Ingresso dell1stituJo di Sociologia di Francoforte alla fine degli anni Venti. L'!stituJo occupato dai nazisti (marzo 1933. Da W. Schivelbusch, Intellektuellendammerung, lnsel Ver/ag 1983). BibliotecaGino Bianco ne chiara e accettata. Parlavo di "usurpazione" della letteratura da parte di Mahler, un ternùne che nei libri recenti su Mahler che ho letto è stato spesso ripreso. Adorno si infuriò, terribilmente, e dapprima incaricò un suo amico e allievo, Hans Klaus Metzker di scrivere qualcosa contro di me - Metzker mi ha poi invitato tre anni fa a un colloquio su Mahler a Tobiago, dove Mahler aveva vissuto, per parlare proprio dei rapporti di Mahler con la letteratura! E poi Adorno mi ha invitato a una polemica radiofonica sull'argomento. Per mezz'ora lessi il mio testo, e per mezz'ora lui lesse il suo, una tesi contrapposta alla mia. Poi per un'ora si è discusso insieme, e alla fine ... si era creata una grande armonia, perché Adorno non credeva che io mi intendessi veramente di musica, era arrivato con delle partiture!, e scoprendo il contrario si è subito rabbonito, e abbiamo parlato con tranquillità arrivando a conclusioni non dissimili. Poco prima della sua morte, dovevamo fare assieme una discussione in televisione su Goethe e il classicismo di Ifigenia, ma io dovevo andare negli Stati Uniti e Adorno ha parlato da solo. Ho avuto la notizia della sua morte, nel '69, negli Stati Uniti, e appena rientrato scrissi un articolo commemorativo sulla sua figura, e i miei ricordi su di lui, sostenendo che quali che fossero i suoi meriti particolari, il pensiero della scuola di Francoforte era il pensiero di Horkheimer. Passò qualche settimana dalla pubblicazione in una rivista tedesca, mi trovo a casa mia ad Hannover, e squilla il telefono. Una voce dice: "indovini chi è che le sta parlando". Rispondo che sì, la voce mi è nota, ma non saprei dire. "È il vecchio Max Horkheimer che le sta parlando". Aveva letto il mio articolo, ma non mi disse il suo parere né io glielo chiesi, e voleva sapere cosa stessi facendo, e se non volevo andare a trovarlo a Montagnola, a Lugano. Ci andai e passai con lui diversi giorni. Viveva in estrema solitudine, la moglie era morta, il suo amico Pollock era morto, Adorno era morto. Viveva con una nipote che mandava avanti la casa, e vedeva infine qualcuno con cui poter parlare. La sua conversazione mi fece una grande impressione. A dire il vero, da un punto di vista morale Horkheimer era un uomo molto dubbio. Abbiamo parlato all'inizio di Cari Schmitt, un uomo immorale e malvagio. Horkheimer era tutt'altra cosa, non era né immorale né malvagio, ma c'era in lui un qualcosa di diabolico, si divertiva a far del male alla gente, c'era in lui una specie molto sottile di sadismo. Non ne ho fatto l'esperienza, e di lui ho personalmente solo buoni ricordi. Ma il modo in cui ha trattato Benjamin! Ne11'84ho parlato a un convegno sulla scuola di Francoforte, in una località vicino Stoccarda, e ho letto i miei ricordi sulla scuola di Francoforte. Ho detto di Horkheimer le cose che in breve ho detto qui, e c'era qualcuno che sapeva bene queste cose, e approvava con il capo. Era Habermas. Horkheimer aveva fatto di tutto contro l'abilitazione all'università di Habermas!. .. Per concludere, provvisoriamente beninteso, io ho avuto cinque maestri veri e propri: Kelsen, Horkheimer, lo storico Karl Buckhardt- uno storico consevatore, nipote di Jakob e mio maestro nel senso che senza il mio rapporto con lui non avrei mai scritto il saggio su Bilchner, non sarei mai diventato germanista e storico della letteratura ... I due ultimi maestri, ma questo richiederebbe un'altra lunghissima intervista, sono stati Brecht e Bloch. Sul teatro di Brecht Sì, ricordo bene la battuta di Max Frisch su Brecht "classico inefficace". Ma Frisch, che oggi non la pensa così, si permise questa battuta su Brecht quando ne fu pubblicata l'opera omnia dopo la morte. Secondo me non c'è nulla di male se uno scrittore - uno gran~issimo come Brecht o uno importante come Frisch - vuole vedere riuniti tutti i suoi testi. Anche Frisch, in realtà, ha espresso questo desiderio il giorno del suo settantesimo compleanno e ha pregato Hans Mayer di curare la sua opera completa! Quindi al "classico" Bertolt Brecht è seguito il non meno "classico" Max Frisch in sette volumi. Interessante è comunque vedere che cosa pensava Brecht della nozione di "classico". Egli era perfettamente consapevole di continuare il classicismo tedesco - anzi, la "letteratura borghese", come lui la chiamava-, di essere il successore di Goethe, Schiller, Holderlin, Kleist, Bilchner. E per questo tutto ciò a cui lavorava veniva conservato, perché se ne potesse imparare qualcosa. E qui vorrei rifarmi a un esempio: alla fine degli anni Quaranta, a Lipsia, Brecht veniva spesso a trovarmi per partecipare a dei seminari che tenevo con i miei studenti. E mi chiedeva sempre perché non facessi dei protocolli di queste sedute. Lui a teatro lo faceva sempre. Tutto doveva essere messo per iscritto, perché se ne potesse trarre qualcosa di valido. Ma io non lo feci mai. Brecht me lo chiese altre volte, e alla fine mi sono convinto che è giusto che di tutto resti una traccia. Dietro l'esigenza di Brecht si celava una ben precisa convinzione: quella, appunto, di essere un classico, per cui quello che si dice ha un determinato valore. E Brecht si è sempre considerato un maestro; il suo dolore più grande, nell'esilio, era stato quello di vivere come un maestro senza discepoli, o come un drammaturgo che scrive teo17
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