90 SCHEDE/FALCETTO sia, demistificatore di una normalità e di una razionalità mediocri e filistee si aggiunge il Campana aneddotico delle stravaganze gratuite e delle continue violente baruffe: il vagabondo trasandato, ora collerico e rissoso, ora assente e trasognato, al punto da apparire perfino un po' ebete. Date tali premesse, non c'è davvero di che stupirsi se i Canti orfici hanno conosciuto una notevolissima escursione valutativa: da pietra miliare della lirica novecentesca a opera non del tutto priva di pregi ma troppo istintiva e irriflessa, spesso un po' attardata, e infine più marginale che eccentrica. In questa luce, l'importanza del libro di Gianni Turchetta Dino Campana. Biografia di un poeta (Marcos y Marcos e Imagommage, pp. 134, L. 16.000) appare duplice. In primo luogo, Turchetta fornisce con piacevole piglio narrativo una ricostruzione finalmente attendibile della vita di Campana, senza indulgere a integrazioni fantasiose là dove le testimonianze scarseggiano e senza sovrapporre ai dati accertabili la mitografia del poeta invasato dal dio. Quella che ne esce è l'immagine umanissima e a tratti commovente di un individuo alla ricerca di se stesso, alla ricerca di una vita vivibile, di un'impossibile felicità: un individuo che si sforza di dare un senso alla propria esistenza, come tanti altri, e che più di altri deve penare a causa delle incomprensioni che patisce e della fragilità interiore che lo insidia. Beninteso, Campana non è una persona qualsiasi; comunque li si voglia prospettare, la sua figura e il suo destino conservano caratteri di singolarità e di eccezionalità fin troppo ovvi. Ma sulla base di un approccio realistico, e non leggendario, ciò che un individuo può avere di eccezionale e di irripetibile si apprezza assai meglio. Un Campana "a misura d'uomo" finisce insomma per colpire molto di più di un Campana idealizzato, pietrificato su un piedestallo o proiettato oltre la stratosfera. Così, tanto per fare un esempio, le motivazioni idiosincrasiche del suo nomadismo -la "coazione a partire", intimamente e torbidamente associata al desiderio del ritorno; il gusto dell'avventura e la tendenza alla dissipazione e al disordine; la volontà di conoscere genti e paesi, e di esperire nel modo più diretto quell'intima connessione di corruzione e purezza che era al centro della sua intuizione del mondo - acquistano risalto se si considera che la mappa dei suoi vagabondaggi "s'intreccia e si sovrappone, con notevole puntualità, agl'itinerari consueti dell'emigrazione: l'Italia Settentrionale (Milano, Torino e Genova soprattutto), la Svizzera, il Belgio, il Sud America''. La cuBibliotecaGino Bianco riosità e l'insofferenza, ma forse anche il bisogno materiale, spingono Campana a peregrinare nei luoghi dove tanti cercano di stabilirsi, ogni volta insieme desideroso e timoroso di trovarsi e di perdersi. In secondo luogo, e proprio grazie a tale opera di umanizzazione e de-poetizzazione della vita di Campana, il libro costituisce un'ottima introduzione allo studio e alla lettura della sua poesia. Ricondotte alla giusta dimensione le circostanze biografiche, riuscirà sicuramente più agevole riaccostarsi ai Canti orfici con animo sgombro da pregiudizi, e analizzarli per quello che sono: non distillata essenza del sublime poetico, nè materiale da indagine psicopatologica, ma opera letteraria meditata e complessa, che risponde a un'idea di poesia coscientemente concepita e sottilmente elaborata nel corso di parecchi anni di travaglio creativo e correttorio. E certo Turchetta, che ha già curato per Marcos y Marcos una recente edizione dei Canti orfici, non mancherà di fornire il suo contributo ad un complessivo ed equilibrato ripensamento della posizione di Campana nella storia della poesia contemporanea. Una menzione a parte meritano infine le fotografie che corredano il volume. Alcune provengono dagli archivi dei familiari di Campana, altre sono originali, opera di Maurizio Montefiori. I Canti orfici abbondano di effetti di luce: di bagliori improvvisi, di tenebre folte, di albe, di crepuscoli, di sagome nettamente stagliate nel cielo e di effuse iridescenze, di orizzonti amplissimi e di angoli bui. Montefiori ha saputo cogliere alcune suggestioni paesistiche con felice sensibilità chiaroscurale, senza trascurare il continuo variare dell'estensione del campo visivo così frequente nella strategia liriconarrativa della poesia campaniana. Campana nel 1905 (archivio Elda Ca,npana, Palermo). GENERME:ELODRAMMATICO Bruno Falcetto I nomi di Guibert de Pixérécourt (17731844) e di Louis Charles Caigniez (17621842) non suonano certo familiari all'orecchio del lettore italiano, eppure - meritandosi rispettivamente gli appellativi di "Corneille e Racine dei Boulevards" - sono stati gli esponenti di maggior spicco del "melodramma" francese d'inizio Ottocento, e i due autori di teatro forse più amati dal pubblico dell'epoca, ormai stanco di tragedie frigidamente classiciste. Delle loro opere e del genere nel suo insieme ci parlano due libri pubblicati di recente: lo studio su L'immaginazione melodrammatica del critico americano Peter Brooks (Pratiche, pp. 297, L. 25.000) e il Trattato del melodramma (Pratiche, pp. 67, L. 9.500), ristampa - introdotta dallo stesso Brooks - di un pamphlet apparso per la prima volta nel 1817, nel cuore dell'età d'oro del genere. Ma il melodramma di cui si tratta in queste pagine, è bene subito precisarlo, non ha nulla a che fare con il melodramma di tradizione italiana e tedesca inteso come "opera in musica": quella che celebra i suoi fasti nei teatri del Boulevard du Tempie è una forma prettamente teatrale nella quale la musica svolge soltanto il ruolo secondario di sottolineare i momenti salienti dell'azione, con una funzione che ricorda da vicino quella dell'odierna colonna sonora cinematografica. Sventure dell'innocenza, perversità dei malvagi, complicate peripezie, riconoscimenti miracolosi, imprevisti colpi di scena e finale trionfo della virtù sono i caratteri di una forma rappresentativa che gioca sempre sulle corde di un'espressività enfatica ed esagerata: situazioni e stati d'animo sono resi secondo una strategia di esasperazione dei conflitti e di radicalizzazione sistematica dei valori e dei comportamenti tesa a suscitare nello spettatore emozioni forti e inequivocabili. Nelle strutture della narrazione, come già nei titoli - Coelina, lafiglia del mistero, La donna con due mariti, L'uomo dai tre volti (tutti di Pixérécourt) - il melò,evoca un'atmosfera di suspense patetica che sembra anticipare temi e moduli del romanzo d'appendice assai più che del libretto d'opera. Genere di formazione e destinazione popolare (la cui origine è legata alle varie forme di pantomima), mostra con il suo successo una capacità d'imporsi ad un pubblico socialmente eterogeneo che, anche in questo caso, pare precorrere il feuilleton. I suoi tratti costitutivi
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