74 Peter Htirtling nel 1948 e nel 1954. BibliotecaGino Bianco Non le sembra che questo possa derivare dal suo modo estremamente e riduttivamente soggettivo, individualistico, di vedere la storia? privandola cioè di ripercussioni circolari, ambientali, di una dimensione, diciamo cosi: collettiva e una memoria coralmente "oggettiva"? Epica, per intenderci. Può darsi senz'altro. (Altro sorriso). D'altra parte, il mio estremo soggettivismo sta alla base del compito che attribuisco allo scrittore. Quello cioè di un'aderenza esclusiva alla propria esperienza, mutevole e diversificata, per esternarla di volta in volta con quei dubbi che il ricordo cangiante via via gli mette a disposizione, o nel caso di personaggi storici con la sola concretezza dei documenti tramandati, e nulla più. Anche però a rischio che i risultati finali del suo lavoro presuppongano, per l'accettazione piena, tempi lunghi e spesso effetti ritardati. È per questo che ho voluto occuparmi di "libri dimenticati" (Verges:SeneBucher), in un volume omonimo uscito nel '66 e recentemente ristampato. Ma non mi fraintenda: con questo, non voglio dire che lo scrittore non abbia il compito di un rapporto diretto con la società ch'è la propria, quella del suo tempo. Deve però realizzarlo in altri modi, con altri strumenti: i media, i dibattiti, gli interventi d'opinione sugli avvenimenti. So che lei ha una vasta attività, un largo giro di conferenze, presentazioni, persino di "lezioni", per esempio di poetica a/l'università di Francoforte, che sono quelle inaugurate appunto dalla Bachmann nel 1960. So che si dedica molto anche alle scuole, ai ragazzi, per i quali ha scritto e scrive tanti racconti; e poi dischi, videocassette ecc. In questo àmbito, lei crede in un rapporto critico, magari anche rischioso, con la società del suo tempo, al di là e a/l'infuori dei suoi libri? In tal senso, voi avete avuto negli ultimi anni un Heinrich B611,e per esempio nei due ultimi decenni de/l'Ottocento finanche un Theodor Fontane ... Oh, Fontane. Che grande scrittore ... Artigianalmente, c'è molto da imparare da lui, nella scrittura, nella composizione, nei dialoghi. Boli, poi, è stato certamente una figura di grande "formato" etico, negli ultimi due decenni. Quanto al rapporto con la società, ciascuno costruisce il proprio. Bene. Tornando a Janek e alla sua provenienza dalla Germania orientale, come sono i rapporti fra i due mondi culturali tedeschi e i suoi personali con la RDT? Ottimi, davvero eccellenti. Io sono di casa nella RDT, come molti altri scrittori. Mi reco spesso a Berlino-est e conosco naturalmente tutti, nel mondo letterario e al Ministero della Cultura. Ma in genere poi, sa, ormai non si fa più differenza, culturalmente, tra Est ed Ovest. I nomi e gli scrittori circolano sia di qua che di là, nelle case editrici e tra i lettori. Ve ne sarete accorti anche voi in Italia, per esempio a proposito di Heiner Mtiller e Christa Wolf, popolari all'Ovest. La cultura tedesca è una sola, pur con le sue caratteristiche specifiche, che del resto ha sempre avuto: di là più riflessività e appassionata compenetrazione, di qua più brillantezza e vivacità, per dirla in due parole. E una riunificazione politica, sia pure a tempi lunghi? Impensabile. Assolutamente esclusa. Proprio perché viviamo in un'epoca di "politica senza idee", si può aspirare unicamente - cosa che, come ho detto, è già in atto - a una "unità" culturalmente intensa. È per questo che occorre una "letteratura limpida e consapevole" che mantenga omogeneo e scorrevole lo scambio e l'apporto reciproci, ciascuno con le proprie del resto secolari e riconosciute peculiarità, ad una cultura tedesca globalmente intensa. Il resto ... non è e non può essere nelle nostre facoltà, lei capisce. La ringrazio. Mi dica, in ultimo, lei che è venuto altre volte in Italia: che cosa pensa degli italiani? (Questa volta il sorriso è largo, convinto). Gli italiani posseggono una lieve sfumatura di anarchia, che li aiuta grandemente a trarsi d'impaccio anche nelle situazioni peggiori. (E, sigaretta fra le dita, si congeda).
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