contavano con malcelato orgoglio di come avevano sfuggito la morte e erano riusciti a vivere ancora per sessant'anni. - Oh, sì, - diceva la vecchietta di nome Silvia - ero coraggiosa. Tutti si stupirono quando mi volli arruolare nelle guardie rosse benché non sapessi sparare e non avessi mai fatto la crocerossina. Io stessa non me lo sarei aspettato di aver tanto coraggio. Avevo diciassette anni, avevo lavorato in fabbrica, prima come operaia e poi in ufficio. Con le guardie rosse il lavoro era pesante: per cinque ore medicavamo i feriti, poi c'era l'intervallo, e poi altre cinque ore di lavoro. Ci addestrava un infermiere russo. Avevo un corteggiatore, un soldato russo, un artigliere, parlava con l'aiuto del vocabolario. Ci scambiammo gli indirizzi. Quando cominciò il combattimento ci siamo persi. Mi dispiacque molto. Anche lui si stupiva del mio coraggio. Andavamo insieme sul dondolo del giardino ... La memoria, come un pittore, seleziona i particolari. Nella memoria non c'è nulla di definito, di integro, ma sprigiona scintille: la memoria vede su una diga il collo di una bottiglia che brilla sotto la luna, come il Trigorin cechoviano quando descrive una notte d'estate. I sentimenti sono scomparsi da tempo, portati via dal vento come spazzatura mentre un particolare, come forgiato in acciaio, risplende ancora: andavamo insieme sul dondolo in giardino. E io percepivo il fremito della giovinezza, la speranza, la paura, l'ignoto dell'inverno del '18 ... - Le amiche mi gridavano: "Vieni qui! Stà attenta!" - continuava la vecchietta trascinata dai ricordi, - ed io gridavo: "Se il destino lo vuole, morirò!" E proprio in quel momento mi colpì una pallottola e caddi. Si stavano avvicinando le guardie bianche. Pensavo: "È meglio che mi lascino qua, tanto morirò'', e lo dissi. Ma mi caricarono sul carro e mi portarono a Riihimaki. Poi, all'una di notte, mi svegliarono: "Non si può rimanere in città, si vesta, dobbiamo portarla via''. Mi aiutava una guardia rossa estone, credo di essergli piaciuta. Prese le mie cose e le portò sul treno. Aveva una bella barba scura. Arrivammo a Haneenlinna. L'estone non si allontanava da me neanche di un passo. L'ospedale di Haneenlinna era pieno ma mi sistemarono alla meglio. Il dottore non aveva simpatia per i rossi. Era uno svedese, giovane e dall'aria severa. Era arrabbiato perché di domenica l'avevano costretto a venire all'ospedale a lavorare. Continuava a ripetere una buffa parolaccia svedese, non so tradurla, qualcosa a proposito dello stivale... , lo stivale pieno di. .. Capisce. Ad un tratto vidi una ragazza sul letto, un viso dolce dagli occhi azzurri, e il medico che teneva la mano della ragazza con la sua enorme mano ricoperta di peli rossi e, muovendo arrabbiato le labbra, diceva qualcosa. Non voleva che mi portassero in un altro ospedale. Disse che dovevo rimanere nel suo. A causa del mio stato. Ma credo che dicesse così perché lui ... Qui la vecchietta espresse qualcosa con gli occhi, qualcosa che non voleva dire ad alta voce. Parlava troppo di questo argomento. Nei suoi occhi, sbiaditi, un po' sporgenti, BibliotecaGino Bianco STORIE/TRIFONOV c'era malizia. Annuivo per farle vedere che capivo tutto. - Mi capisce? - chiese la vecchietta soddisfatta. - Sì, sì, capisco. - È strano che ricordi solo le sciocchezze. - E non ha mai più incontrato né l'artigliere russo, né l'estone, né il dottore? - Mai più - disse la vecchietta, guardandomi attraverso le palpebre semiabbassate quasi dall'alto in basso, e il suo viso assunse un'espressione altera. - Poi c'è stata la ritirata. I tedeschi ci inseguivano, siamo arrivati in Russia, e sa cosa mi ha stupito? Che la Russia fosse come la Finlandia. Sono arrivata fino alla città di Perm', lì mi sono ammalata di influenza ... In un'altra casa, un vecchio con un'ampia giacca nera, larga alle spalle - il vecchio evidentemente si era smagrito negli ultimi anni e la giacca era diventata troppo grande - raccontava: - Perché i tedeschi, che venivano da Lovisa, attaccarono in due direzioni: su Lahti e su Kotka. Arrivarono nei pressi di Kotka. Lì c'è una vecchia fortezza, tutte le guardie rosse si riunirono là dentro e decisero di combattere. La sera del 5 marzo i tedeschi attaccarono Kotka ma noi riuscimmo a respingerli. Ci aveva aiutato l'artiglieria russa dall'isola. La battaglia durò un'ora e mezzo. I tedeschi si allontanarono in fretta e i finlandesi cominciarono ad inseguirli, ma lentamente. Lì si manifestò la lentezza dei finnici. Li inseguimmo fino a Lovisa ... Mi ricordai: l'estate del 1927 l'ho trascorsa a Lovisa. Lì c'era la dacia. Tutto era come a Serebrjanyj Bor nei pressi di Mosca. La casetta di legno, il profumo di resina, di tavole non verniciate, di pino, la sabbia, il sole, ed io, reso fiacco dalla beatitudine e dalla paura sotto il solleone davanti all'abisso della finestra. Mio padre mi tiene con una mano che non conosce pietà. Io voglio liberarmi per tuffarmi nella luce, nel calore. Lui non mi lascia andare. Io faccio capricci, lui mi tiene forte e intanto pensavo: come sarà finito in Finlandia? Solo un anno prima era in Cina in missione militare insieme a Egorov, futuro maresciallo, attraversava i deserti, cercava di capire l'intricatissima guerra dei generali e scriveva quello che vedeva, come sempre, in modo austero e autonomo, cosa che, come sempre, non serviva. Ed eccolo qui: strappato alla rivoluzione mondiale, all'attività vulcanica e gettato nella quiete, nella pace dei laghi di un paese già sbollito e semiaddormentato, nelle discussioni su crediti, assegnazioni e convenzioni, gli uni da appoggiare, le altre da respingere. Ma poteva forse rifiutarsi? Dall'età di sedici anni, dal 1904, si era abituato a non rifiutare mai nulla; ancora poco tempo prima portava gli stivali, i comodi pantaloni a sbuffo e la giacca dell'uniforme, e ora: il frac, i colletti rigidi, le scarpe strette. Tutto si allontanava in modo precipitoso e impercettibile da ciò che era stato prima. Ma io non capivo e, piangendo, tentavo di superare la frontiera della finestra. La nostra casa in Albertsghatan non esisteva più: nel 1941 era stata distrutta da una bomba. 67
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