Linea d'ombra - anno IV - n. 13 - febbraio 1986

LASACRAFAMIGLIA Nélida Pifìon Un volto martoriato, mancanza di eleganza nell'incedere. Giorno e notte, la ripetibilità dell'orologio. Certi se la immaginavano assassinata all'alba. Non si dava per vinta. Da sempre si seppe unica di una gloriosa casata. Condizione assimilata fin da bambina. In collegio le prese la furia e la cacciarono, la giovenca nel prato. Dopo il matrimonio, rifiutò l'uomo, che mai più calpestasse quelle terre. Quanto all'amore, sentimento breve, si cautelava: è per più tardi, diceva giustificando. Negli ultimi mesi le si erano intorpidite le giunture. Dava lezioni di pianoforte a bambini e ragazze. Ed era tuttavia ancora giovane. Ma l'invecchiamento in famiglia iniziava con la paralisi degli arti inferiori, fenomeno mai spiegato, la vocazione all'immobilità. Con pretesa di leggerezza, quasi foglia involontaria al vento, si nutriva di caffellatte, frutta, formaggio, pan tostato. Il cugino la minacciò per questioni di inventario. Lei si redimeva negandogli attenzione. Stessa cosa sua madre, quando il padre del cugino era venuto a farle visita, sebbene le sue proposte fossero allora differenti. L'uomo si sedette accanto al pianoforte. Le suppellettili tremolavano mentre lei suonava, egli le scostò perché non si rompessero. La donna sorrise grata. La lotta comunque era affar serio. Perfino il commiato, e le sue ultime parole raggiunsero un tono di guerra: - Le decisioni di Dio non sono le stesse dell'uomo. Tu risolvi ammazzando o con la giustizia. Gli amici si andavano allontanando sapendola in lite col cugino. Così gli alunni. Si vide costretta a simulare lezioni di pianoforte il giorno intero, affinché il vicinato non sospettasse la sua solitudine. E il suo orgoglio trionfasse. Il convivio con se stessa la esauriva. Sempre alla ricerca di altri mezzi per riuscire, finiva poi al pianoforte, claudicando nei tasti. Cominciò a capire i motivi che avevano indotto il padre ad abbandonare la madre. La vita a due finiva in amarezza, consolidamento di sentimenti errati. Adottò una divisa per affrontare il cugino. E i capelli corti, più corti di quelli di un uomo. Pian piano perse la soavità che lo strumento sonoro le assicurava, lei non esisteva più. Si faceva dura, i gesti instabili, lì per lì sbatteva porte, finestre, i vetri si spaccavano. Non ammattiva, ma l'animale che era in lei non consentiva consolazione. - Devi ammettere che la morte è necessaria, il cugino le inviò il messaggio confidente. Lei annusò la carta, il maschio che la raggiungeva pur rimanendo assente. Stracciò il biglietto, mise insieme i pezzi e si piccò di seppellirli in giardino. Perché in certo modo si trasmettesse al cugino la forza del suo disprezzo. Finse di scordare la terra, quando esattamente dall'area scavata spuntarono insperate margherite. Egli venne armi alla mano, le disse: sposati con me anche se tuo marito è vivo in qualche perduta landa di questo paese. Richiesta prontamente accolta a patto di rimanere nemici pur abitando sotto lo stesso tetto. Sarebbe quindi finalmente venuto ad abitare la vecchia casa in cui era nato. Non poteva, lei, dubitare dell'amore dell'uomo per la proprietà decrepita. BibliotecaGino Bianco Il sacerdote e la comunità condannarono l'unione. E la prima domenica in cui andarono in chiesa, si sorbirono la violenza del sermone che li includeva. L'uomo non emetteva suono, di tutto faceva perché lei si dimenticasse di lui se per caso si incontravano in corridoio, o perfino in sala da pranzo, all'imbrunire. Piantando frutta, o affrontando la rozzezza del mercato, il vicinato mormorava: - Chissà se gente simile arriverà a mettere al mondo figli? Rispondendo, la donna acconsentì che lui la possedesse in un raro intervallo, precisamente tre mesi dopo l'unione. I corpi dapprima in oblio avevano tremato, le giunture familiari che scricchiolavano a imitazione degli antenati, tuttavia una identificazione perfetta. La tua schiena è di serpente, commento dell'uomo, perché lei capisse quale senso lui dava alle cose. La donna spalancò le finestre della casa, ho bisogno di aria, spiegò in seguito. E quando si scoprì gravida, quasi non avesse diviso la fecondazione con lui, ma col vento che sempre transitò per la casa, gli mandò un messaggio: abbiamo perso la casa contemporaneamente, non è più né tua né mia. Il cugino rispose voglio spiegazioni per la comunità e il mio cuore. E quando la pancia assunse dimensioni mostruose e non c'era più dubbio, il cugino realizzò la casa è quindi dell'erede. Vedeva il nemico crescere di giorno in giorno. Nemico di entrambi. Compresero che era meglio allearsi, il nascituro avrebbe dovuto lottare, per la casa. Simile tenzone intorno ai beni si era instaurata in famiglia da secoli. Crescevano tutti imparando che dovevano lottare, poiché il sangue versato sfruttava la circolazione, le armi sì che si erano modernizzate. Il cugino espresse il desiderio di apprendere a tirar di scherma, si era fermato in limiti aristocratici. La donna gli fece osservare che avendo ereditato giunture irrigidite, soprattutto alle estremità, desistesse dal volere a tutti i costi ottenere mobilità. Nonostante gli avvertimenti, l'uomo si esercitava contro alberi, rami delicati. Finché, alla nascita del bambino, chiamato, venne ad assistere al parto. Chiuse comunque gli occhi dicendo: il nemico nasce, ma per principio non lo vedo. Durante il puerperio, la donna si disperava al pianoforte. Allattava come se la creatura le fosse estranea. Nutriva un amore perduto, riconosceva il sentimento condannato. Quando un giorno se ne andrà io l'avrò già perduto dalla nascita, meditava giornalmente per spiegare la propria estraneità. Madre non lo si è più di una volta, e chiamava a gran voce l'uomo che guardasse il figlio che lei aveva partorito con la sua veloce collaborazione. Egli si sforzava di ubbidire, almeno una volta conoscere il talento della sua scarsa carne. Adagio andava preparando le braccia, per rendere meno sofferto lo sguardo, cercando inoltre di dominare le articolazioni tipiche della famiglia, dotata tutta di estremità difficoltose cui si doveva la vocazione alla rabbia. L'energia del sangue ancestrale gli stringeva veramente il cuore, in modo che il grido uscito dalla bocca, che diventava il flusso del suo emisfero grato e commos-

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