Linea d'ombra - anno IV - n. 13 - febbraio 1986

italiani". Mi bastava questo scambio di battute per capire che qualcosa di essenziale si era definitivamente rotto nei rapporti comunicativi fra persone di Nuova Sinistra. In un articolo miserevolmente benevolo e proditorio, e perfino dettato da quella buona fede e buona volontà giornalistica che crede di non offendere nessuno anche quando travisa i fatti, Miriam Mafai "fa i conti" in breve, come altro non si potrebbe sulle pagine della "Repubblica" (20.12.85), con Il libro da nascondere di Edoarda Masi (Marietti 1985). L'articolo è appunto benevolo: mostra un rispetto del tutto ipocrita per le illusioni politico-utopistiche di Edoarda Masi, come se si trattasse di un patetico caso, personale ma diffuso (come tutti i "casi" e tutte le malattie), di cui la corretta giornalista deve "farsi carico" per tutta la durata del pezzo. Ed è un articolo naturalmente, direi innocentemente proditorio: perché presenta ogni idea e convinzione utopico-rivoluzionaria, concepita da chiunque, in qualunque luogo e in qualunque momento, come niente altro che criminalità morale, stalinismo delle intenzioni, sogno scioccamente crudele di rifare la natura umana. Quasi che, allo stato attuale delle cose e grazie al tramonto dell'idea rivoluzionaria, la nostra natura umana fosse finalmente libera di esprimersi e svilupparsi come meglio deve e desidera. Solo un breve articolo, piuttosto frettoloso e per niente animato da una particolare volontà di nuocere o di mentire, è quello della Mafai. Un articolo di routine, di normale amministrazione. Ma proprio per questo tanto più degno di nota. Del resto, un autore che si ponga, come la Masi, intenzionalmente fuori dell'ordine politico-culturale comunemente accettato non può aspettarsi molta comprensione. Discutere va bene. Ma arrivare a mettere in discussione i presupposti e il bon ton delle attuali discussioni, è troppo! E ora che quasi tutti i più brillanti intellettuali di sinistra hanno fatto, "a livello internazionale", plateale autocritica, etichettando come stalinismo e fascismo "rosso" tutta la tradizione di sinistra e di nuova sinistra (anche la brava Susan Sontag lo ha fatto), cercare delle continuità con la cultura politica radicale e rivoluzionaria viene ritenuto inopportuno e deplorevole. Inevitabilmente un libro da nascondere è perciò il libro di Edoarda Masi, nonostante le beneducate accoglienze. Da nascondere sono infatti molte cose che da esso risultano. Il fatto che ancora esista in Italia un grande partito che porta il nome di Partito Comunista, è davvero solo un fastidio rimediabile, un'imperfezione da paese arretrato? Il Pci non è un partito che andrà molto lontano, in queste condizioni. Ma è certamente un partito che "viene da lontano". L'idea comunista, se non il Partito Comunista, ha appassionato per molti anni molte migliaia di intellettuali: la parte migliore, quasi sempre, della cultura dei diversi paesi occidentali. Le biblioteche domestiche di un'alta percentuale di persone colte e del tutto "per bene" sono ancora infestate di letteratura rivoluzionaria e sovversiva, ormai appena visibile dietro i libri di astrologia, omeopatia, storia del calcio, cucina esotica, filosofia della crisi e body building. Essere stati, un tempo, comunisti, e soprattutto comunisti senza partito, sembra diventata una vergogna da cancellare al più presto. Come emendarsi? Come dimentare e far dimenticare quel colpevole, infantile "sogno di una cosa" che si aprì un varco perfino nelle teste dei conformisti e dei benpensanti? Oggi non esistono più comunisti, ma solo ex comunisti che, del tutto anestetizzati contro le punture della memoria, nuotano secondo la corrente. Vogliono sentirsi a proprio agio. Sentono che è arrivato il momento di dire "sì" e di essere "d'accordo". Non sono e non vogliono più sentirsi "diverBibIiotecaGino Bianco DISCUSSIONE si". Non hanno niente da nascondere. Dentro di loro, infatti, non c'è più niente che non si trovi anche fuori, dovunque. Il mondo è quello che è, tutto il resto è utopia. Il "caso" di Edoarda Masi è davvero diverso. E il libro che ha scritto non ha neppure bisogno di essere difeso. Si difende fin troppo da sé, con la sua distanza da tutto ciò che lo circonda. È un libro sgradevole, faticoso, spesso poco coinvincente, a volte poco chiaro. Non ci chiede facili complicità. Ma quanto sentiamo il dovere di accordare a certe pagine più intense e drammatiche tutta la nostra adesione, allora le difficoltà si moltiplicano: perché succede che Edoarda Masi ci proponga la scelta in favore o contro il sistema sociale vigente, in termini che crede più oggettivi di quanto siano. Sembra chiederci quasi sempre un'adesione politica, là dove potremmo accordarle (più precisamente) un'adesione morale, o intellettuale, o personale. Ciò che spesso non convince nel suo discorso è infatti il rapporto troppo stretto e precipitoso, cioè volontaristico, militantistico, che si stabilisce fra le note autobiografiche e descrittive, i concetti generali con cui la realtà viene interpretata, e quella che per l'autore sembra voler essere, di volta in volta, la "scelta giusta". Alcuni difetti del libro potevano essere evitati o nascosti ricorrendo a qualche trucco, praticando sulle pagine un po' di editing (la distribuzione della materia poteva essere migliore: quasi nessun capitolo mantiene la promessa contenuta nel suo titolo). Edoarda Masi, invece, non è stata capace di farlo. È troppo sincera e seria e coerente anche solo per nascondersi meglio dietro una maschera stilistica. L'odio per la menzogna rende roca la sua voce, intorbida le sue argomentazioni. La sua intenzione di dire tutto, a volte resta solo un'intenzione, e ciò che viene detto (sui primi anni di militanza politica, sul primo soggiorno in Cina, sul terrorismo) non è affatto tutto, è anzi poco. L'impazienza, o meglio una sorta di pudore e di nobile retorica della reticenza, Edoarda Masi.

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