DISCUSSIONE forma filosofica, Rosenzweig esprime la preoccupazione di fondo del proprio pensiero: la filosofia deve parlare delle cose salvaguardandone la molteplicità. In quanto "muto segno della vita" la matematica, per esempio, soltanto in apparenza è una rappresentazione fedele e oggettiva della realtà. Nel momento in cui la matematica riduce il sapere ad una relazione stabile tra soggetto e oggetto, osserva Rosenzweig nella Stella, è in grado di cogliere soltanto la struttura formale del pensiero, la quale non dice nulla della realtà. Il pensiero che voglia pensarla senza smarrirsi nei meandri della logica deve sapersi rivestire di linguaggio, permettendo alla parola di alludere ogni volta al non-detto cui essa rimanda. La filosofia come racconto salvaguarda gli avvenimenti perché rifiuta di ricondurli a un principio obiettivo o formale, presentandoli invece nel loro avvenire: "Chi racconta non vuole dire come è 'propriamente' stato, ma come è realmente avvenuto". Raccontare una cosa significa "metterla in scena" sul palcoscenico del linguaggio, il quale, a sua volta, deve attrezzarsi per accoglierla. La parola teologica "Per ciò che viene detto non è secondario il modo in cui viene detto": la terminologia filosofica tradizionale non può servire a un pensiero nuovo che, di quella filosofia, rifiuta l'impostazione. Le parole portano attraverso il tempo tutti i significati in cui sono state impiegate, e si cristallizzano poi (provvisoriamente) secondo il modo imposto dalla storia e dall'uso. La scelta di un termine piuttosto che di un altro decide già dell'esito del discorso, poiché quel termine racchiude in sé tutta la tradizione che ha concorso a formarlo. Dischiudere il linguaggio a un nuovo uso filosofico significa dunque abbandonare le espressioni tradizionali attraverso cui la filosofia occidentale si è espressa: tali espressioni diventano un oggetto d'indagine, non il suo strumento. La storia del pensiero si articola intorno ad alcuni grandi problemi e da sempre si svolge all'interno di tre orizzonti: Dio, l'uomo, il mondo. Portare alla luce e analizzare le categorie che definiscono la struttura interna della storia della filosofia occidentale, e, contemporaneamente, andare oltre, scavalcando il mondo del concetto per scendere tra le cose: è questo il compito affidato al nuovo linguaggio della filosofia. Esso si costituisce innanzitutto come ricchezza interna e sovrabbondanza di senso: al vocabolo cristallizzato dall'uso astratto cui è stato sottoposto, nel tentativo di trasformarlo in figura del simbolo matematico, la Stella contrappone una parola che sappia dire la molteplicità e la differenza, urta parola intrinsecamente polisemica che si tinga del colore del contesto in cui è collocata. Restituire il linguaggio alla sua funzione poetica originaria (si pensi alla filosofia presocratica) e utilizzare il discorso teologico per ciò che in esso vi è di evocativo e di essenziale: sono queste le vie percorse da Rosenzweig. La storia della cultura ha portato la teologia nei pressi della filosofia (o la filosofia nei pressi della teologia) in un modo ben diverso dal passato: "Prima la filosofia era una Greca che scopriva il cristianesimo; in Schopenhauer e in Nietzsche è una cristiana che del cristianesimo non sa nulla". L'esaurirsi delle forme linguistiche tradizionali apre le porte all'irrompere di un linguaggio teologico privo del suo referente immediato (Dio, per esempio), ma non per questo meno potente. La parola teologica che, dice RosenBibliotecaGino Bianco zweig, non va lasciata ai soli teologi, sprigiona un sovrappiù di senso capace di illuminare il percorso della conoscenza. Simile all'oggetto con cui ha a che fare (il testo sacro), la teologia dispiega un linguaggio autosignificante e evocativo: le categorie cui ricorre, se impiegate in un contesto filosofico, hanno la possibilità e il potere di conservare un'eco di ciò di cui erano originariamente espressione. La parola che dice il divino si offre a chi ascolta o a chi legge con un'autoevidenza immediata: essa non rimanda necessariamente a un oggetto preciso, ma innanzitutto a se stessa. In questo auto-rimando dispiega la potenza del senso, di cui è ancora portatrice, nelle figure dell'assenza e del desiderio. Il "bisogno reciproco" che intercorre tra la filosofia e la teologia, la fratellanza che le unisce, indicano il luogo ambiguo in cui esse si incrociano, nel crepuscolo della forma logica del linguaggio filosofico. La filosofia, rinunciando ad essere descrittiva in termini di coerenza (pseudo-)scientifica, incontra una teologia che, conservando il proprio linguaggio, ha però smarrito da tempo il referente immediato cui quel linguaggio in origine si legava. Se il divino è lo spazio della trascendenza, dell'alterità assoluta, della differenza radicale, allora la parola teologica che tenta di afferrarlo o di evocarlo irrompe nel discorso filosofico come parola della differenza e dell'assenza. Essa apre una breccia nel tessuto logico che predica la corrispondenza tra la parola e la cosa, inserendosi come ciò in cui il linguaggio è manchevole (Scholem ha scritto che "soltanto ciò che vi è in essa di frammentario rende la lingua parlabile"). Lo squarcio aperto dalla parola che dice la lontananza definisce una forma filosofica nuova e inedita, che ogni volta fa i conti con ciò che è assente, che ogni volta non si dispiega come verità inconfutabile, ma come debole allusione. Così riformato, il linguaggio può ora tentare di "mettere in scena" le cose senza per questo assorbirle in sé. La terminologia teologica (cui ricorrono molti pensatori del nostro secolo, da Benjamin a Heidegger, da Bloch a Adorno) è una ferita che allontana le parole dalla certezza del proprio significato; come un cuneo penetra nel linguaggio della filosofia affermando che la possibilità del senso è diversa e opposta alla certezza del significato. I confini della teologia delimitano quella regione di cui la logica non può che tacere, sconfitta e dispersa. Stile e struttura Non è più il significato immediato di una parola ad aprire lo spazio della significazione: questo spazio si dischiude invece sulla scia che le parole lasciano dietro di sé. Anche per questo motivo lo stile ha un'importanza decisiva: "Forma, forma autentica (... ) e contenuto, vero contenuto (... ) non devono essere separati". La nuova forma del discorso impiegata da Rosenzweig nella Stella si serve di strumenti linguistici diversi, messi in opera per la rappresentazione del linguaggio stesso: immagini letterarie, metafore, una certa aggettivazione, giochi di parole costruiti (come farà poi Heidegger) sulle radici e sulle etimologie, impiego di citazioni innestate direttamente nel corpo del testo, senza indicarne la fonte. Dall'accostamento delle parole, e non dalla parola singola, scaturisce il senso di ciò che si intende affermare (o suggerire). La parola non è un termine scientifico, né un vocabolo irrigidito dalla definizione che ne dà il dizionario. La parola, come scrive Rosenzweig nella Stella, parla. Essa contraddice, allude, sottace, allontana; come ha scritto L◊ with, il linguaggio di Rosenzweig è mosso da uno zelo carico di passione. · Rosenzweig aveva sottolineato più volte l'importanza dello stile nella Stella della redenzione, definendolo la "tonalità" dell'opera; in una lettera, scrive che nel suo libro vi
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