14 Max Pechstein, Manifesto per una mostra della Brucke (1909). BibliotecaGino Bianco questo comincia ad apparire seducente per gli intellettuali borghesi di vari paesi, curiosi di nuove mode e di forme nuove di pensiero, beh, vuol dire che si ha disgusto della discussione, che c'è una specie di volontà di sottomissione, che si vuole obbedire, che si ritiene l'obbedienza più bella dell'identità individuale. Magnifico, niente da dire: obbedisco a un duce, a un fl.ihrer, a un ufficio politico di un partito totalitario, non faccio fatica a pensare. Il duce ha sempre ragione, si diceva in Italia, e altrove: Stalin ha sempre ragione, Hitler ha sempre ragione. La formazione di un outsider Figlio unico, con una madre che non ho amato e un padre che mi proteggeva dalla madre ... (Sono morti entrambi, assassinati dai nazisti. Ho fatto di tutto per salvarli, avevo ottenuto per loro un visto inglese, nel '39, ma mia madre voleva ad ogni costo vendere prima degli oggetti di valore ... Spedii un telegramma: "partite immediatamente, immediatamente ..." Ma purtroppo era troppo tardi.) Da ragazzo detestavo il mondo borghese, i commercianti, la "gente bene", e in parte ho imparato a farlo da mio padre, che detestava la gente del suo ambiente. La famiglia non gli aveva permesso di fare ciò che avrebbe voluto, essere un artista, e così era diventato collezionista di quadri, protettore di artisti. All'età di 12-13 anni, a casa nostra venivano gli uomini dell'espressionismo, Jhering, Piscator ... Ricordo ancora, avevo 14 anni, un ospite invitato a prendere il té da noi, un uomo molto bello e distinto che piacque anche a mia madre - che pure detestava tutti questi artisti che non portavano cravatta, che non erano gente di "buone maniere" ... - , un uomo che diceva "gnedige Frau", un uomo affascinante che mio padre ammirava molto e che per una volta anche mia madre ammirava... era Max Emst, che poco tempo dopo lasciò Colonia per Parigi. Nella mia camera di studente avevo appesi al muro disegni e litografie di Pechstein, di tanti altri. E ricordo che, a guerra finita, quando fecero una grande mostra degli espressionisti all'Accademia di Belle Arti a Berlino di cui ero diventato membro, la visitai con Luigi Dallapiccola, un uomo dotatissimo e generoso, che ho molto ammirato, e con il grande architetto Hans Scharoun, e tutto a un tratto impallidii, davanti a un bellissimo dipinto di Oskar Moli, che era stato per anni nella camera da letto dei miei genitori. Guardiamo nel catalogo, era proprietà di una grande galleria di Colonia. Gli amici mi dissero: "dovrebbe reclamare ..." No, non voglio nulla che venga dal passato. Insomma, io ho conosciuto da vicino espressionismo ed espressionisti, equesto mi ha molto segnato. Quando nello scorso dicembre la città di Colonia ha fatto una mostra, nel palazzo comunale, di "Documenti sulla vita e l'opera di Hans Mayer", hanno ritrovato una mia vecchia pagella scolastica, e il pubblico era soprattutto colpito dal mio zero in matematica! In quella mostra hanno esposto il primo articolo letterario da me scritto per una rivista teatrale cittadina. Vi si parlava di teatro e politica, ed era interessante perché vi polemizzavo duramente con la concezione del "teatro politico" di Piscator. Era un articolo del '28 (avevo 21-22 anni) in cui cercavo di separare la sfera della politica dalla sfera del teatro, non certo proponendo un teatro apolitico, niente affatto, ma dicendo che non si può far politica attraverso il teatro: è un altro campo, sono due sfere del tutto diverse. Attraverso tutte le vicende della mia vita, è rimasta sempre in me una componente espressionista (il surrealismo l'ho scoperto più tardi, a Parigi, all'inizio del mio esilio, assieme alla scoperta di una nuova lingua e di una nuova letteratura, e soprattutto di Proust...). In realtà, la mia vera aspirazione, nonostante gli studi di diritto e poi la passione per la letteratura e per il teatro, è stata la musica: avrei voluto davvero diventare musicista, pianista o non so che altro. E se non ho potuto diventarlo è perché la mia famiglia non ha voluto. Non sarei stato certamente un grande, non un grande direttore d'orchestra, per esempio, ma forse un "generalmusik" a Wuppertal avrei potuto diventarlo, e magari avrei anche potuto venir invitato a dirigere qualcosa a Bari! Non ho niente contro Bari, naturalmente, ma alla Scala o all'Accademia di Santa Cecilia non avrei potuto arrivarci, mentre a Bari o a Pisa credo di sì! Lasciamo i sogni, e torniamo a Colonia, dove ai tempi della mia giovinezza vigeva un sistema pedagogico idiota, fatto da imbecilli per formare degli imbecilli, ma dove c'era una forte corrente di controcultura, non di sottocultura, ma di controcultura nel senso del proletariato con una sua cultura, che permetteva di avere rapporti con il pensiero marxista e comunista. A vent'anni ho passatole vacanze leggendo in un parco vicino a casa i tre volumi del Capitale, e più tardi le teorie del plusvalore e tutto il resto. Così, quando dopo la guerra sono passato a Lipsia, nessuno poteva dire che Hans Mayer non era un marxista, perché conoscevo il marxismo molto meglio di tanti altri... Ho letto Il capitale, e Hegel, e Lenin e tutto il resto, da giovane, ma devo dire che non sono mai stato conquistato dalle idee politiche di Trotskij, mentre molti dei suoi scritti mi piacevano. Per la verità, ho avuto sempre più contatti con i seguaci di Bukharin che con quelli di Trotskij, con quella che Stalin chiamava la "deviazione di destra", e per alcuni anni sono stato molto legato a amici che studiavano Rosa
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