Linea d'ombra - anno IV - n. 13 - febbraio 1986

82 STORIE/MENEGHELLI ne né decisioni della coscienza, accompagnata da una consapevolezza sotterranea e vigile, guidata da una sorta di meditazione segreta, la sua vita prese altra forma. La memoria, la visione, il racconto - non scalfiti, anzi esaltati dalla solitudine, dal lento, crescente esilio - insensibilmente, a piccoli passi, si separarono dal mondo che li rifiutava, abbandonandolo. Il suono delle parole si fece solitario, ricadde muto in cervelli e cuori addestrati a ricusare, temere, ignorare tutto ciò che gli occhi non vedono, dimenticare ciò che non vedono più. Tornava a casa umiliato e triste. Sempre più profondamente immerse la propria esistenza quotidiana in quella dei sopravvissuti in mezzo ai quali viveva. Ne condivise la vita, ne conobbe il rapporto con la vita. Si strinse ad essi, e vide che si stringevano a lui. Gli parlavano dei loro problemi, si consigliavano con lui, spesso una madre o un padre conducevano a lui un bambino e gli chiedevano di raccontare a loro figlio il giorno della bomba. Sempre e solo un bambino per volta, come se sapessero che l'intensità dell'esperienza doveva essere individuale per penetrare fino alle prime sorgenti di ogni pensiero e lasciare un'incancellabile traccia. Una bambina - nata da genitori che sembravano·come tutti gli altri perché le loro piaghe erano in luoghi del corpo coperti dagli abiti, e il cui primo figlio era morto a pochi mesi - la sera dopo averlo ascoltato ritornò da lui, e dopo quella ogni sera. Gli diceva di sé e gli domandava di lui. Per lunghi momenti restavano silenziosi. Prima di andarsene gli dava un bacio leggero sulla parte ulcerata del viso, non per un gesto di bontà o di consolazione ma di comprensione e di verità: la bambina sapeva che quella era la sua parte essenziale. Due giovani sposi, incerti se avere un figlio, ne ragionarono lungamente con lui, e a fatica li convinse che il figlio doveva nascere, per continuare la memoria, l'insegnamento, la conoscenza che essi possedevano e perché rinunciare a quel figlio sarebbe stato come anticipare la propria morte e odiare se stessi per quello che erano. Quando nacque scelsero insieme il nome. Qualche giorno dopo questa nascita scrisse una lettera per chiedere di essere esonerato dall'incarico. Una lettera di poche righe, in cui diceva una piccola parte della verità. Non poteva spiegare alle autorità, alle quali non interessano mai le ragioni profonde delle cose, quel che pensava, quel che aveva capito della città e di coloro che ci vivevano, né confessare la vastità, ormai, della sua lontananza. Scrisse soltanto di aver constatato, da anni, una sempre più grande indifferenza per quello che diceva, e che gli appariva dunque inutile continuare. La risposta delle autorità fu gentile e freddamente commossa. Un funzionario gli disse che la sua lettera e il suo caso erano stati attentamente discussi. L'amministrazione cittadina, aggiunse, si rendeva perfettamente conto del suo stato d'animo e lo rispettava. Ma riteneva che la sua lettera fosse il frutto di un atteggiamento emotivo, ampiamente giustificato dalla sua sensibilità ma non per questo giusto in se stesso. L'amministrazione, continuò, era convinta che una considerazione razionale del problema lo avrebbe indotto a ritornare sulla sua decisione, perché se anBibliotecaGino Bianco che esistevano difficoltà determinate dal cambiare dei tempi, era tuttavia ancora più vero e più importante il valore di testimonianza e di simbolo del suo lavoro ("che non chiamerei nemmeno lavoro", precisò, "perché è ben altro"). L'amministrazione, concluse, che aveva sempre f;~:.w della bomba, dei sopravvissuti, della pace il centro del proprio impegno, lo invitava a riflettere ancora prima di confermare la sua decisione e gli assicurava, qualunque f,-;.,sestata, tutta la sua simpatia, il suo apprezzamento e la -sua comprensione. Quasi immobile ascoltò il lungo pl,rlare dell'altro. Nessuno dei pensieri che si muovevano in lui divenne parola, perché se quell'uomo si esprimeva con parole egli poteva farlo solo con il loro opposto, ii silenzio. Quando l'altro ebbe finito disse che la sua de'?isione era definitiva. Il funzionario ne prese atta, lo informò sul nuovo lavoro, lo accompagnò alla pGrta e lo sal~tò con grande, soddisfatto calore. La nostalgia fu appena un velo. Chiuse profonda la memoria in se stesso e la divise unicamente con i suoi simili. Camminando per le strade ora teneva gli occhi bassi, per vedere il meno possibile, per guardare dentro di sé le immagini della memoria, per seguire i pensieri - sempre uguali e sempre veri - che esse suscitavano. Quando parlava con gli altri era cortese e breve, la sua voce non si alzava mai. Lavorava con impegno, e a questo bastava una piccola parte di lui. Nel momento in cui al mattino usciva di casa incominciava a desiderare il ritorno a quelle mura fraterne. Viveva pieno di chiarezza e di dolore, privo di tormenti. rnna sera tardi, al limite della notte, quando quasi ogni a.lrumore era cessato, andò da lui un uomo. Un sopravvissuto, medico, più vecchio di lui, ma di un'alta e forte vecchiaia. Le sue piaghe visibili coprivano le mani, e non portava mai guanti, nemmeno nell'inverno più freddo. Una gran parte della sua vita era dedicata allo studio, alla cura, al controllo delle malattie dei sopravvissuti e della salute dei loro figli e nipoti. Nessuno più di lui conosceva la realtà e la storia, la lunghissima, interminata storia di quella morte e di quel male, le loro molte vittorie e rare sconfitte, la loro implacabile energia, la tenacia, l'astuzia, il loro agire ancora, a distanza di alcuni decenni, e colpire coloro che il giorno in cui la morte ebbe inizio non erano nati. Aveva indagato, compreso, seguito il cammino e le forme del male, gli si era opposto con rabbia inestinguibile e paziente, con una volontà di resistenza, di lotta, di vita che tendeva ad essere, nella determinazione e nella, passione, uguale alla forza di ciò contro cui si batteva. La furia che lo dominava non lo travolgeva, si era, per così dire, scomposta in tutti i frammenti della sua esistenza, imponendo ad ognuno il proprio comando, scopo e coerenza ma lasciandogli la libertà della sua particolare natura. Il significato e il fine della sua vita non piegavano a se stessi i modi concreti e diversi del vivere ma ne costituivano - di ciascuno, di tutti - il sangue, e l'interiore, perfetta unità. Questo dava al viso, ai movimen-

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