Linea d'ombra - anno IV - n. 14 - maggio 1986

Manifesto del teatro proletario (1929). Erwin Piscator. BibliotecaGino Bianco Luxemburg. Quanto a Bukharin, l'ho visto una sera a Parigi, prima del suo processo e della sua esecuzione, una cosa che non ho raccontato nelle mie memorie ... Avevo dunque sempre molti dubbi, molte reticenze di fronte allo stalinismo. Ho detestato Stalin sin da molto giovane. Quando ho dovuto lasciare Lipsia per entrare all'Ovest, naturalmente tutti i ferventi anticomunisti hanno compulsato freneticamente gli archivi alla ricerca di quello che potevo aver scritto di criminale. E non hanno trovato una sola riga, niente. Ero ancora a Lipsia quando per il mio cinquantesimo compleanno hanno pubblicato le mie opere complete fino ad allora, un grosso volume dove ci sono innumerevoli citazioni di Hegel, di Marx e di Engels, di Lenin, ma il nome di Stalin compare nell'indice dei nomi solo due volte, una unito a quello di Lenin, e la seconda in uno scritto di gioventù in cui mi occupavo dell'anarchismo a proposito della Tragedia ottimista di Visnievskij, un autore che poi conobbi da vicino. Ho conosciuto da vicino molti uomini politici importanti, e ricordo soprattutto Kruscev (c'è un capitolo divertente nelle mie memorie su una serata passata con lui), e Ulbricht, e Adenauer, e Schumacher, e Brandt, e Kreiski e tanti altri ancora. Perfino Berlinguer, un uomo estremamente interessante, una figura in ogni senso nobile, che ho conosciuto grazie al comune amico Leo Bauer, che era stato imprigionato in Russia e che più tardi fu consigliere di Brandt e in questa veste intermediario tra Brandt e Berlinguer. Un personaggio italiano che mi impressionò molto fu Pirandello, grazie al quale entrai in contatto per la prima volta seriamente con la letteratura italiana. Qualcosa di indimenticabile, una matinée domenicale al teatro di Colonia, una recita dei Sei personaggi in italiano, presente l'autore e con Marta Abba nel ruolo della figliastra, davanti a un pubblico di ottocento persone circa. La sera ho cenato con Pirandello, grazie al direttore letterario del teatro che era miq amico. Non sapevo quasi una parola di italiano, ma sapevo molto bene il latino, e conoscevo la traduzione tedesca dei Sei personaggi, che era stata pubblicata, e dunque avevo potuto seguire bene lo spettacolo. Cosa c'entra il latino? C'entra, perché è stato allora, quella sera, che ho capito per la prima volta come la tradizione latina dell'arte si opponesse alla tradizione germanica. Un ruolo molto importante nella mia formazione ha avuto, come ho già accennato, la musica. Agli inizi il romanticismo, Beethoven e molto meno Mozart, molto meno Bach. Poi è cambiato, ho scoperto Schumann e Brahms, meno Schubert, e poi i nuovi romantici fine-ottocento, Max Reger ecc. In letteratura, la scoperta molto precoce di Thomas Mann. Ma, all'inizio, molte reticenze di fronte a Brecht. Non amavo il giovane Brecht, di cui vidi prestissimo, a Colonia, l'Eduardo II, un'ottima rappresentazione, ma Brecht non mi piaceva per niente, mi piaceva ancora il teatro borghese dell'Ottocento, il teatro di Cechov, Tolstoj e anche Gorkij, Ibsen, e Strindberg, che era già espressionismo. È attraverso gli espressionisti che ho scoperto molto presto El Greco, certi pittori, e Verlaine e Rimbaud, che leggevo tradotti. Molto più tardi è venuta la scoperta del surrealismo, e attraverso quello la scoperta della pittura metafisica. Mi è capitato tre volte nella vita di incontrare De Chirico, in una galleria di Venezia la prima volta, poi a Hannover per una grande esposizione antologica della sua opera, la cui scelta aveva fatto egli stesso, e infine una terza volta ho avuto il piacere, a Roma, di prendere il cioccolato con lui al caffé Greco. Indipendenza di spirito, lei ha detto, e ha aggiunto: un pizzico di anarchismo. Direi che più che di anarchismo si possa parlare di scetticismo, e della refrattarietà e dell'odio nei confronti di ogni tendenza totalitaria. Quand'ero professore a Lipsia, nella DDR, il mio discorso era semplice nei confronti dei miei allievi e di tutti: "sono il vostro professore, sono (e resto) un socialista, il mio pensiero è sempre stato un pensiero storico e dialettico, detesto il capitalismo, sono convinto che un sistema capitalista non può portare a una qualsiasi forma di armonia, bensì a una nuova catastrofe, e però sentite: sarò un professore leale, ma mai membro di un partito; di conseguenza perderò molte cose, premi e decorazioni ecc., ma molte cose mi verranno risparmiate". Su Horkheimer e la scuola di Francoforte Ho parlato all'inizio di Kelsen, mio professore di diritto e grande giurista, che ha terminato i suoi giorni vecchissimo all'università di Berkeley. Quando ho dovuto lasciare la Germania, dapprima sono stato a Strasburgo e poi a Parigi, grazie ad amici di Rosa Luxemburg, ma non avevano essi stessi mezzi di sussistenza e non potevano aiutarmi molto, e allora mi sono rivolto a Kelsen, che era allora professore all'Istituto di Studi Internazionali di Ginevra, di diritto internazionale. All'Istituto c'erano allora molti esuli e Kelsen mi disse: "bene, venga con me all'Istituto a Ginevra, possiamo fare delle cose insieme, ma poiché lei è piuttosto sociologo e storico, non le propongo di lavorare con me, dato che il diritto internazionale non sembra interessarla molto". Ed era vero, non volevo più diventare un giurista. Continua Kelsen: "C'è qui 15

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