L'UOMODELLAMEMORIA Leopoldo Meneghelli r:, uando aveva tredici anni era sopravvissuto alla bom- ~ ba, unico della sua classe. La scuola era a ottocento metri dall'epicentro, ed egli avrebbe dovuto morire come tutti gli altri. Si salvò perché era caduto in terra, sotto il banco, mentre tentava di andare alla finestra per vedere il grande aereo che si sentiva volare. Dopo anni di patimenti, dopo aver conosciuto spaventose profondità di dolore, ha potuto riprendere le formalità dell'esistenza. Vive, segnato per sempre. Vive, in una visibile segregazione. La bomba non l'ha ucciso ma gli ha dato la morte, poiché ha riempito di morte la sua vita. Lo ha consegnato a una vita che essa, la bomba, ha deciso. E si è fatta - nella riflessione che lenta, totale, necessaria è nata in lui, diventando un fluido ferro al quale tutto il suo vivere si tiene e si abbandona - simbolo di tutto il male che l'uomo è stato e sarà capace di pensare e fare, e dell'inevitabilità di questo male, dell'impossibilità di fuggirlo, del destino, del dovere - connaturato all'uomo - di subirlo. È il concreto assoluto del dolore. Ha perduto la famiglia, la casa, il passato, tutto in un medesimo istante. Anche il passato: mai dopo quel giorno, da quando riprese coscienza di sé, ha ricordato qualcosa di prima, sono scomparsi dalla sua mente i volti stessi dei familiari, cancellato ogni episodio, sentimento, persona del tempo anteriore all'esplosione; la sua memoria incomincia dalla bomba, la prima immagine che ha conservato è quella di un compagno di classe che, quando lui ha rialzato la testa, lo fissava immobile, morto, con un solo occhio, l'altro pendeva lungo il viso. Lo Stato gli ha pagato gli inutili studi. Indifferente a ciò che studiava, impassibile davanti a quelle cose di un mondo che non era più il suo, le imparava tuttavia con piena concentrazione, grande intelligenza, sorprendente (per gli altri) facilità, come se le dominasse dall'alto di un intelletto nutrito e formato da ben altri problemi e pensieri. Gli studi avevano rappresentato un lungo fatto accidentale, la sostanza del suo vivere sempre, e ininterrottamente, radicata in quel giorno, rimasto in lui come lo avevano visto gli occhi e la mente di un ragazzo. Il bagliore che accecava, il rumore che lacerava l'udito e le viscere, il nero che seppelliva il mondo, la pelle che cadeva, gli esseri di cui non si riconosceva se fossero uomini o donne, le urla, le file senza fine di gente barcollante, color cenere, i capelli irti, le braccia alzate, che percorrevano - non più vivi e non ancora cadaveri - lo scheletro della città e andavano a buttarsi nel fiume. Su questa visione infantile della seconda, della sua vera nascita (e penserà più tardi che egli possiede quel che ai diversi da lui è negato: la memoria di come si è nati, la perpetua coscienza di quell'originario terrore), era cresciuta in lui una maturità tragica e definitiva, assoluta come la sua causa. Dietro lo sguardo di ragazzo si posavano sulle cose e sulle sorti umane una sensibilità e un giudizio senza età, al di là di ogni età. Fu lieto quando gli chiesero di essere la voce della memoria. Spesso aveva parlato con i suoi coetanei del giorno della bomba e ogni volta tutti, che pure sapevano e ricordaBibliotecaGino Bianco vano quanto lui, lo ascoltavano come se nelle sue parole lo vivessero ancora, chiarissimo, intensissimo, strappato al tempo e levato in alto, intatto, davanti a loro, dentro di loro, spettatori - ora - di se stessi attori - allora -, ma con l'esperienza, la conoscenza, la sapienza delle vittime: vittime sempre, nella carne della loro vita, e nell'anima. E anche più tardi, lavorando, nel disinteresse scrupoloso e attento di un impiego nell'amministrazione cittadina, aveva continuato, tutte le volte che gli si offriva l'occasione, e cercando le occasioni, a raccontare, sempre destando negli ascoltatori la violenta, stupefatta emozione. Un giorno il sindaco lo chiamò e, dopo essersi fatto narrare il suo ricordo, gli propose di assumere, come incarico permanente, il compito di parlare ai bambini del giorno della bomba. Accettò, e quella sera - tornato al suo piccolissimo appartamento in quello che qualcuno chiamava il ghetto atomico, dove vivevano migliaia di sopravvissuti poveri, in povere case costruite per loro - pensò a se stesso diversamente. Con altro tocco, quasi una carezza, quasi un gesto placato, orgoglioso, ridente, le sue mani andarono alla pelle malamente ricucita della parte sinistra del viso, poi ciascuna percorse dolcemente tutta la carne distrutta dell'altra. E diversamente pensò ai suoi simili, ai nati come lui dalla bomba, ai piagati, dolorosi, ognuno solo in se stesso e ognuno in tutti e tutti in ognuno. Gli esseri umani nuovi, destinati alla solitudine individuale e collettiva per quel che avevano nei corpi e nelle menti, per come pensavano, sentivano, guardavano la vita, la terra, il cielo, per come giudicavano, perché ricordavano e non potevano che ricordare, perché nel ricordo esistevano. Limpidi come nessun altro prima di loro, tersi dal fuoco, abitati dal fuoco e dalla morte, e veggenti. Gli strinse il cuore una trepida fierezza. Più rapidi furono la mattina dopo i passi che, come ogni mattina, lo condussero alla chiesa. Una piccola chiesa periferica, andata in polvere quel giorno, ricostruita uguale nello stesso luogo e che da quando era stata nuovamente consacrata suonava tutti i giorni la campana alle otto e un quarto, l'ora dell'esplosione. A quell'ora, sempre egli era lì. Si avvicinava al muro esterno, sotto la campana, fino a sfiorarlo, e ascoltava, in piedi, il volto verso l'alto dov'era il suono, in una rigidità serena. Attendeva, per luminosi minuti, che l'ultima nota si fosse dispersa e spenta, poi si allontanava. Mai era entrato nella chiesa, perché il problema non era più Dio. D ncominciò a parlare ai.bambini e ai ragazzi. Andava soprattutto nelle scuole, più raramente in luoghi privati dove gruppi di famiglie radunavano i figli per ascoltarlo. Qui talvolta partecipavano anche i genitori e ai famigliari, ma in generale egli veniva lasciato solo con quei giovanissimi volti attenti. Erano quasi sempre dei sopravvissuti a organizzare questi incontri, e al termine, quando silenziosamente i ragazzi se ne andavano dopo averlo salutato - e nelle parole di saluto tremava la visione che la sua voce ave-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==