STORIE/ZANZOTTO va difficoltà; ma soprattutto la questione del terreno impediva· un'azione decisa, perché senza il terreno a disposizione la domanda non si sarebbe potuta presentare. E poi non era facile per me situarmi, collocarmi, assestarmi di nuovo e diversamente nel paese. Abituato fin da piccolo a percorrere le stesse strade, a risalire la Ca! Santa sassosa o piena di fango o di neve secondo le stagioni, a passare sotto il grande portico - affrescato da mio padre a soggetti sacri - per entrare nel cortile della mia casa d'infanzia, avevo già sofferto abbastanza, col matrimonio, a trasferirmi in un'altra via, seppure vicinissima. Come fa uno a cogliere un posto per costruire-ricostruirsi, se ogni scelta è praticamente bloccata da resistenze speculative, per cui non si vende proprio là dove io penso che potrei tentar d'abitare? Perché non pretendo certo di dire una novità se affermo che qui ogni luogo ogni albero ogni casa ogni ombra o luce che s'alzi cada scompaia può assumere per me i più pesanti significati, influire sul decorso del tono vitale, della profonda psiche, portarmi dalla stabile ferma esaltazione allo spopolamento, al cavernizzarsi dell'anima, all'erosione del senso dell'essere. Rapidi e imprevedibili sono i mutamenti del mio tempo interiore con le decine e decine di immagini del mio paese che si legano a una via o a un'altra; ore e giorni che in apparenza si sovrappongono in uno screziatissimo e inestricabile tessuto, ma che invece scattano fuori acremente distinti l'uno dall'altro, col loro aggressivo sapore di guasto o di paradiso, solo per minime mutazioni o movimenti: come nelle immagini che scaturiscono, opposte, dal rilievo di piccolissimi prismi paralleli guardati da diverse incidenze. Perché il danno che ottenebra per me gran parte dell'universo, e che mi costringe ad abitare qui, in realtà occupa anche gran parte di questo luogo; io sono costretto a cammini obbligati e a soste obbligate come procedendo in una sabbia mobile. Un lotto per costruire mi sarebbe piaciuto, mi avrebbe sostenuto sotto i piedi, avrebbe reso azzurro e forte il cielo, in Ca! Santa: ma, a parte che i Rase! non vendono, chi potrebbe ragionevolmente fabbricare dove la strada d'accesso è larga meno di tre metri? Eppure in quei prati c'è un invito che mi garba, mi dà fiducia, anche se si vede il cimitero a poca distanza; io ero abituato stando nella casa vecchia dei miei a vedere il cimitero dallo studio; d'inverno mi appariva, oltre i campi e gli alberi finemente scritti, di una nudità da radiografia, con le cappelline la cinta e la chiesa. La buona stagione pian piano sgretolava quella figura; foglie sempre più folte, con la primavera, cancellavano il cimitero che poi d'estate sembrava un lontanissimo aldilà dissolto dietro il verde; solo una campanella, da una cathédrale engloutie, si faceva viva in sere calde e lampeggianti, non vera. L'autunno sovvertiva tutto in un'immagine che ritornava cara e aspettata; progressivi acidi, umidori e luci gialle, come un bagno chimico, ritessevano e facevano emergere le linee di un affresco perduto sotto un intonaco: e certe volte la neve creava un campo infinito fuori dalle leggi di ogni ottica, azzurrino già nel primo pomeriggio e poi sempre più appassionatamente desolato e ceruleo, fino al buio, fino alla cittadelBibliotecaGino Bianco la negra in cui da molti anni riposavano due mie sorelline gemelle. Ma sui lotti Rase! non ci si deve soffermare, e nemmeno su quelli del contadino Bede, attigui, dalla parte sud della Ca! Santa: quello non solo non vende, ma cerca di spostare la siepe sempre più verso il centro della strada per appropriarsene, cosicché ha dal Comune continue intimazioni, sempre inascoltate; quanto di siepe è costretto a strappare tanto poi pianta di nuovo; egli vive con la speranza che un bel giorno in Comune si stanchino e che tutta la stradella divenga cosa sua. Anche i lotti vicini alla piazza centrale sarebbero stabiliti nella vita e nella certezza: di là si potrebbe vedere l'arrivo degli autobus e l'animazione delle sette di sera, quando tutti e tre i bar sono pieni di gente. Quel partire e arrivare mi riportano a un più omogeneo me stesso, a un'omeostasi interiore quale avevo prima dei trent'anni, quando cioè non sentivo ancora il tempo come un mio dato intrinseco e costitutivo, bensì come una corrente in cui fossi immerso, che attraversassi integro, perfetto di quell'unità che poi diviene soltanto materiale da combustione. Ma il parroco effettivamente vendeva, modico. Mi affrettai a comperare un pezzetto in via Castello, ottocento metri. Il posto era intagliato in mattine freddissime, quando alle sette prendevo la corriera per andare a scuola e vedevo quell'estensione nitida, sfavillante di brina fatta apposta per albe invernali di bel tempo con la neve che se ne sta ancora sulla montagna. La brina tornava anche sull'erba primaverile, e a sud c'era un aperto, un vento, un'ampiezza che scendeva al Montello. Oppure quel luogo mi assetava: prati già abbrustoliti dal sole, file di canne bruciate di granoturco dalle foglie a scimitarra giallobrune, polverose; e in mezzo stentati filari di viti clinton, che maturavano tra pampini semiaccartocciati e lanosi il magro nereggiare di grappolini a grumi, con acini non più grandi di capocchie di spillo. E poi altre cose oscure di cui sarà detto. Intanto, per non rimanere a piedi, là dovevo comperare e così avvenne, in un giorno di fine d'anno; il parroco ciaccolse in un salone "dall'alto dei suoi novant'anni", che non gl'impedivano affatto di curare i propri interessi con una oculatezza giudicata esemplare perfino dai professionisti del ramo (e si vedrà che allo scoppiare dello scandalo Antoniutti, che implicherà prelati della curia di Vittorio Veneto in un crac di seicento milioni, drenati via a contadini e al basso clero - con strascichi di suicidi, leggende di traffici d'armi e stupefacenti, storie di cardinali Agagianian in ispezione -, egli risulterà del tutto indenne e con lui la parrocchia e la gente locale). In processione, dato che gli acquirenti dei lotti erano parecchi, sfilammo a firmare le carte, come a una benedizione che del resto il parroco, anche se non formulava apertamente, accennava quasi per saluto: autorevole, con un'ombra di fastidio e di durezza e pur con cortesia e unzione quasi ingenua: occhi neri e gravi, volto pallido già assai fiorente ma ora tutto pieghe. Ero stato costretto, in quel periodo, a mettere nello scantinato una parte dei mobili del mio studio per far posto ad altri mobili tolti al salotto, dove
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