eia a una struttura logico-formale definita e, così facendo, rinuncia alla debole illusione dell'oggettività del linguaggio. La crisi della forma filosofica tradizionale, che si pretende descrizione scientificamente esatta e logicamente coerente del reale, si profila per la prima volta nell'ultimo Schelling e in Kierkegaard, e si cristallizza infine in Schopenhauer e in Nietzsche. Non va tuttavia dimenticato come Hegel, nella Fenomenologia dello spirito, tenti per la prima volta di narrare l'oggetto dell'indagine. La Fenomenologia è un "romanzo" non soltanto per la forma del proprio procedere, ma anche e soprattutto perché, forse per la prima volta, il dolore si affaccia alla filosofia. Il sofferto peregrinare dello Spirito è l'immagine di una frattura e di un desiderio che percorrono tutto il pensiero occidentale. Con Nietzsche finisce dunque la "vecchia" filosofia, la filosofia della totalità e della forma logica del discorso. Se il tramonto della filosofia classica segna l'impallidire del carattere "neutro" che questa pretendeva di avere, il compito odierno è quello della "individualizzazione della forma del filosofare". L'arbitrarietà del proprio punto di vista non è dunque un ostacolo alla ricerca, ma anzi le imprime quell'unilateralità che consente di giungere al cuore delle cose. Il pensiero "unanimistico" che vorrebbe afferrare ogni cosa non rende giustizia alla molteplicità del reale, ma smarrisce l'occasione, forse unica, di penetrarne i movimenti. Rosenzweig rifiuta lo schema soggetto-oggetto, perché impoverisce la complessità in cui opera il filosofo, e definisce la dialettica (quella formale e quella hegeliana) un "gioco da ragazzi". La collocazione del filosofo non dev'essere super partes, ma, al contrario, è decisivo porsi come personalità singola, come terminus a quo della ricerca: "Il filosofo è la forma della filosofia". Scardinare l'oggettività del sistema onnicomprensivo è possibile se si rinuncia a voler dire tutto a nome di tutti; il filosofo non ricerca più l' arché, né la fonda su leggi logiche astratte: al contrario, l'unità e la coerenza interna del pensiero sono date dalla "coerenza personale, vissuta e divenuta filosofia, del punto di vista del filosofo". Già nel 1906 Rosenzweig scriveva che "la filosofia è per me soltanto l'espressione di una personalità": in quel "soltanto" risiede tutta la forza di un pensiero che muove verso le cose sforzandosi di non violentarle. Essere unilaterali é inevitabile ed è decisivo: "I propri occhi sono sicuramente soltanto i propri occhi; sarebbe però sciocco credere di doverseli strappare per vedere correttamente". Il sistema È centrale, a questo proposito, una riflessione sul concetto di sistema, e sul peso, anche formale, che questo riveste nella storia della filosofia. Nel saggio Das a/teste Systemprogramm des deutschen ldealismus (1917) Rosenzweig attribuisce l'idea di sistema come "unità di verità e realtà" all'idealismo tedesco, e più specificamente a Hegel. Il "sistema" come organizzazione univoca e unitaria della realtà (Rosenzweig parla di "unidimensionalità") contiene in sé una connotazione negativa, riscontrabile ovunque la sistematicità dell'esposizione prevalga sull'attenzione al particolare. "Il sistema è il mondo della forma nella terza persona", laddove l'esistenza, come si è visto, è innanzitutto dialogo. I libri di filosofia, in virtù della propria struttura sistematica, procedono, a parere di Rosenzweig, in modo "napoleonico": essi cioè avanzano nella conoscenza soltanto dopo aver espugnato dietro di sé ogni cittadella, ogni roccaforte, ogni villaggio. La consequenzialità richiesta a un sistema non permette di lasciar irrisolto alcun problema prima che il successivo sia (vittoriosamente) affrontato. Eppure, proprio le cittadelle inespugnate sono il luogo in cui si coagula quella resistenza che le cose sempre oppongono al BibliotecaGino Bianco DISCUSSIONE pensiero che le vuole pensare. Lo sforzo di Rosenzweig non mira alla distruzione del sistema in quanto tale, ché anzi la Stella ha un andamento sostanzialmente "sistematico". È necessario invece mettere in luce i caratteri autoritari che ogni sistema necessariamente contiene, salvandone al contempo l'esigenza di fondo: una "luminosa chiarezza" che salvi il pensiero dall'arbitrio. In una lettera a Rudolf Ehrenberg del '17, Rosenzweig scrive infatti che "il sistema non è architettura, in cui le pietre costruiscono l'edificio e per l'edificio soltanto sono lì( ... ); sistema significa invece che ogni singolarità ha lo stimolo e la volontà di mettersi in relazione con tutte le altre singolarità". Si tratta cioè di sviluppare una struttura formale che colga, o, meglio ancora, che rappresenti le relazioni che tessono la realtà: il pensiero deve assumere i tratti di un "vedere non-dialettico ad occhi spalancati". Anche per questo motivo la forma filosofica è cruciale: "Non si può comunicare il contenuto se non si comunica contemporaneamente anche la forma"; una forma solo apparentemente sistematica, capace di disporre di una struttura non consequenziale ("napoleonica") ma relazionale, è in grado di presentarsi come immagine della complessità del reale. Nell'articolarsi del "sistema" dev'essere possibile cogliere in controluce l'articolarsi delle cose stesse. Non nelle cose, dunque, le quali vanno semplicemente "messe in scena" dal discorso filosofico, si rintraccia il principio unificatore del sistema (e, di riflesso, del reale): un principio di questo tipo sarebbe infatti un nuovo atto autoritario del pensiero. Al contrario, si deve risolutamente ammettere che "la totalità del sistema non è più oggettiva, ma soggettiva", vale a dire che il punto di vista del filosofo unifica in una prospettiva soggettiva (ma non per questo arbitraria) le cose che osserva; la complessità del reale è dunque salva, perché il filosofo rifiuta di attribuire uno statuto logico o ontologico al proprio punto di vista. Il filosofo utilizza il "sistema" (ma il termine, ormai, è improprio) per far essere le cose al di fuori di esso. In altre parole, la "sistematicità" della filosofia significa che una forma e una struttura dispongono il linguaggio secondo un ordine, ogni volta revocabile, capace di alludere, nella sua stessa forma, alla realtà. Il linguaggio "mette in scena" le cose, rinuncia a descriverle compiutamente e, insieme, va oltre una semplice topografia del reale. Nell'accostamento dei termini e nell'evoluzione della struttura "sistematica" il pensiero si avvicina alle cose senza espugnarne le cittadelle. Racconto e "messa in scena" Il problema del discorso filosofico e della ridefinizione del concetto di sistematicità ci conduce alla categoria del racconto. Rosenzweig aveva derivato l'idea della "filosofia come racconto" dalla lettura della Vorrede alle Età del mondo di Schelling: "li passato è saputo, il presente è conosciuto, il futuro è presagito. - li saputo è raccontato, il conosciuto è rappresentato, il presagito è predetto". Di questo testo Rosenzweig parla sovente, chiedendosi se non sia possibile una "filosofia in forma di romanzo"; in una lettera concepisce la possibilità di scrivere un libro filosofico che abbia un andamento per così dire teatrale: "Potrei immaginarmi un dramma che inizia con un contrasto violento tra i personaggi reali e che termina in modo comunitario". Nel vagheggiare e nel teorizzare il racconto come nuova
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==