Linea d'ombra - anno IV - n. 13 - febbraio 1986

cisivo, da questo punto di vista. In sostanza, il ricordo, sì, il ricordo è tutto quello che noi abbiamo: o meglio non abbiamo, perché passa, trascorre o si vela e si distorce, nelle impressioni, immagini, sensazioni, e fluisce come l'acqua sopra una superficie unta. (Sorride e comincia ad accendere una sigaretta dietro l'altra). Sa, io non credo alla forza vincolante, determinante, formativa del ricordo. Eppure Benjamin, che se ne intendeva, ha detto da qualche parte che il ricordo è il tessuto della vita... Già. Ma esistono i "vuoti" storici. .. Vede, la Germania Ovest ha avuto con gli anni cinquanta un decennio di totale rimozione storica. Il che si è, naturalmente, ripercosso nella letteratura. E infatti, che cosa fa il ragazzo Janek, alla fine del libro (ma con chiare intenzioni fin dall'inizio), se non "rimuovere" tutta la propria storia, e in tal modo la storia, tutta, di quel periodo? Capisco, e mi fa piacere che si venga così aparlare subito di storia, della storia tedesca naturalmente. Certo, voi avete avuto, nel 1953, l'amaro squillo di tromba rivelatore di un rifiuto totale della storia, nei versi di Ingeborg Bachmann: ... La nostra I divinità, la Storia, ci ha riservato un sepolcro I da cui non vi è risurrezione. Ma la Bachmann era una ribelle, e ha dimostrato poi di aver lottato molto contro un tale atteggiamento e il "tempo immobile". Per conto mio, io ho cercato di rappresentarlo nei personaggi ottocenteschi del libro Das Familienfest oder das Ende der Geschichte (La festa in famiglia ovvero la fine della storia, I968, trad. mia); infatti la seconda parte del titolo vuole avere un significato ironico ... A poco più di trent'anni poi, negli anni sessanta, ho cominciato ad affrontare narrativamente la mia storia: né potevo fare diversamente, perché la storia è l'individuo, o meglio l'individuo è la storia. Non le sembra un po' restrittiva, questa sua concezione della storia? Non credo. Del resto, anche la Bachmann, poiché l'ha citata, coi primi racconti Il trentesimo anno che escono nel '61, dà inizio a una introspezione personale, sia pure di stampo poetico, che insegue puntualmente la sua storia: quantunque la Bachmann avesse sette anni più di me - una cosa importante, sa, per la nostra generazione - e una ben diversa vicenda alle spalle. Voglio dire che negli anni sessanta, di fronte ai giovani "arrabbiati", i più consapevoli hanno cominciato a misurarsi coi propri ricordi. BibliotecaGino Bianco O a giocarvi a rimpiattino. Ma, con risultati liberatori, come lei? Forse, può darsi. Non era però la cosa essenziale, voglio dire che non era nelle intenzioni principali. E la giovane generazione ci ha seguito, con l'inizio della neue Empfindsamkeit. Perché distrutto il ricordo, si fa posto al "lutto", sì, un profondo lutto. È stato un processo necessario, per noi. Ne ho parlato spesso, anche nei miei discorsi e saggi. A parte gli altri, personalmente io ho voluto verificare, constatare, anche in loco - come del resto è avvenuto nel libro già citato, Zwettl - che "ciò ch'è stato, non è piu vero" (was war, ist nicht mehr wahr), perché non siamo mutati, siamo diventati altri, diversi, e molti luoghi e persone non esistono più. Che ne è del ricordo, allora? Cancellato, finito, annullato, nella sua molteplicità labile, fallace e fluidissima. Che d'altra parte, mi ha poi fatto da piattaforma per evidenziare quella "prospettiva multipla" che - per me - è la storia. Sicché, per lei la storia è mutevole, anzi multipla, a seconda dei soggetti? Proprio così. Ed è quello che - devo dire - i critici quasi concordemente da un lato lodano, dall'altro mi rimproverano, nei confronti dei personaggi storici di cui mi sono occupato (Lenau, Holderlin e altri) e di quelli fittizi che ho costruito. Diciamo che ammirano la particolare "ambivalenza", o ambiguità, che ne scaturisce (così Heissenbuttel per Janek): non è la stessa cosa. (Sorride, fra una sigaretta e l'altra). Un atteggiamento realistico, cioè quotidiano e concreto, e insieme soggettivo e soggettivamente dubitativo. Perché ricordo e dubbio sono collegati tra loro. Anche Hans Mayer si è pronunciato in tal modo, a proposito del suo Holderlin, mi pare. Appunto. È il mio atteggiamento abituale di approccio alla materia di cui mi occupo. Ricorderà come si chiude l' Holderlin: "È andata così. Può darsi che sia andata così" (So war es. So mag es gewesen sein). 73

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