8 DISCUSSIONE/GIACCHÈ ria e la colpa, che direi centrali alla cultura occidentale e non solo alla messicana (e la colpa nelle sue piu ampie sfaccettature di rimorso e rancore, odio di sé e degli altri, rovesciamento delle cause e degli effetti, frustrazione e dolore, vendetta e autopunizione). Il secondo: di una limpidezza grave, nella quale ha peso, letteralmente, soprattutto il silenzio, ciò che c'è tra le frasi, e che le rende di una densità compresa e sospesa sull'orlo del panico e dell'angoscia. Los murmullos era il primitivo titolo di Pedro Pàramo che - nella storia di un figlio spinto dalla madre alla ricerca del padre, di un padre che vive di un'idolatrata passione irrealizzata per una donna "angelicata", e che di troppi delitti si è macchiato - ci introduce a una purgatoriale dimensione di morte, dove, appunto, è il mormorio dei morti, mescolati ai vivi, indistinguibili dai vivi, a raggiungerci. La ricerca di Juan Preciado è frustrante, poiché del padre scopre sconvolto i misfatti, e poiché anch'egli, ce ne accorgiamo a romanzo avanzato, appartiene già al mondo dei morti, sempre contiguo e coinvolto, coinvolgente. I racconti sono un ampliamento di questo discorso, ramificati e vari, ma retti dallo stesso senso di fatalità e di tragedia. Di essi, sono entrati in tutte le antologie, sono davvero "da antologia", Di/es que no me maten!, No oyes ladrar los perros, Macario, Talpa e tanti altri. Ma quando si dice fatalità e tragedia non si intende cupezza: la scrittura, il fraseggio di Rulfo sono anzi lievi, e comunicano piuttosto la sensazione di una nostalgia acuta, temperata da un'ironia sotterranea dell'autore come dei personaggi, con qualcosa di musicale, spesso di aereo. L'arte di Rulfo è imparagonabile e unica proprio per questo; e straziante per quel fondo di commozione fortemente rattenuta, nascosta, sulle vite perdute, sui destini obbligati, sulle potenzialità non potute esprimere dai suoi personaggi: i contadini del Messico povero, ma anche altri e altrove. E il silenzio di Rulfo - che lo ha infine consegnato a una dimensione mitica e unica nella letteratura di lingua spagnola - è stato forse anche un'adesione a quel discorso, a quelle vite. -~r ~ ....... BibliotecaGino Bianco FORZARAGAZZI PiergiorgioGiacchè Tra l'approdo felice dell'Achille Lauro e l'avvento veloce del Natale, va ricordata quella che è stata la parentesi tiepida di un autunno freddo: il fenomeno "emergente" - e smisuratamente avvistato - dei "ragazzi dell'ottantacique". Non sappiamo ancora se si tratti proprio di "loro", ma dobbiamo dire che, in tal caso, li aspettavamo tutti da tempo. Dopo i tanti brevi e falsi allarmi dei punk e dei guerrieri della notte, dei break-dancer's e dei cattolico-popolari, dei timberland/-boys, dei paninari, degli arciambientalisti e delle neofemministe, riecco un movimento e per di più studentesco: saranno "loro", finalmente? "Loro", cioè l'agognato ricambio, la palingenesi e il riscatto di genitori putativi o reali, che si affacciano dal privato della loro capanna con la casacca d'arancio stinto e la bandiera logora, ma l'aspetto infantile e però impolverato dei sempreverdi condannati al limbo dell'anziana giovinezza e dell'eterna presunzione. Proprio come parenti anche noi li abbiamo osservati in quei primi e timidi e grandi cortei, li abbiamo spiati nelle numerose interviste dei telegiornali flash, li abbiamo indovinati nei solerti e sapienti commenti dei giornalisti di prestigio e di bocca buona. Non siamo ancora in grado di parlare di loro; tanto meno di parlare "con" loro (sempre che si tratti di "loro" ... ). Ma non possiamo trattenerci dallo sbirciare la loro "immagine"; e non soltanto perché li sappiamo piacevolmente allenati alla cultura dell'immaginario e al mercato dell'abbigliamento, ma soprattutto perché ci ha sfiorato una sensazione sgradevole. Forse un sospetto. Ci è sembrato che i "ragazzi dell'85" siano stati in qualche modo anticipati: almeno proprio la loro immagine o quella stessa spiacevole denominazione è nata prima che facessero in tempo a far passare un loro qualunque slogan, a socializzare una loro qualsiasi autodefinizione. Sarà per questo che - malgrado si appartenga a una di quelle generazioni che sono state "strumentalizzate", come si vorrebbe evitare adesso ... - non ce la sentiamo di invidiarli. Chissà che per scongiurare una strumentalizzazione a posteriori, non si sia operata una manipolazione a priori? Allora siamo più semplici e diciamolo che l'assenza di bramosa partecipazione o la presenza di astioso distacco, sta proprio in quel nomignolo collettivo che è stato loro appioppato. È dal tempo degli sventurati "ragazzi del '99" che, fra l'altro, quel modo di battezzare non porta fortuna. Né mai, come in etichette come queste, gli elementi concorrono a definire, quanto piuttosto a delimitare: l'anno d.o.c. è stampato per garantire un malaugurato prolungamento nel tempo, la denominazione "ragazzi" per scongiurare un ancora più deprecabile sconfinamento dallo spazio affettuoso dove li si vuole collocati. Forse è tutto qui il segreto di questa anticipata manipolazione. Prima ancora che comparissero sulla scena sociale erano già amorosamente incoraggiati a farsi avanti, precocemente addestrati a farsi vedere: allevati lontani dalle paure e chiusure domestiche, dalle incomprensioni autoritarie, dalle ristrettezze moralistiche, nei permissivismi complici di genitori tanto coetanei quanto impazienti di diventarlo per davvero ... Per questo - prima ancora della frettolosa e attenta manovra dei mass media - una incolpevole strategia sociale e familiare li aveva già destinati a un soprannome affettuoso: appena hanno deciso di mostrarsi, d'incanto e d'accordo tutti li hanno visti così, come "i loro ragazzi". Sorvolando sul recente precedente patriottico dei "nostri ragazzi nel Libano", la scelta del nome esprime comunque un particolare !ipo di interessamento e di protezione. Ragazzo vuol dire più di "ometto", nasce presto eppure si prolunga oltre il militare, perfino attraversa tutte le età con l' effetto o la necessità di una sferzata di energia; ragazzo è il cognome protocameratesco delle avventure a fumetti di tutte le epoche, dove spazia dal surrogato di antiquate interiezioni ("forza ragazzi!" sta per "orsù") al rafforzativo di una aggettivazione positi-
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