Linea d'ombra - anno IV - n. 14 - maggio 1986

"LABILANCIADEIBALEK" LETTATREVOLTE CesareCases ~ e gli si chiede quali siano i suoi modelli, Boli fa due no- li.Imi (per esempio in un'intervista con Marce! Reich-Ranicki su "Die Zeit" dell'll.8.1967): Kleist e Hebell (l)_ Indubbiamente modelli grandissimi, ma proprio del genere che è bene avere. Se poi Boli abbia mai raggiunto i suoi, è dubbio. Alla sua prosa mancano sia la rigorosa compattezza deterministica di Kleist, sia la sovrana obiettività di Hebel. Il Boli narratore si emoziona, si arrabbia e si commuove, cosa che Kleist e Hebel non fanno mai. È un moralista, e i suoi modelli no, nemmeno Hebel, che pure dovrebbe esserlo di professione; ma quando egli leva l'indice per ammonire, ciò non significa assolutamente l'intervento di un pedante pronto a far notare il divario tra essere e dover essere, quanto la conferma che il corso del mondo illustrato nel racconto contiene in sé la controspinta atta a ripristinare l'equilibrio turbato. Il mondo di Kleist è certo profondamente lacerato, ma la sua arte consiste appunto nel presentare l'assurdità della vita come qualcosa di necessario, dinaturale, cosicché anche qui non nasce alcun dissidio tra il narratore e l'argomento narrato. Dovendo citare un autore della letteratura contemporanea che si accosti a Kleist e a Hebel (e che, al tempo stesso, li teneva in grande considerazione), vien fatto di pensare anzitutto a Brecht. Era convinto, come Kleist, della sostanziale insensatezza del mondo - anche se ne traeva conclusioni diverse - e pensava, come Hebel, che entro certi limiti è possibile all'astuzia umana sottrarsi all'oppressione di questo mondo prima di sovvertirlo del tutto. Ma Boli è un razionalista cattolico con urgenze di ordine e razionalità, che smaschera l'ordine e la razionalità vigenti mostrando che sono pura apparenza, sono disordine e irrazionalità. Pertanto è costretto a oscillare, in senso schilleriano, tra l'elegia e la satira, con risultati migliori nella seconda. Non è Kleist e neppure Hebel, ma ha scritto la Raccolta dei silenzi del dottor Murke, e nessun autore vivente è ancora riuscito a scrivere qualcosa di simile. I modelli di Boll sono comunque rivelatori dell'aspirazione nascosta nel suo cuore di scrittore. Il tentativo più evidente di soddisfarla mi sembra essere il noto racconto La bilancia dei Balek. Il suo eroe, nonno del narratore, è un piccolo Michael Kohlhaas, un ragazzo di dodici anni che combatte per la giustizia trascinando alla rovina la sua famiglia e l'intero villaggio. Se per la sua ostinazione l'eroe è degno del primo modello, ambiente e atmosfera riportano al secondo. Come in Hebel, abbiamo a che fare con una atemporalità datata e con un'atopia localizzata. Il racconto si svolge nell'anno 1900, quando l'imperatore concesse alla famiglia Balek il titolo nobiliare, ma la vita nel villaggio è sempre la stessa "da cinque generazioni", una vita da poveri cardatori di lino, e il fatto che la scoperta del piccolo Franz Brticher avvenga proprio nel 1900 è puramente casuale, avrebbe potuto benissimo avvenire prima o dopo, anzi avviene ogniqualvolta si scopre improvvisamente che qualcosa non funziona nella giustizia di chi detiene il potere. Il luogo dell'azione è stabilito con relativa esattezza: siamo nel territorio dell'impero danubiano, i funghi raccolti finiscono "nelle cucine dei ricchi praghesi", i villaggi più vicini si chiamano Blau- (l) Johann Peter Hebel (1760-1826) è scrittore popolarissimo in Germania (ma caro anche a Tolstoi, a Benjamin e a Ernst Bloch) soprattutto per i raccontini, esemplarmente narrati, dell'almanacco L'amico di casa renano, da lui compilato ad uso dei contadini del Baden. BibliotecaGino Bianco gau e Bernau, la cittadina più prossima Dielheim. Forse queste località esistono veramente o forse no, un'indagine sarebbe altrettanto poco utile quanto scoprire che esistono la Tuttlingen e l'Emmendingen citate da Hebel, ma non la sua Segringen. Infatti nomi e date sono soltanto garanzie che la storia "è veramente accaduta", che il narratore l'ha vissuta in prima persona o l'ha appresa da fonte sicura, ma il suo senso si trova al di fuori del dato topologico o temporale, essa descrive un avvenimento esemplare che può verificarsi sempre e dovunque. In questo caso Boli si serve di uno sfondo semifeudale e di una società rigidamente gerarchizzata, e sceglie un qualsiasi angolo della vecchia monarchia danubiana prima del 1914. Ciò che si dipana su questo sfondo è la scoperta della discutibilità di un potere che si fa passare per ovvio e come tale viene recepito, semplicemente perché esiste da generazioni e tutti ci hanno fatto l'abitudine. La famiglia Balek domina il villaggio in forma duplice, dato che possiede le gramole per il lino e anche i boschi; quando gli abitanti non sono costretti ai ritmi infernali della concia del lino, raccolgono funghi, erbe e fiori officinali, e anche questi prodotti boschivi devono essere consegnati ai Balek che li pesano su una antiquata bilancia - l'unica della regione, perché i potentissimi Balek non ne ammettono altre - e pagano in proporzione. Il piccolo Franz Briicher scopre casualmente che qualcosa nella bilancia non quadra e non trova pace fino a quando non riesce a determinare esattamente "cosa manca alla giustizia", e cioè cinque decagrammi e mezzo per ogni libbra. Quando i villici imbrogliati si rivoltano contro i Balek, questi fanno intervenire i gendarmi: la sorella del piccolo Franz viene uccisa, i suoi genitori devono abbandonare il villaggio e tutto resta come prima, anzi l'oppressione si fa più pesante perché adesso è più scoperta, viene proibito persino di intonare in chiesa il canto "La giustizia terrena, o Signore, ti ha ucciso", che sembra nascondere un'allusione ai Balek. Da un punto di vista linguistico non sarà forse Kleist e neppure Hebel, ma comunque una bella storia rigorosamente costruita nella scia della miglior narrativa tedesca, dove tutto tende a un determinato effetto, nessun particolare è superfluo e, secondo la ricetta classica, viene raccontato in maniera estremamente efficace "un evento inaudito verificatosi". Il lettore, vale a dire il lettore medio che di solito non ricava grandi soddisfazioni dalla letteratura contemporanea, ci trova il proprio tornaconto e diventa anche prevenuto nei riguardi dell'autorità, il che non guasta mai. Però, a una seconda lettura, la storia non risulta più tanto convincente. Ci si chiede anzitutto perché il sospetto che la bilancia possa essere manomessa affiori per la prima volta nel piccolo Franz Briicher. E perché altrimenti i Balek avrebbero vietato alla gente del paese e dintorni di usare le bilance? "Nessuno aveva pensato a contravvenire a questa legge", è detto, nemmeno i bracconieri, che pure c'erano e che per principio "disprezzavano la legge". Infrangerla era certamente pericoloso, non si otteneva più lavoro dai Balek, ma è possibile che nessuno, per cinque generazioni, avesse subodorato l'inganno, anche senza spingersi fino a volerlo smascherare? I pensieri sono liberi e una volta appurata la truffa si possono almeno escogitare delle contromisure, rendere la pariglia, cosa che senz'altro sarebbe avvenuta in Hebel. E perché in Boli no? Si può certo aspettarsi di tutto dal limitato comprendonio di un suddito tedesco (o meglio dire imperialregio), ma qui siamo davvero all'ecces-

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