Linea d'ombra - anno IV - n. 13 - febbraio 1986

con i nonni, ma anche con gli avversari fascisti, l'idea del proprio "ritardo", da colmare via modernizzazione. Il suo settore più conseguente vede però sempre più chiaro quello che confusamente e non senza contraddizioni già dal primo dopoguerra muove l'intera classe e ne determina l'azione politica: la modernizzazione non si realizza, o non si realizza più, puntando sulla crescita del potere della nazione_(fino all'esasperazione fascista, al nonsenso dell'autarchia da parte di chi pure definiva la propria identità nell'economia di mercato), ma nella subalternità operante entro i confini dell'impero occidentale. L'antifascismo dei comunisti aveva un altro fondamento. Non si trattava di divergenze a proposito delle forme politiche più efficaci, o più auspicabili sul piano etico, da adottare per la conservazione del potere, bensì di lotta contro il potere politico espresso dal nemico di classe nella forma più brutale, che negava alla organizzazione indipendente dei subalterni gli spazi pur concessi dalla democrazia. ("Non lotta di classe ma collaborazione", era lo slogan dello Stato corporativo.) Quanto all'idea di nazione, il movimento operaio per primo ne aveva svelato la degenerazione ideologica e l'uso strumentale. L'opposizione di chi interpretava gli interessi dei proletari indicava a questi ultimi una diversa patria, nella solidarietà internazionale. Le persone che dal '43 al '45 hanno combattuto contro tedeschi e fascisti, hanno affrontato le torture e la fame e hanno conosciuto i campi di sterminio, con la grande massa del popolo che le appoggiava, solo in piccola parte provenivano dalle élites e dalle avanguardie dell'antifascismo; i più erano quelli stessi che fino a pochi anni prima avevano indossato la divisa di balilla. Perché da balilla si erano trasformati in "ribelli"? l Che cosa li aveva spinti al cambiamento? La coscienza dei loro trascorsi errori e colpe, assunta attraverso l'ammaestramento delle élites e delle avanguardie? Anche, in parte; ma in minima parte. In misura maggio~e ma non grandissima, e solo in alcune località, la sopravvivenza più o meno sotterranea di un antifascismo popolare. In realtà, l'evoluzione delle loro coscienze e dei loro comportamenti è avvenuta in una dimensione diversa da quella in cui si muovevano le élites, è un'altra storia. Quando, nel '35, gli antifascisti si rallegravano delle sanzioni economiche adottate contro l'Italia dalla Società delle Nazioni, perché tutto quello che serviva a indebolire il fascismo era ben fatto, i "balilla" erano animati da risentimento e schifo per la classe dirigente inglese che, colonialista per antonomasia, scendeva ora virtuosamente in campo a tutelare la libertà dei popoli africani. Reazioni alimentate dalla propaganda fascista, senza dubbio. Ma anche sentimento autentico dell'umiliazione dei senza patria, per secoli, mentre altrove in Europa si formavano le nazioni; dove sopportazione e rivolta si confondono nel cinismo collettivo degli emarginati. Era il sentimento di popolo straccione, che è stato a lungo uno dei più profondi caratteri "nazionali" italiani e di cui tutti portiamo ancora qualche traccia, quando cerchiamo certezze fuori dai confini nazionali. (Per affermare la propria superiorità le élites hanno bisogno di riconoscersi più anglosassoni che mediterranee. E come tutti ci rallegriamo quando dall'estero ci lodano!) Fra la massa della gente comune quel sentimento di straccioni calpestati non sapeva distinguere quanto si subiva come italiani e quanto per oppressione di classe. È difficile dire se ci fosse più verità - intendo verità storica aderenza al reale - nella lucida ragione delle élites o in qu'esto confuso sentimento popolare. Sacco e Vanzetti, alla fine .deglianni venti, erano stati condannati a un tempo perBibliotecaGino Bianco DISCUSSIONE ché anarchici e perché italiani.2 Guardata dall'alto o dal basso, la verità cambia faccia. I fascisti si servirono del concetto di nazione, e dell'unità nazionale, per celare e reprimere i conflitti di classe; inventarono anche la falsità demagogica della "grande proletaria". Distrassero i contadini dalle condizioni loro fatte in patria (e dalla rivolta) spingendoli a emulare i "signori" nel mondo, a entrare in gara con essi e a farsi addirittura un "impero" dove sfruttare gente ancora più disgraziata. Questa demagogia aveva un'efficacia perché si fondava sul primo moto di rivolta orientato, come spesso, in direzione falsa. I subalterni dispongono da principio solo della cultura trasmessa dai signori, e chi non vuole essere schiacciato comincia col voler farsi signore, passare dalla parte dei forti entro l'ordine dato. Solo in un secondo tempo capisce che non si tratta di sostituirsi al signore ma di sovvertire l'ordine. L'alleanza coi nazisti e la degenerazione criminale del fascismo durante la guerra di Spagna e la seconda guerra mondiale, le battaglie combattute senza convinzione se non senza coraggio, la sconfitta, e infine la latitanza dello Stato e l'occupazione tedesca furono per la gente comune l'itinerario doloroso e l'occasione straordinaria di una presa dicoscienza più alta (che ebbe tempo di maturare a pieno e di dare i suoi frutti solo nelle regioni centrali, e più al Nord; la sfasatura fra Sud e Nord emerse come un grande ostacolo Giacomo Manzù, 11 patto tripartito (part.).

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