Altraverso la luce, verso la notte, fotomontaggio di fohn Heartfield (1933). BibliotecaGino Bianco sfrontatezza chiamarsi Friedrich Juliustahl quando il suo vero nome doveva essere Joel Joelson, d'ora in avanti bisognerà chiamarlo Joel Joelson. Da allora Schmitt chiamò con nomi da Antico Testamento gli autori di origine ebraica, con i nomi di prima dell'aufkliirung, ma va detto che nessuno dei suoi colleghi lo seguì su questa strada, solo Schmitt l'ha fatto. Durante la guerra Schmitt ha avuto i suoi problemi, perché fino all'ultimo rimase membro del consiglio di stato di Goering, ma Goering cadde in disgrazia, e i suoi consiglieri con lui. Ebbero i loro guai, ma certo non perché fossero divenuti membri della resistenza, non a causa del loro coraggio, più semplicemente perché era caduto in disgrazia il loro protettore. Si trattava di Cari Schmitt, dell'attore Gustav Griindgens e del direttore d'orchestra Wilhelm Furtwangler. Dopo la guerra, tutti e tre hanno preteso di essere stati oggetti di persecuzione, di aver avuto minacce. Erano ufficialmente ancora consiglieri di stato, ma il consiglio di stato non contava più niente, perché Goebbels e Himmler erano diventati più potenti e Goering, il loro protettore, era caduto in disgrazia. La storia del fascismo italiano ha dei paralleli con quella del nazismo, ma certo in Germania era peggio, perché in Italia c'era una differenza tra regime e popolo che non esisteva in Germania. Il popolo tedesco fu nella grande maggioranza un popolo di piccolo borghesi delatori, questa è la differenza. Su questo punto credo alla tesi di Pasolini, quando sosteneva che il popolo italiano ha cominciato a corrompersi davvero con il benessere, con la trasformazione del proletariato in piccola broghesia, soprattutto al Nord. D'altra parte, quando ero a Ginevra durante la guerra ho vissuto in casa di Guglielmo Ferrero e di Gina Lombroso, ho conosciuto l'antifascismo italiano eseguito i rapporti che arrivavano dall'Italia, e la situazione era indubbiamente diversa. Ma torniamo a Cari Schmitt, che alla fine della guerra non era più un potente, e aveva dovuto abbandonare la cattedra all'università di Berlino, università dalla quale aveva fatto cacciare tutti i suoi nemici personali, tra i quali Smend, un uomo di grande nobiltà morale che fece parte della resistenza protestante sotto il Reich e che dopo la guerra ha potuto sostenere ancora un ruolo importante a Hannover e Gottinga. E fu Smend, detto tra parentesi, che mi fece tornare a Gottinga. Flechteim lo fece liberare, come ho già detto, e formalmente non c'è nulla da obiettare, Schmitt non aveva direttamente le mani sporche di sangue, aveva sempre portato i guanti, aveva solo scritto certe cose... Ma naturalmente non era facile per lui tornare in cattedra, non era proprio facile, e soprattutto c'era un uomo che detestava Schmitt perché lo conosceva molto bene e diceva: "niente da fare, non se ne parla proprio di averlo di nuovo in cattedra, di permettergli di avere degli allievi". Quest'uomo era Konrad Adenauer, che tanti anni prima era stato sindaco di Colonia, una città la cui università era nata sotto la Prussia e aveva uno statuto particolare. I fondi per l'università venivano dalla città e Adenauer ovviamente, come sindaco, contava molto. Aveva contribuito a far chiamare Schmitt a Colonia, quando contemporaneamente Schmitt ne faceva cacciare Kelsen; ma poi gli amici di Schmitt avevano fatto cacciare Adenauer dalla sua carica di sindaco e, una volta diventato cancelliere, Adenauer non l'aveva certo dimenticato. Schmitt non poté far di meglio che ritirarsi nel suo paese natale, e scrivere. Per alcuni anni nessuna casa editrice ufficiale lo pubblicò, ma i suoi scritti circolarono in piccole edizioni semi-clandestine. Una volta ancora, Schmitt aveva cambiato opinione, ed era diventato molto cattolico. Ha scritto ancora molto, ma per mio conto di queste cose non ho mai voluto leggere nulla. Le sue tesi non erano peraltro cambiate, nella sostanza. Alla loro base c'era la negazione completa di ogni aufkliirung. Attraverso tutti i suoi cambiamenti, Schmitt è sempre stato un avversario del dialogo, del compromesso, dell'intesa tra gli uomini. La sua base, che spiega anche il suo arrivismo politico, era il diritto del più forte, una sorta di darwinismo politico, quello che il giurista tedesco (peraltro ebreo) Jalinek, ha espresso nella formula "la forza normativa dei fatti reali". Se avete il potere, il resto va da sé. Si può trasformare il potere reale in diritto senza doversi preoccupare di giustizia, di diritti dell'individuo, dell'uomo, del cittadino. Schmitt diceva: bisogna confondere legalità e legittimità. Ciò che è legale perché è reale, perché ha dalla sua la forza, è perciò stesso legittimo. Di qui la legittimità del Fiihrer. Si può assassinare un uomo in un angolo qualsiasi, ed è legittimo e l'assassinio resterà impunito se chi l'ha fatto ha la forza dalla sua: questo è diritto, questa è legittimità. Schmitt aveva orrore, lui che parlava e scriveva moltissimo, di coloro che parlavano molto e scrivevano molto. Diceva: ciò che conta è la decisione. Questo è l'importante. E questo ho sentito esaltare a Madrid da un intellettuale di sinistra come Trias. Questa è la nuova moda: ciò che Schmitt ha detto è la quintessenza della politica, dell'idea del politico. È la possibilità di distinguere tra amici e nemici, tra chi è contro di me e chi è a mio favore, e se ne conclude: io sono contro tutti coloro che non sono dalla mia parte. Ma per conservare gli amici dalla mia parte, contro i nemici comuni, occorre fare attenzione a che non cambino di campo. Che fare? Un regime autoritario. Un sistema totalitario, con polizia segreta e tutto il resto. Se tutto 13
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