava solo sesso; ma per il padre del bambino la stessa immagine rappresentava qualcosa di vergognoso e animalesco. Non potevo sfuggire a quella umiliazione. Il giorno dopo mi telefonò nuovamente e mi chiese di incontrarlo portando con me il bambino. Mi avvertì che finché non fossi uscita non si sarebbe mosso di lì. Restai chiusa nella stanza. Il telefono squillò. Mi coprii la testa con il cuscino. Sentii suonare alla porta. Strinsi fra le braccia il bambino che mi guardava meravigliato e alzai il volume della televisione. La voce profonda dell'annunciatore riempì la stanza. Il padre del bimbo pensò forse che si trattasse del mio amante, perché all'improvviso tutto si calmò e il campanello della porta non suonò una seconda volta. Nei giorni seguenti i miei nervi rimasero tesi: era possibile che mio marito ricomparisse. Chiudevo ogni sera le imposte, aumentavo i giri di chiave alla serratura. Ogni mattina quando aprivo la porta tremavo. In realtà, nulla venne a minacciarmi, ma avvertivo la presenza dell'uomo vicino a me. A notte fonda, mi capitò di udire la sua voce al di là della finestra; altre volte sentivo il rumore di sassolini scagliati contro le imposte. Al mattino mentre accompagnavo il bambino all'asilo vedevo in lontananza la sua figura che mi voltava le spalle; a sera, mentre andavo a riprendere il piccolo, lo scorgevo mentre si allontanava di corsa dietro il sostegno della buca per le lettere. Il telefono continuava a squillare e mi arrivavano anche delle lettere. Solo il sabato, quando veniva l'autista, potevo finalmente scaricare tutta la tensione che si era accumulata dentro di me. Quando mi lamentai per i continui attacchi del padre del bambino, l'autista si limitò a ridere. "Non sarai un po' nevrotica?" Tuttavia accettò di restare a casa mia anche in altri giorni, oltre il sabato. Lui stesso sem-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==