Linea d'ombra - anno IV - n. 13 - febbraio 1986

STORIE/ZANZOTTO parte, dato che eravamo in due a lavoràre. Ma ben presto mi avvidi che con quella cifra, considerati gli aumenti dei prezzi che già allora cominciavano ad accennarsi, non si sarebbero fatti nemmeno i muri, per quanto ridotta fosse stata la casa (comunque non più ridotta di quella che abitavo). E non volevo piegarmi, cominciavo a fantasticare di contrazioni di prezzi ottenute grazie ad accorgimenti che altri non avrebbe mai avuti, cominciavo a valutare la differenza tra una costruzione in mattoni pieni o in bimattoni o in blocchetti di cemento, il salto tra i davanzali di pietra artificiale e quelli in marmo sia pure scadente, o tra i pavimenti in piastrelle da venti per venti, da trenta per trenta o addirittura (ma si poteva soffermarcisi davvero?) da quaranta per quaranta, per non parlare dei deliri all'onice-Pakistan dei coneglianesi. Ma non tento qui nemmeno un accenno a quel completo e intricatissimo universo di materiali e di opere che si è costretti a indagare e a travalicare per far esistere una casa, specie quando per risparmio non se ne affida la costruzione a un'impresa, ma si provvede, in economia, ad acquisti diretti e a procurarsi i vari specialisti, dai muratori in là, per una via che poi avrei sospettata senza fine, lungo quella "coda", come tecnicamente è chiamata, in cui si risolve la realizzazione del manufatto abitabile e che nessuna cometa ha tanto prolissa. Io renitevo di fronte a ogni singola voce che cautamente qualcuno già mi prospettava, vedevo il termometro dei soldi da pagare impennarsi verso le altissime temperature, tutto sembrava sfuggirmi di mano, non solo la casa, ma la mia vita perdeva contorno, e si smarriva in quell' Entfremdung cui pareva voler tramontare la mia già discussa consistenza. Un giorno visitando il mio lotto per controllarne i paletti di confine mi accorsi meglio di un'interferenza che in un primo momento era rimasta subliminale, come una forma di disagio connaturat,b all'atto di sistemarmi proprio in quel punto del paese; qualche cosa di rimosso violentemente e che pure puntava verso il conscio. Dal mio terreno si vedeva il retro di un gruppo di grossi palazzotti secenteschi, le loro adiacenze, barchesse e depositi dei raccolti. Era il nucleo più antico del paese, di cui faceva parte anche la casa parrocchiale; quell'antichità troppo distante dal tempo in cui io avevo destinato e circoscritto il mio luogo di nascita, quel grumo di abitazioni di gente vissuta certo tra i soprusi inflitti agli altri e gl'intimi tremori, tutta immerdata in dèi controriformisti e donrodrighiani, quelle casacce in cui si erano consumati amori sentiti necessariamente come sporchi e fantasticate o subite contaminazioni d'ogni genere (nobildonne che si offendevano nel sentirsi dire "buona notte" ritenendo allusiva tale espressione, contadini verdastri di carestia, servi o padroni con bubbone pestifero almeno implicito, santoni con inferni tremolanti di fuochi e fumi alle spalle, un insieme di manzonemi destituiti però di ogni contrappunto ironico - e si veda in proposito la contesa tra Paolo V e Venezia, causata da due preti delinquenti, uno dei quali, il più caligola, proprio di questi luoghi), tutto quell'insieme mi proiettava i residui del suo lemurismo BibliotecaGino Bianco all'orizzonte ovest, alle finestre del futuro pranzo-soggiorno della casa, o di fronte alla futura loggetta da riposo e contemplazione. E poi, come il morso "di un fulmine che cade sul piede" (pedepropemodumfracto, così da non poter più muoversi, mai più), come la cimice trovata nella minestra dell'ospedale militare di Chieti, deflagrava il 1Oagosto 1944. Su quei campi, su alcuni letti di cinquantino troppo basso e piccolo in quel periodo per proteggere dalla vista dei tedeschi, su alcuni letti di cinquantino segnato dalla nera, Gino era caduto. La sera prima avevamo parlato, egli stava per raggiungere le formazioni della "Tolot", sopra Vittorio, io invece dovevo andare a Salvedella, sul Cesén sopra Valdobbiadene, per mettere a punto un nostro giornaletto clandestino. Alle diciassette e mezzo del 1 Oera cominciato il rastrellamento e Gino aveva scelto la strada sbagliata per ripararsi; su quel cinquantino i tedeschi lo avevano visto mentre correva per raggiungere il granoturco vero e buono e altissimo poco più in giù, ed egli era subito crollato sotto i proiettili. Non lo avevano finito, non osavano avvicinarsi perché lo credevano armato; la sua voce era vissuta, sempre più debolmente, per oltre un'ora. Alcuni contadini volevano soccorrerlo, ma i tedeschi sparavano a vista, sparavano a tutto il paese, anche alle case e agli alberi, dalla morsa in cui avevano chiuso tutto. Gino aveva perduto il suo sangue, non lo si era udito più; e intanto i carne in scatola, di prima qualità, i selezionatissimi, per un'ora e tre quarti, in due o trecento contro pochi spennati partigiani e la gente disarmata, avevano continuato con la fucileria, le mitragliatrici e le mitragliere da venti a far la ruota - massacro fumo e baccano - fin che un grande silenzio aveva data la certezza che se n'erano andati. Gino era stato raccolto morente ed era spirato la sera stessa nel piccolo ospedale del paese, con altri sventurati. Io no, io avevo trovato subito, sopra la Cal Santa, la giungla del granoturco, insieme con alcuni ragazzi; e le grosse canne ci si afflosciavano addosso, durante quell'ora e tre quarti, macinate dai proiettili che ci fischiavano appena sopra teste e corpi cacciati dentro i solchi: la Ca! Santa ci aveva protetti, le grandi foglie taglienti che amo da sempre mi avevano tolto alla mira diretta della morte e fatto un grembo in cui la fortuna sinistra era stata paralizzata. Avrei dunque scorto, tra il mio lotto e le ombre secentesche dello sfondo, il vano immenso di quei campi ormai per sempre senza rifugio, avrei veduto il folle sgambettare di Gino su quei solchi dalle miserrime piantine, dalle foglioline incapaci e pigre di fronte alla morte, o un'erba tesa vanamente a dissimulare il sangue: ~ non solo in agosto, ma ogni giorno: io sono legato, rotto al piede. Là non avrei potuto costruire, capii che dovevo cambiare e quella sera tornai a casa come respinto da una brutta onda al punto di partenza; avrei dovuto ancora mettermi a indagare interrogare mendicare per un altro lotto. Ma in quel tempo il parroco aveva messo in vendita anche l'appezzamento vicino al centro, che forse era il peggiore di tutti gli altri contigui, ma sempre, per me, in una zona

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