Linea d'ombra - anno IV - n. 13 - febbraio 1986

DISCUSSIONE litica della generazione di E ..Masi, e di quella nostra (di-chi aveva 20/25 anni nel '68): un andare verso l'altro che spesso significava una consapevole rinuncia di sé ma al tempo stesso un inconsapevole desiderio di annullare nel politico le proprie contraddizioni, ripetendo anche negli errori il vecchio stile comunista, con atteggiamenti a metà tra gli iconoclasti e i missionari. Ancora oggi, nel Libro da nascondere, nonostante l'impianto autobiografico, il discorso 'privato' non è quello prevalente. Questo emerge qua e là in pagine di disincantata consapevolezza che sono, a mio avviso, anche le parti migliori del libro e quelle letterariamente più significative. Ma il tono che prevale è un altro, è il discorso, come si diceva una volta, 'militante', che tocca un'infinità di nodi e problemi della cultura corrente e del quotidiano intorno a noi. E. Masi, rappresentante di fatto del "ceto pedagogico", individua proprio in questo settore le responsabilità più gravi nei confronti della cosiddetta "plebe", il "soggetto da far cosciente", e con furore iconoclasta degno di un Matthew Arnold attacca i nuovi 'barbari' e 'filistei' responsabili della degradazione morale della nostra epoca: i "pubblicitari" (giornalisti, donne RAI, divulgatori televisivi), eredi oggi del vecchio ceto pedagogico, i veri detentori del nuovo potere assolutizzante, quello culturale, responsabili di diffondere i modelli unificanti proposti dalla 'socialdemocrazia'. Di qui la sua drastica opposizione a tutto ciò che è espressione della cultura di massa e della società dello spettacolo, dai centri urbani degradati alle vestaglie di acrilico. Diversamente da quanto accadeva nel libro Per la Cina in cui nell'alternanza tra diario, cronaca e commento la scrittura scorreva più libera, forse perché si parlava di un paese straniero, straniero per antonomasia, qui il discorso diventa a volte schematico e ideologico. La sensazione è che anche in Italia E. Masi si senta straniera, questa volta però per un voluto processo di autoesclusione, di orgogliosa separazione, un non volersi compromettere con la cultura della 'modernizzazione', un nascondersi. Sono in realtà molte, fin dal titolo, le immagini nel testo che hanno attinenza con il nascondere, con la segretezza, la reticenza, la rimozione. Penso ad esempio alla "mutilazione" di cui parla l'autrice a proposito della condizione di vita delle donne del popolo, quelle che incontra in ospedale, o delle casalinghe ascoltatrici dei programmi radiofonici. Le vede come "corpi senza anima". Non sente comprensione verso le loro debolezze, le loro manifestazioni di dipendenza. Sente solo ostilità per il loro cicaleccio insulso, per il loro arrivismo, il loro esasperato consumismo. Si stupisce che la donna operaia che è anche madre e casalinga tenda a identificarsi con questa ultima immagine di sé, senza derivare alcun orgoglio dall'autosufficienza economica, nessuna forma di emancipazione dal fatto che lavori. Così il suo sentimento si esprime contraddittoriamente: "Perché amo queste donne mutilate odio quello che esse sono, e chi ha fatto loro questo male. Desidero che cambino, le loro figlie se per loro non c'è più tempo" (p. 101). Dove dovrebbe, o potrebbe, esserci confronto, ecco invece opporre una chiusura; dove si potrebbero approfondire anche le proprie contraddizioni, ecco la ricerca ostinata di coerenza e la mitizzazione di una identità più 'autentica'. La 'mutilazione' che E. Masi percepisce nelle altre pare a me celare il carattere della sua stessa scrittura, un corpo mutilato che nasconde ferite profonde. Ma perché nascondere le proprie debolezze, rimpianti, speranze dietro la veste con cui ci si abbiglia al mattino? Perché quell'urgenza di "coprire la nudità indifesa al rapporto con l'esterno"? La risposta è forse nel modo in cui fin da bambina è stata educata all'intelligenza e all'anticonformismo "come si fa con un maschio", attraverso rigide impartizioni e condizionamenti che hanno lasciato su lei tracce evidenti: "La morale appresa da mia madre predicava il dominio su ogni bassezza degli istinti, o servile( ... ) Scotto di virtù da pagare per la contropartita della piena libertà intellettuale. Era l'impegno a una costante, e faticosa, ipervalutazione di me stessa: mettermi al di sopra, guardare dall'alto. Disprezzo per il mondo, che impone idoli e subordinazione: fino a quella assoluta, di donna. Cancellare l'ostacolo" (p. 136). L'aspirazione ad essere donna con i privilegi e i diritti di un uomo cui molto spesso si accompagna un destino diverso, la rinuncia alla maternità, o alla 'servitù' matrimoniale, spiega forse perché nel libro c'è poca simpatia per 'le altre'. Ma è proprio questo ripercorrere il proprio itinerario di emancipazione che rende il libro "da nascondere" di E. Masi così raro; perché nasce dal bisogno di testimoniare, dal rifiuto dell'indifferenza e del silenzio, e perché lo fa con l'onestà e la calma disperazione di chi sa che non cambierà il ' mondo. BibliotecaGino Bianco

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