76 STORIE/PNION so, lo inquietasse. E si sapesse infine condannato dal figlio e dalla moglie, la casa rubata dall'arrivo dell'erede, e non riuscì a guardare. Ogni giorno la loro lotta per la casa si riduceva. Con la donna che voleva scaricargli il bambino che non aveva mai visto. Andava allora in chiesa, fingendo armoniosa esistenza in casa sua. E unicamente dal fracasso degli oggetti che si spaccavano, dalle cibarie che sparivano dalla dispensa costringendolo a cercar frutta, legumi ovunque, spremere l'utilità degli animali, captare l'abbondanza della natura, cominciò a immaginare la crescita del figlio e la sua possente voracità. Per questo il cugino potè godere la casa con odio mortale. Si sentiva ridotto in cenere, abitatore di artica regione. La donna lo affincava quando, in stato di trasparenza, gli trasmetteva le proprie afflizioni. Lei si illudeva tuttavia che la lotta mai avrebbe conosciuto un termine, erano tutti nemici gentiluomini. Il figlio chissà dove avrebbe incrociato le armi con le cugine per difendere l'onore della casa, tenzone eccellente, nell'impegno di farsi uomo. Ripeteva l'uomo: muoio pazzo, ma mio figlio mi avrà nemico. La donna apprezzava il figlio che insozzava le pareti, le sue esigenze superavano i limiti della casa, anche se egli non voleva lasciarla. - Va' ad abitare altre terre, gli disse la donna ai quindici anni. Il padre ascoltò, d'accordo, raccomandando al figlio, tutte le volte che ti avvicinerai cerca di far rumore, in modo che non ti abbia mai a vedere. Il suo martirio era conoscere il figlio di colpo, scoprirne il volto. Il figlio diceva solo qui resto, perché mi tolleriate in eterno. Difese organizzò il padre per casa. Arsenali di fiori, si condannò perché non si sentiva all'altezza del prestigio del figlio. Nella pretesa di ingannare la comunità, la donna suonava il pianoforte, strumento di Dio lo battezzò, e non voglio perdono, aggiunse affinché la sentissero. Quando il padre e il figlio si trovavano faccia a faccia, sebbene solo uno di loro avesse il diritto di guardare, lei suonava col massimo di forza, li esigeva entrambi protetti dal potere del mistero. Mistero disseminò per la casa, e lei faceva torte, caffè. Percorreva la casa spazzando cocci. Il cugino era passato a spaccare oggetti millenari, ereditati dalla vita tribale, contro le pareti. Bersagli non se ne permetteva, nonostante i vigorosi esercizi. Tuttavia, da tanto esercizio, e malgrado la con° centrazione di odio che gli riduceva le mani al tremito, cominciò a colpir giusto in quei punti oscuri tracciati sulle pareti e contro i quali proiettava la propria amara invocazione. La donna sopraggiungeva e guardava, tale la censura nei suoi occhi che il cugino si chiedeva se non sarebbe stato più facile dormire qualche volta con la moglie piuttosto che sopportarne l'abbacinata visione, Elia sopra il popolo di Israele sul suo carro di fuoco, miracolo io vi prometto, non son venuto per rimanere, morto lo sono già, riporto indietro solo la mia memoria immortale. Sarebbero stati più degni e tra loro ci sarebbe stata una rete carica di pesci, a imitare abbondanza, e non il pus che lei ingoiava e lui anche, per cui guardandosi allo specchio si vedevano gialli. BibliotecaGino Bianco A vent'anni il figlio ordinò comunque tutte le chiavi saranno mie. Lei consegnò, non per compiacere il nemico, e quanto le sembrò meglio lottare così. Egli si sarebbe tenute le chiavi, in cambio lei avrebbe fatto di tutto perché le perdesse. E più facilmente rinunciò al potere quando sorprese il cugino, in mezzo a ombre nell'orto di casa, impegnato a non voler vedere il figlio. Dopo ore, esigendo egli le chiavi, lei suonò il pianoforte. Egli sfidò Dio, schiavo mi hai fatto, ma me la pagherai. Scagliò a terra i suoi oggetti preferiti, e non potendo ferire la donna, da tempo si erano promessi ci ammazzeremo senza che la morte ci sorprenda, ma pure volendo un pavimento pulito, senza l'incombenza di seppellire i cadaveri - col temperino bucò alcuni dei suoi quadri. Quelli di colore intenso li perseguitò fino alla distruzione. Il figlio seppe che il patrimonio era stato danneggiato. Gridò, oltre la chiave, essendo io signore del cielo, esigo che abbiate più cura di quanto è mio. Il padre passò a organizzare eserciti di chicchere, piattini, e li distruggeva contro la parete, rivivendo i movimenti cui si era andato dedicando negli ultimi anni, pur mascherando a fatica l'indecisione che gli aveva invaso l'anima quanto ai risultati di un simile gioco. Il figlio, sapeva, era alle spalle. La donna stimava il figlio che annientava il padre, ordinandogli chissà, la morte. E come assassinare il padre, egli sembrava chiedere alla madre. Tuttavia lei non gli diceva quale fosse la vendetta che tutti in quella casa esigevano per sopravvivere. Ma leggendo nella donna gli ordini, il figlio si coricò sul tavolo, imitava gli altri oggetti destinati alla distruzione. Come un posseduto il padre seguitava a scagliare il materiale bellico contro la parete. Non selezionava, nella certezza di averli tutti in suo potere. Andavano ora scarseggiando, la sua forza tuttavia non scemava. Volendo inventare nuovi fasti, diceva anzi cose altere. Finché a un tratto toccò un polso, al quale si aggrappò come a matrice, e la certezza del calore lo sorprese. Ignorava di che carne si trattasse, tartaruga, mollusco, o lumaca. Cercò di scoprire sul tavolo a che genere appartenesse quell'utensile. E scoprì gli occhi che non aveva mai visto, il piglio taurino che lui stesso e la donna avevano inventato. Un volto che compose con disgusto. Egli ora esisteva, per la prima volta vide il figlio, il territorio della paura da cui aveva cercato di tenersi lontano per quasi vent'anni. Il figlio si rannicchiava fingendosi piattino o chicchera. Gli sbatteva in faccia il riso e la certezza della propria vita. Su, descrivi ora la mia faccia, sembrava gridargli. Il padre accettò allora che il figlio fosse il piattino che entrambi pretendevano, di tutto fece per so1levarlo dal tavolo e scaraventarlo contro la parete, o a terra, come un oggetto della cui forma egli si rivestisse. Per alcune ore cercò di fare a pezzi quella carne che egli e la donna avevano costruito per la contesa della casa. E il figlio resistette, resisteva più di un comune piattino. Copyright Nelida Pifion 1985. (traduzione di Adelina Aletti)
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